187 - Inoculare un dubbio nella coscienza del proprio interlocutore può sembrare una pratica subdola, che sottintende un divario tra i due protagonisti, sospesi su due livelli di consapevolezza differenti.
Il contatto è fugace; lo scambio spesso è limitato, unidirezionale. Per fortuna però, non è l'unica modalità con cui ci si può rapportare agli altri. Anzi.
Le cose cambiano, in maniera anche sostanziale, quando si colpisce un punto che riguarda la sfera personale dell'individuo con cui si sta parlando, spesso, è questo l'aspetto più incredibile e quasi magico dell'intera faccenda, senza saperlo.
La sua reazione, immediata, apre le porte ad una vera e propria discussione, che può essere caratterizzata anche da una notevole aggressività verbale. I livelli di adrenalina salgono rapidamente alle stelle, raggiungono picchi inimmaginabili. In quei casi tra i due contendenti, a prescindere dalla confidenza e dal legame esistente, si crea una situazione, un rapporto tutto nuovo che può straripare ben oltre i limiti suggeriti dalla decenza e dalle buone maniere.
Io chiamo questi frangenti il Fight Club.
Non credo di dovermi soffermare ulteriormente a ribadire quanto questa attività possa risultare eccitante, liberatoria, catartica per i partecipanti. Potrei riassumere la questione dicendo che, dopo la prima volta che l'ho sperimentata sulla mia pelle, la mia vita non è stata più la stessa, anzi, non temo di esagerare nel dichiarare che è tutto quello che voglio fare.
Mi conosco piuttosto bene da questo punto di vista, so che posso innescare tale dinamica particolare nelle situazioni più disparate: compleanni, funerali, matrimoni; in strada, al bar, mentre si aspetta il proprio turno all'ufficio postale. Una situazione tranquilla può degenerare nell'arco di pochi secondi e trasformarsi in un vero e proprio vespaio: basta appena una battuta, un singolo termine può dare inizio al putiferio.
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188 - Ne approfitto per chiedere pubblicamente scusa alla mia amica F., una di quelle persone che, più che di carne e ossa, sono fatte di dolcezza e genuina bontà.
Raccontare questa brevissima storiella mi sarà utile, inoltre, per chiarire meglio la portata e l'intensità del fenomeno in questione.
In realtà, è iniziato tutto nel momento in cui mi ha girato la sua tesi di laurea, dal titolo 'Progetti a rete per la prevenzione della devianza minorile'. Sono veramente ghiotto degli scritti degli altri e non perdo mai un'occasione per aumentare la mia collezione.
Probabilmente l'unico errore che F. ha commesso è stato quello di non inserire la clausola di riservatezza a protezione del suo lavoro: non poteva ancora sapere che tutto quello che entra nella mia scatola cranica viene costantemente elaborato, ruminato e poi rigurgitato, con un grado di forza variabile, nelle circostanze più disparate.
Il primo 'death-match' è andato in scena in occasione proprio della festa per il suo addottoramento: ho azzannato come un molosso quella singola particella, 'devianza', che ancora mi suona così strana, e ho trascinato quella fanciulla innocente nel bel mezzo di un fight-club, coinvolgendo nella questione anche altri cinque sconosciuti, che da quel momento sono diventati, così li avrei definiti in seguito, il mio branco di cuccioli, dei ragazzetti giovanissimi ma allo stesso tempo piuttosto svegli.
Ricordo che arrivammo pure a lanciare un coro, simile a quelli che si fanno negli stadi, per invitarla a darci (a me e ai miei cuccioli, si intende) delle delucidazioni più approfondite in proposito.
F. non si aspettava di certo di trovarsi in una situazione del genere, ma si difese discretamente anche se, trattandosi del suo orticello, avrebbe potuto regolarci con più sicurezza.
Nei giorni successivi venni sonoramente rimproverato per il mio atteggiamento e, soprattutto, per non aver tenuto conto del contesto così particolare in cui mi trovavo.
Ma, purtroppo per F., non si è trattato dell'unico caso: il secondo episodio della serie, infatti, andò in scena pochi mesi dopo. Eravamo seduti sopra i gradini di una scalinata, assieme ad alcuni amici in comune. Non so esattamente come si innescarono le dinamiche, ma all'improvviso ci trovammo tutti a discutere, con la foga in rapido aumento, attorno alla medesima questione: il concetto di devianza. Ognuno di noi, come è giusto che sia, esprimeva la sua opinione, lanciava un cazzotto o accennava ad una pedata; quella che poco prima non era altro che una tranquilla chiacchierata attorno ad argomenti neutri si trasformò in una rissa dialettica, sedata a fatica.
Dopo quel fatto F. prese, finalmente, la situazione in pugno e guardandomi dritto in faccia con una determinazione quasi aggressiva pronunciò la formula che mette fine alla storia: «non voglio più che si parli pubblicamente della mia tesi».
Spero mi perdonerà se, nel raccontare i fatti, ho disatteso alla promessa che feci quella sera.
Per quella che considero, per davvero, l'ultima volta.
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189 - Del Fight Club, come peraltro ha avuto modo di sottolineare il romanziere americano Chuck Palahniuk, non si parla. Rientra nella lista di quelle faccende che vanno messe in pratica, piuttosto che discusse. Io credo comunque che sia il caso di occuparci, con rapidi accenni, degli aspetti principali di tale attività.
Intendo il Fight Club come l'arte di problematicizzare in maniera estrema le questioni.
Per Remo Bodei «ogni problematizzazione si riferisce a fenomeni esistenti ma considerati ovvi e perciò non necessariamente inquadrati da quanti li hanno esperiti. Esamina tanto pratiche discorsive che non discorsive. […] In se stesse, tali pratiche non sono né vere né false: lo diventano però a un momento dato, quando — elevate a oggetto di dibattito e di contesa — dividono i partecipanti alla discussione proprio sul terreno della verità o falsità».
Ciascuno di noi ha i propri argomenti preferiti: Michel Foucault, ad esempio, ha fatto della pazzia, dei dispositivi carcerari e della sessualità alcuni tra i suoi campi di indagine principali.
A me invece, parlo dal basso della mia umilissima esperienza, piace discutere con le persone delle rispettive avventure all'interno dell'istituzione scolastica, ad esempio, e come si sarà ormai capito, di sostanze psicotrope.
Adoro perdermi, lo ribadisco, tra le pieghe, tra i contrasti delle tante biografie che mi scorrono davanti, quando il mio interlocutore me lo permette, ovviamente. Colleziono i vari argomenti in un astuccio immaginario, meglio, immateriale, come se fossero delle sfere d'acciaio da scagliare con una fionda.
Io credo — dichiara Michel Foucault nella già citata intervista a Roger-Pol Droit — che si dovrebbe rilanciare un problema così come si rilancia una biglia del flipper: fa tilt o non fa tilt, e poi la si rilancia ancora, e di nuovo si vede.
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190 - La regola principale che vige all'interno del Fight Club è la parresia (termine che appare per la prima volta nella letteratura greca grazie ad Euripide): etimologicamente parresiazestai significa 'dire tutto', da «pan» (tutto) e «rhema» (ciò che viene detto).
Dunque, chi usa la parresia, il parresiastes, è una persona che dice tutto ciò che egli ha in mente, così che chi ascolta sia in grado di comprendere esattamente ciò che egli pensa.
La parola parresia si riferisce a un tipo di relazione tra il parlante e ciò che viene detto. È un processo che permette di svelarsi, di mettersi a nudo attraverso l'espressione autentica e genuina delle verità che ci riguardano direttamente.
Va distinta dunque dalla vuota chiacchiera, dall'indiscriminato e sterile mulinare di lingue, e soprattutto dalla retorica, intesa come mera tecnica per avere il sopravvento sulle opinioni dell'altro. Il parresiastes agisce su queste ultime manifestando il più chiaramente possibile ciò che egli effettivamente crede. Senza esclusione di colpi, è il caso proprio di dirlo.
Senza filtri. Senza veli.
Nel Fight Club, e dunque con l'esercizio della parresia, si corre seriamente il rischio di fracassarsi, in senso figurato ma non per questo meno doloroso, il naso, la bocca, le gengive, le arcate sopraccigliari. Senza sangue non può esserci Fight Club.
Non c'è parresia senza pericolo: spesso si sfida addirittura la morte per la volontà assoluta di voler dire la verità, a tutti i costi, ad una persona potente, come un sovrano.
Il Fight Club è una sorta di gioco, seppur talvolta violento: il rischio, che in un certo senso si fonde paradossalmente con l'obbiettivo, è quello di urtare o irritare l'interlocutore, sino a spingerlo ad una reazione.
La funzione della parresia però non è quella di dimostrare una presunta verità a qualcun altro, ma è quella di muovere una critica: nei confronti dell'interlocutore così come verso se stessi. Una critica a ciò che si crede, che si pensa, al modo in cui si affrontano determinate situazioni, a come si vive.
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191 - La parresia, così come il Fight Club, è anticipata da un tacito accordo tra i partecipanti; si sottoscrive e si accetta una sorta di contratto: da quel momento l'enunciazione della verità diventa la cosa più importante in assoluto, una sorta di dovere, proprio come è necessario, nel Fight Club, colpire l'altro con tutta la violenza e la ferocia possibile.
Nel mio Fight Club ciò che fa la differenza è la bontà delle argomentazioni, non tanto da un punto di vista tecnico, formale, ma in relazione alle effettive motivazioni e ai concreti intenti che di fatto rappresentano il substrato in cui germogliano le nostre scelte e, in sostanza, i nostri comportamenti.
Ciò che fa la differenza, così come nella parresia di stampo socratico, è l'aderenza fra ciò che si dice e ciò che si fa, tra ciò che si dice e ciò che siamo realmente; in un certo senso, tra Logos e Bios.
Da questo punto di vista mi ritengo piuttosto fortunato: nelle pagine dei quaderni su cui mi accanisco con rara, disperata ostinazione, non faccio altro che scrivere, come mi capita di ripetere molto di frequente nell'ultimo periodo, tutto ciò che faccio. In parallelo, nella vita di tutti i giorni, nel mio quotidiano, insomma, mi sforzo come non mai di fare esattamente ciò che riporto sui fogli, per quanto riguarda i propositi e le varie teorie a cui mi riferisco come eventuali modelli di comportamento.
Per alcuni, la maniera che ho assunto, soprattutto nell'ultimo periodo, di espormi, di concedere a tutti i miei ricordi più intimi, soprattutto negli affollatissimi ambienti virtuali così zeppi di sguardi e orecchie indiscrete, è simile allo svendersi; dare le perle in pasto ai porci, pare si dica in questi casi.
Non capisco però perché dovrei considerare come un problema l'offrire un resoconto, quanto più fedele, della mia vita, nel tentativo sincero di migliorarla grazie al parere, al contributo spesso illuminante degli altri. Un resoconto che peraltro si manifesta, ancora più esplicitamente che con le parole dette e scritte, nel mio modo di fare.
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192 - La parresia, al contrario dei monologhi retorici, si basa su un rapidissimo scambio di domande e risposte. Nel Fight Club di fronte ad una domanda si è obbligati a rispondere nella maniera più esaustiva e, possibilmente, tempestiva.
Ciò significa che chi chiede deve aspettarsi una replica repentina, e chi replica può ben essere sottoposto ad eventuali obiezioni.
Valgono tutte le forme di comunicazione, comprese ovviamente quelle non verbali. È consentito usare un linguaggio scurrile, ma le offese gratuite, di bassa lega, potrebbero non essere sempre tollerate.
Nel Fight Club c'è soltanto una regola: vietato arrampicarsi sugli specchi. Chi ci prova, autorizza immediatamente l'altro ad afferrarlo al sedere e a ributtarlo al centro del 'ring'.
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193 - Chi si imbatte in me rischia seriamente di imbattersi in tutto questo.
Mi fa sorridere leggere ciò che Platone fa dire a Nicia nel Lachete, perchè ho l'impressione che qualche mia conoscenza abbia pensato qualcosa di simile, tra uno sbuffo represso e un altro, nel frattempo che scontava la tortura data dalla mia vicinanza, in attesa della tanto agognata fuga.
Non mi sembra che tu sappia che chi si trovi a ragionare con Socrate, come capita, ed entri in conversazione con lui, qualunque sia il soggetto in discussione, è trascinato torno torno ed è forzato a continuare finché non casca a render conto di sé, del modo in cui ha trascorso la sua vita; e una volta che c'è cascato, Socrate non lo lascia più prima di averlo passato al vaglio ben bene e in ogni parte. Io che ho l'abitudine a lui so anche che è inevitabile che si sia trattati così e so pure benissimo che non gli sfuggirò neanch'io.
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194 - Ciò che mi pare abbastanza chiaro, a questo punto del discorso, è l'altissima intensità emozionale che si viene a creare in un'attività come quella del Fight Club: sembra quasi di provare un sentimento profondissimo per chi accetta di parteciparvi ma, se si riflette bene, si comprende che l'amore è rivolto in sostanza verso la pratica stessa.
Premesso che ogni individuo ha caratteristiche diverse, prima fra tutte la capacità di reggere al flusso ed al confronto, mi muovo nello spazio sociale seguendo una semplicissima regola d'ingaggio: con chiunque, in qualsiasi posto.
Il mio sogno, lo esprimo pubblicamente, è quello di mettere in piedi dei Fight Club ambulanti o, se si preferisce, deambulanti. Niente di nuovo, nella maniera più assoluta; nell'Apologia di Socrate si legge infatti:
Farò così con chiunque incontrerò, giovane o vecchio, miei concittadini, in quanto mi siete più vicini per stirpe. Infatti è proprio questo che mi comanda il dio.
Ed ancora:
In realtà ciò che faccio non è nient'altro se non andare in giro per le strade […]. Credo che il dio mi abbia attaccato alla città proprio per svolgere un compito del genere: è per questo che non smetto di pungolarvi, di persuadervi, di rimproverarvi a uno a uno, standovi addosso dappertutto, mattina e sera.
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195 - Se ci fossero dei dubbi poi, sulla bontà del paragone tra parresia e Fight Club, mi rendo ben conto, infatti, che possa apparire un tantino azzardato, giocherei senza indugi una delle carte fornitemi dal mio 'archeologo del sapere' preferito. Così Foucault in Discorso e verità nella Grecia antica:
Mentre il dialogo socratico traccia un sentiero intricato e tortuoso da una comprensione ignorante a una ignoranza consapevole, il dialogo cinico somiglia piuttosto a una lotta, a una battaglia, o a una guerra, con punte di grande aggressività e momenti di pacificazione — scambi pacifici che naturalmente rappresentano altrettante ulteriori trappole per l'interlocutore.
**196 - Quanto sino a qui trattato riguarda l'aspetto battagliero, per così dire, della filosofia.
Ma c'è anche una seconda faccia della medaglia, a cui mi sento altrettanto affezionato. Gran parte dei miei discorsi con le persone infatti vertono sull'altra mia immensa passione.
Per descrivere lo stato d'animo che mi accompagna in questi casi non trovo davvero niente di più efficace che citare un passo di Terence McKenna, uno dei maggiori conoscitori e sperimentatori di sostanze psicotrope dei nostri tempi, contenuto nel suo Vere allucinazioni:
Mi resi conto che la mia innata logorrea, tipica degli irlandesi, era stata decisamente amplificata da anni di consumo di funghi magici.
Aiutato dalla mia devozione alla psilocibina, mi ero apparentemente trasformato in un portavoce del Logos incarnato. Potevo parlare con ricadute elettrizzanti a piccoli gruppi di persone riguardo agli argomenti trascendentali di cui leggerete in questo libro.
In un primo momento queste performance verbali mi sembravano relativamente normali, ma riascoltando le registrazioni riuscii a capire il motivo per cui le altre persone ne erano affascinate.
Era come se la mia personalità, ordinaria e noiosa, fosse svanita, e attraverso di me parlasse la voce di un altro, una voce calma, chiara, senza esitazioni, una voce che cercava di informare gli altri sul potere, sulle speranze delle dimensioni psichedeliche.
Terence McKenna è morto il 3 aprile del 2000. In questo momento mi sento come se fossi un segmento della stessa linea retta, una porzione dello stesso immenso frattale. Credo che forse siamo qui anche per portare avanti, a modo nostro, il lavoro iniziato da tutti coloro che ci hanno preceduto.