213 - Credo che l'intera questione ruoti attorno alla nostra immaginazione, all'intensità con cui riusciamo a sognare. Io, in questo momento, sogno di trasformarmi, anche e solo per un attimo, in un cuneo spaccalegna che non vuole altro che conficcarsi nel cuore dei silenzi statici dietro ai quali vi trincerate. Trasformare il quadro neutro in cui la realtà viene intrappolata nel cratere di un vulcano in eruzione. Ho la sensazione di sapere come si fa. È tutta una questione di energia. Tutto ruota attorno alla decisione con cui sferriamo l'attacco.
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214 - All'epoca frequentavo la quinta superiore. Per circa otto mesi, ogni giorno, durante il pranzo, ho guardato lo stesso film, senza stancarmi. Interrompevo la proiezione pigiando il pulsante di stop del videoregistratore, in contemporanea con l'ultimo boccone del pasto, e riprendevo la visione esattamente 24 ore dopo, ma non mancavo di concedermi delle graditissime sessioni supplementari.
Per questo considero Trainspotting l'unica opera cinematografica di cui posso discutere con sufficiente disinvoltura, avendo peraltro letto il libro di Irvine Welsh per tre volte.
C'è una scena, fra le tante, che mi è rimasta particolarmente impressa e che può risultare utile, almeno questa è la speranza che mi anima al momento, ai fini del discorso.
I protagonisti della nostra storia si ritrovano a bere sul piano rialzato di un pub piuttosto affollato.
Uno di loro, Begbie, che occupa il centro dello schermo, è impegnato a raccontare agli altri l'andamento di una partita a biliardo, conclusasi peraltro con un picco di tensione inaspettato.
Il clima che si respira tra di loro è assolutamente tranquillo, quasi annoiato. Ma quella calma sta per venire spazzata via in una semplice mossa: il baffuto narratore infatti si concede un ultimo, fugace sorso di birra prima di scaraventare alle sue spalle il boccale, senza guardare e con serenissima disinvoltura, oltre una ringhiera bassa in legno.
In quel momento il flusso delle immagini si interrompe: il regista regala al fotogramma valore assoluto. Ci concede soltanto un commento, attraverso la voce fuori campo di Mark Renton:
— Uno che poteva fare: solo starsene a guardare e cercare di non farsi coinvolgere...
La scena prosegue. La camera segue per un attimo la traiettoria del pesante bicchiere in vetro che continua nel suo volo verso il pianterreno. Si sente l'urlo di dolore di una ragazza.
Renton precisa: — ...Neanche si faceva di droghe, si faceva di gente lui. Lo mandava fuori di testa. Gli scatenava i sensi.
Da quel gesto nasce una rissa di proporzioni bibliche, a cui Begbie partecipa peraltro con notevole trasporto.
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215 - Tutto quello che voglio e che devo fare è trasformare il boccale in questione in un asterisco. Non più solido vetro, ma un'entità astratta, immateriale. Quell'asterisco, di volta in volta, può associarsi ad una parola, una battuta, un enunciato. So perfettamente quanto può essere violenta, irruenta, la lingua: conosco bene la forza distruttrice del Logos.
Innescare un Fight Club dialettico potrebbe risultare più semplice di quello che si potrebbe pensare in un primo momento. Proprio per questo, soprattutto quando si esprimono certi desideri, peraltro pubblicamente, bisogna essere pronti a reggere le conseguenze.
Così Platone nella Repubblica:
Caro Socrate, disse, la dichiarazione e il discorso che ci hai lanciati addosso sono tali che, facendoli, devi ben aspettarti che molti, e non gente mediocre, getteranno i mantelli, e nudi daranno di piglio a tutte le armi che troveranno per assalirti, compatti, e conciarti per le feste; e se non li respingerai con il tuo discorso e non li sfuggirai, ne pagherai la pena realmente coperto di scherni.
Il mio intento dev'essere fermo, solido. Lo scopo a cui tendo, almeno mi sembra, è piuttosto nobile. A questo proposito, prendo in prestito per l'ennesima volta un passo di Tiqqun.
Finchè i Fight Club non prolifereranno universalmente, Start Up, agenzie di pubblicità, bar alla moda e camionette di sbirri non cesseranno di pullulare con una crescita esponenziale.
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216 - È l'esistenza stessa, nel suo scorrere perpetuo, che molto spesso elargisce le occasioni per l'innesco di una diatriba. Come punto di partenza scelgo l'intuizione di Aldous Huxley, datata 1958.
La vita di città è anonima e, per così dire, astratta. Gli individui entrano in rapporto l'uno con l'altro, non come personalità totali, ma come incarnazioni di altrettante funzioni economiche.
È il caso di ribadirlo: dieci anni di addestramento nelle stanze del dipartimento di Filosofia mi hanno trasformato, in definitiva, in un eterno ingenuo. Di fatto, vago in questo mondo senza nessuna competenza specifica particolare; siamo solo io, i miei pensieri e le sciocchezze che ho trovato tra le pagine dei vari libri e che ora, di tanto in tanto, fanno capolino fuori dalla mia bocca. A differenza di tutte le altre figure professionali non ho un recinto, un ambito in cui la mia opinione, la mia parola, conta più di quella dell'ospite.
Non si tratta più di 'fingere di non sapere', in sintonia con l'ironia socratica; sono perennemente condannato a giocare in trasferta, dentro alle case di 'chiunque'.
Mi affaccio nel locale del pescivendolo, che mette in bella mostra la sua mercanzia: mi assicura che tutte le sue derrate, senza esclusione, sono fresche di giornata. Io non ho nessun argomento, nessuna tecnica per stabilire se quanto afferma corrisponde alla realtà. Posso solo fidarmi o, al massimo, utilizzare l'olfatto per tentare di percepire eventuali tracce di marcio. Decisamente troppo empirica come cosa. Potrei anche buttarmi a capofitto sui libri: di sicuro qualcuno avrà scritto qualche riga sotto il titolo 'come riconoscere se il pesce è fresco con un solo sguardo'; nel momento immediatamente successivo, però, mi troverei di nuovo a fare i conti con un problema simile.
Eccomi infatti sdraiato sul lettino del dentista: io ovviamente non ho la visuale completa dell'intera faccenda, ma lui si affanna a giurare che c'è una piccolissima macchietta nera sulla superficie del molare e benché io non percepisca né dolore e né fastidio sono invitato a tenerla sotto controllo, ovviamente a mie spese, per capire se in effetti si tratti di un principio di carie, proprio come sembra. Stesso discorso, inutile dirlo, dal meccanico, che si occupa del centinaio di danni che la mia autovettura presenta senza che io lo sapessi minimamente. Sarà onesto o starà semplicemente cercando di raggirarmi?
Il panico aumenta esponenzialmente nell'ambulatorio di un medico: dispone in esclusiva di tutte le informazioni che servono per valutare il mio stato di salute, per non parlare poi della cura, che mi somministra senza che io sia minimamente in grado di comprenderne la portata.
Il tutto sembra così trasparente, non dovrei avere così tante titubanze.
Peccato che questo mondo sia troppo spesso simile ad una vasca piena di squali.
L'ingegnere edile mi istruisce su parametri da adottare nella costruzione della mia casa, lo strizzacervelli fa diagnosi infallibili sul mio disagio mentale. Il fruttivendolo decanta le lodi delle sue prelibatezze, ma di certo non mi svelerà mai quanti e quali pesticidi sono stati utilizzati per la loro coltivazione.
Il mio rapporto con l'esterno è di tipo unidirezionale: vengo costantemente ospitato ma non ho nessun ufficio nel quale posso esprimere la mia autorevolezza.
Certo, potrei anche io farmi forte da dietro ad una cattedra, in qualche scuola superiore o persino all'università, e magari riversare tutte le mie frustrazioni sulle testoline dei vostri poveri, incolpevoli pargoli, ma la considero un'attività che non fa proprio al caso mio e dunque ho fatto una promessa a me stesso: neppure in casi di gravi contingenze economiche mi sarei piegato a svolgere attività così repellenti. Felice dunque di aver rispettato i miei propositi, almeno sino a questo momento.
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217 - Quella che segue è una storia vera. Servirà per chiudere la questione nella maniera più chiara, limpida possibile.
Il mio socio porta una camicia bianca dalla lavandaia, per via di una piccola chiazzetta, piuttosto antiestetica, che proprio non ne vuole sapere di sparire. Alcuni giorni dopo lo accompagno a ritirare il capo. La titolare dell'esercizio ci accoglie con un sorriso, ottiene le generalità del cliente e sparisce in un attimo dentro ad una grande stanza in cui sono custoditi tutti gli abiti. Pochi secondi di attesa, e la vediamo tornare indietro, baldanzosa, con un carico di ottime notizie.
La camicia è stata pulita alla perfezione, ci racconta abilmente con, annessa, grande abbondanza di gesti eleganti. Piuttosto però, osserva, c'è stato un piccolissimo problema con la famosa, minuscola chiazzetta che proprio non ha voluto saperne di andare via. Per il momento il mio socio non può fare altro che sborsare i sei euro per il trattamento ricevuto, ma compreso nel prezzo c'è l'invito da parte dell'allegra lavanderina a ripetere, in un futuro prossimo, il lavaggio, con l'assicurazione di ottenere un risultato ancora più sorprendente.
Sono sicuro: in due avremmo potuto riempire quella stanza con uno sciame infernale di domande e osservazioni critiche. Saremmo potuti andare avanti per svariate ore ed invece ci siamo accontentati di qualche buona risata sulla via del ritorno verso casa.
È inutile che ribadisca il fatto che, alla luce di quando scritto sino ad ora, non mi potrò più permettere, se voglio rimanere fedele ai miei tanti piani, un comportamento così permissivo.