218 - Io non sono una funzione economica: non ho nulla da vendere e, se si escludono libri e sostanze psicotrope, poco da comprare.
Non sono nemmeno una funzione politica, per lo meno non nella sua accezione attuale: non vado a caccia di voti, non ho nessuna intenzione di candidarmi tra le fila di un partito politico.
In questo momento, e forse mai come ora, non faccio parte di nessun gruppo, collettivo, setta; non opero per conto di terzi, non appartengo a nessuna struttura.
Se proprio devo scegliere un obbiettivo, una meta a cui tendere, punto forte sul concetto di autarchia (che ha caratterizzato la scuola Cirenaica e quella Cinica): l'autosufficienza, il bastare a se stessi, la ricerca della felicità senza passare dagli aspetti frivoli dell'esistenza.
Io sono una funzione filosofica.
L'ho ripetuto a me stesso così tante volte che ho paura che la scatola cranica possa spaccarsi in mille pezzi da un momento all'altro.
Tento quindi di comportarmi di conseguenza, anche se non è affatto facile.
Mi muovo per il mondo, dunque, come scrive Platone, «...non già, come i mercanti e i bottegai, in funzione della compravendita, bensì in funzione della guerra e per facilitare quella stessa conversione dell'anima dal mondo del divenire alla verità e all'essenza. E il nostro custode si trova ad essere a un tempo guerriero e filosofo».
Credo però che il termine 'guerra' non sia proprio il più adatto per descrivere la natura delle attività di cui mi piacerebbe occuparmi. Mi permetto dunque una breve precisazione.
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219 - Mi capita di riflettere spesso sulle tante coincidenze che affiorano lungo il segmento della mia storia personale. La prima volta che ho letto il libro che sto per prendere in considerazione frequentavo la terza media; non so nemmeno come e perché sia finito tra le mie mani, ma una delle cose più belle del posto in cui vivo è sicuramente la biblioteca comunale, che mette a disposizione dei suoi utenti migliaia di volumi, coprendo così una moltitudine di argomenti, anche tra i più stravaganti.
A distanza di vent'anni, sono tornato sulle pagine de 'I Tupamaros in azione' a caccia di qualche informazione che mi potesse risultare utile per la stesura delle presenti righe. Se avessi voluto fare le cose per bene mi sarei necessariamente dovuto calare in un'analisi più approfondita del termine e della sua origine, ma in sede di introduzione ho ritenuto sufficienti le testimonianze dei noti guerriglieri uruguaiani.
La guerriglia urbana come strumento di lotta armata è stata ampiamente utilizzata in tutti i tempi da forze relativamente inferiori che dovevano affrontare forze notevolmente superiori.
[…] Dal momento che il suo obbiettivo principale è di cambiare il rapporto di forze da sfavorevole a favorevole, persegue due obbiettivi tattici: crescere, ed indebolire il nemico.
[…] La guerriglia urbana è caratterizzata dal fatto di avere praticamente tutti gli obbiettivi nemici alla sua portata per un colpo di sorpresa.
Un altro fattore interessante è quello dell'adattamento all'ambiente. Nel lavoro di Alain Labrousse intitolato 'I Tupamaros – La guerriglia urbana in Uruguay' si legge:
Noi, guerriglieri urbani, ci muoviamo in una città che conosciamo intimamente, e dove siamo uguali al milione di persone che vivono in essa, e ci muoviamo con la loro stessa naturalezza.
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220 - Il tipo di guerriglia che ho in mente di portare avanti, 'finché avrò respiro e ne sarò capace', per utilizzare le esatte parole utilizzate da Platone nell'Apologia di Socrate, è ovviamente di tipo filosofico, ma questa variante potrebbe avere molti aspetti in comune con le sue forme più classiche.
La mia spada è la mia lingua: più riuscirò a tenerla pura ed affilata, più risulterò incisivo.
Maggiori saranno le energie che riuscirò a guadagnare, a conservare, più alta sarà l'efficacia delle mie azioni. Le mie difese saranno direttamente legate alla capacità di attenermi, nella maniera più stretta e rigida possibile, agli intendimenti riversati sopra questi fogli.
Sono consapevole che ogni minimo errore, ogni singolo tentennamento potrebbero costarmi carissimi. Proprio per questo dovrò riferirmi ai miei scopi con la tenacia, quasi disperata, tipica di chi si aggrappa all'ultimo appiglio disponibile prima di un'eterna, tormentata caduta nel vuoto.
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221 - Recentemente qualcuno mi ha fatto notare, con una graditissima 'mezza provocazione' (di solito infatti, in questi casi, c'è sottintesa la possibilità della replica) che il mio atteggiamento è sempre, in misura eccessiva, troppo serioso, poco spassoso, troppo pungente.
A quanto pare sembra una faccenda radicata in profondità, nel cuore dei secoli ormai remoti.
Forse qualcuno mi potrebbe dire: «Socrate, non puoi andartene via di qui e vivere facendoti i fatti tuoi, tranquillo e in silenzio?» Questo è il punto su cui mi riesce in assoluto più difficile convincere qualcuno fra voi. Infatti se dicessi che questo significherebbe disobbedire al dio e che perciò non mi è possibile starmene zitto, voi non mi credereste ma pensereste che faccio dell'ironia.
Qualcuno avrebbe invece gradito toni ben più morbidi da parte del sottoscritto, soprattutto nelle circostanze in apparenza più rilassate, ma in realtà credo che la maggior parte dei miei atteggiamenti sia una sorta di risposta agli input, agli stimoli che di volta in volta mi vengono trasmessi.
In questo senso, il dialogo che segue (riportato da Diogene Laerzio) è emblematico.
Alessandro si fece appresso a Diogene, andandosi a mettere tra lui e il Sole. «Io sono Alessandro, il gran re», disse. E a sua volta Diogene: «Ed io sono Diogene, il cane».
Alessandro rimase stupito e chiese perché si dicesse cane. Diogene gli rispose: «Mi dico cane perché faccio le feste a chi mi da qualcosa, abbaio contro chi non da niente e mordo i ribaldi».
Esistono, è vero, delle persone o delle situazioni che assumono le sembianze di zone sicure, angoli di mondo in cui è più facile trovare riparo, nel frattempo che si riprende fiato tra uno scontro e l'altro; un conforto momentaneo.
La speranza è di vederle aumentare di numero, discorso che vale ovviamente, forse in misura maggiore, per i complici.
Non dovrei però mai dimenticare, e mi impegnerò con tutto me stesso per farcela, che la mia priorità è ormai ben definita:
Ci spingono a questa lotta — dichiarano i Tupamaros — non c'è altra soluzione che prepararla e decidersi ad intraprenderla.
Nelle righe che seguiranno a questa estenuante, interminabile presentazione, troveranno posto le cronache, i resoconti, i racconti di tutti i contatti che mi capiterà di avere con l'esterno.
Allo stesso tempo sarà lo spazio principale dove disegnare nuove strategie, nuove modalità d'azione e intervento, nonché il tavolo per un confronto attivo e costante, utile inoltre per stringere tutte le alleanze che verranno.
Prima di tuffarmi, definitivamente, in quello che ora mi sembra uno sterminato oceano dalle acque gelate, con l'atteggiamento di chi ha ormai imparato ad aspettarsi veramente di tutto dalla farsa crudele che è questa vita, bisbiglio umilmente all'universo:
Fa che non sia confuso e che i miei nemici non trionfino su di me.
[…] Osserva i miei nemici, perché sono molti e mi odiano di un odio pieno di violenza.