158 - So bene come la pensate. La metafora della caverna proposta da Platone (con voi) non calza perché, a partire dal vostro quotidiano, non vi sfugge mai nemmeno una virgola: avete sempre il controllo assoluto della situazione, conoscete la realtà sin nei suoi dettagli più impercettibili, non ci sono misteri o zone d'ombra, né per quanto riguarda la vita né tanto meno per quanto riguarda la morte. Vi trovate immersi all'interno di una chiarezza, di una onniscienza senza eguali: viaggiate sicuri con il bagaglio fornito dalle vostre molteplici esperienze e, soprattutto, con tutte le perle messe da parte durante i vostri soggiorni all'interno delle varie istituzioni scolastiche.
Per quanto riguarda invece le ombre distopiche proiettate dalla torre centrale del Panopticon si tratta soltanto di una paranoia piuttosto infantile: in realtà l'uomo nel 2018 sta vivendo l'apice per quanto riguarda la sua libertà individuale; questo mondo è il frutto immacolato dell'illuminismo, il posto migliore in cui stare, discorso ovviamente che vale in automatico per i vostri pargoli, che erediteranno, assieme ai grossi pacchi contenenti la vostra arguzia e la vostra scaltrezza a prova di bomba, tutti i comfort e i piaceri che sgorgano copiosi come acqua fresca da una sorgente d'alta montagna. C'è però ancora un ultimo aspetto che mi preme trattare: una questione che, volenti o nolenti, ci riguarda un po' tutti: il lavoro. Per farlo, non ho trovato niente di meglio che organizzare una bella visita guidata presso il penitenziario della collina del ciliegio.
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159 - Non è mia intenzione avventurarmi in una esplorazione delle varie tappe che hanno caratterizzato lo sviluppo del lavoro dell'uomo nel corso dei millenni. A dirla tutta, credo di non possedere nemmeno le competenze basilari necessarie.
Mi concentrerò così sulla situazione che sto vivendo attualmente, in prima persona, e che scorre impietosa di fronte ai miei occhi. Credo comunque che un confronto con quanto accaduto nel recente passato possa fornire diversi spunti interessanti, utili tra l'altro per far germogliare il sospetto, almeno questa è la speranza, che ancora una volta il presente sia stato minuziosamente architettato con largo anticipo.
Volendo dare un'apparecchiata rapida alla nostra tavola potremmo organizzarci così: il mondo è abitato da due categorie distinte di persone; al vertice della nostra ipotetica piramide ci sono i ricchi, i potenti, i nobili, coloro che si possono permettere, attraverso vari mezzi, da quelli più violenti sino a quelli più sottili e subdoli, di mantenere in una condizione di perenne subordinazione tutti gli altri.
Schiavi e servitori, salariati e impiegati, il concetto non cambia: una moltitudine occupata nei miliardi di attività tra le più disparate.
C'è stato un periodo, da quanto mi raccontano, in cui l'uomo doveva la sua sopravvivenza in questo pianeta unicamente alle risorse che riusciva a strappare, non senza grandissimi sforzi, dal seno della natura, per poi trasformarle, con tecniche sempre più sopraffine, grazie alle proprie mani e al proprio ingegno.
Ogni zona presenta(va?) le sue peculiarità: ci sono territori ricchi di legname o di minerali, altri più fertili e favorevoli per la diverse coltivazioni, altri particolarmente adatti per la pesca.
La conformazione del paese determinava le attività della comunità che ci vive ma il commercio ha contribuito a spalmare, da tempi immemori, i vari prodotti sulle superfici popolate.
L'individuo ha sempre dovuto badare al suo sostentamento, procacciandosi gli elementi fondamentali per soddisfare i suoi bisogni primari, e poi garantire all'eventuale padrone, al signore di turno, una parte consistente di quanto ricavato (o direttamente il proprio tempo e le proprie energie) per saldare, ma solo in una minima parte, quello che mi sembra un eterno debito inestinguibile, il pedaggio da corrispondere puntualmente per ogni giro di giostra.
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160 - Di solito i più scaltri, o i più fortunati, dipende dai punti di vista, sono riusciti ad evitare le attività più logoranti in favore di mansioni più confortevoli.
Quello che è certo è che per sopravvivere all'interno del sistema bisogna pur occuparsi di qualcosa, anche solo imbrogliare il prossimo, o comunque trovare di continuo nuovi sotterfugi per svoltare le giornate.
Il quadro muta drasticamente, il nostro discorso muove i suoi primi passi proprio da questo punto, con l'introduzione e l'avvio dei metodi industriali di produzione; un cambiamento che provocherà numerosissime fratture nel tessuto sociale e che avrà grosse ripercussioni non solo dal punto di vista legale ma anche in quello economico: il nascente rapporto uomo – macchina pretende l'addestramento della manodopera per quelle attività nuove e al contempo la gestione della stessa, finalizzata, è ovvio, alla massimizzazione dei profitti e l'abbassamento dei costi.
Sposiamo volentieri la tesi di chi sostiene che il carcere nasce, si sviluppa e si perfeziona come meccanismo con cui la borghesia cerca di creare il proletariato, ovvero quella classe da impiegare negli insoliti lavori che le fabbriche offrono.
Il bacino a cui attingere è vastissimo, composto prevalentemente da persone in fuga dalle campagne che si riversano nelle grandi città, con le terre comuni che nel frattempo erano state progressivamente privatizzate e recintate dalla nuova borghesia nascente. Le attenzioni si concentrano dunque sulle migliaia di persone, ormai espropriate delle conoscenze specifiche originarie e sradicate dai loro ambiti produttivi, che si trasformano inevitabilmente in mendichi, vagabondi, talvolta briganti. Tutti comunque accomunati dal fatto di essere disoccupati.
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161 - La prima soluzione adottata in questo senso sono le work-houses (celebri quelle inglesi durante l'età elisabettiana): la struttura sintetizza due principi, quello dell'internamento, tipico del carcere, e quello del lavoro in fabbrica.
Tra gli esempi più celebri e antichi troviamo il Rasp-Huis di Amsterdam, riservato ai maschi per lo più molto giovani, aperto nel 1596, chiuso nel 1815 e demolito nel 1892 per far posto prima ad una piscina e poi, sostituzione a dir poco emblematica, ad un centro commerciale.
Al suo interno l'ozio viene considerato un vizio da estirpare assolutamente, la povertà è una diretta conseguenza, una delle colpe più grandi con cui si può macchiare un individuo; il brigantaggio e il vagabondaggio, così come la prostituzione, sono considerati comportamenti da modificare: la funzione delle case di correzione e delle case del lavoro è quella di formare gli uomini per renderli idonei all'inserimento in un mondo che fino a quel momento hanno rifiutato, un mondo in cui chi vuole vivere deve lavorare.
Coloro che frignano quotidianamente a causa delle scarse gratificazioni, anche e solo in termini puramente emozionali, riservate dalle proprie attività potrebbero trovare parziale consolazione in quanto segue: i detenuti del Rasp-Huis passavano le giornate a raspare, da qui il nome, il legno dell'albero di Pernambuco per ottenere la segatura che poi veniva utilizzata, come materia prima, nelle industrie di vernici e coloranti tessili.
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162 - In parallelo, assieme alla pratica del lavoro forzato, viene introdotta, nel modello inglese, la detenzione in regime di isolamento: tale metodo deriva, come già accennato in precedenza, dalle esperienze monastiche di stampo cristiano e persegue due fini: da una parte si impedisce che i detenuti entrino in contratto fra di loro e riescano a coalizzarsi, un'eventualità pericolosissima per la sicurezza della stessa istituzione carceraria, e dall'altra si utilizza la solitudine come strumento per infliggere nei confronti del soggetto uno strazio ancora maggiore.
Il lavoro forzato e l'isolamento, combinati assieme, rappresentano un'assoluta innovazione nel campo della gestione e organizzazione dell'individuo. Se il primo richiede un'attenta osservazione del soggetto e dei suoi movimenti, il secondo apre, in maniera mai così concreta, alla sperimentazione di nuove modalità per quanto riguarda l'impostazione di spazio e tempo.
Ciò che questa orribile mescolanza produce è un uomo totalmente disciplinato, completamente investito e reso malleabile dal potere, un uomo programmabile minuziosamente, che darà risultati prevedibili con estrema precisione. La disciplina sarà lo strumento con cui, non solo in carcere ma anche in ambito militare, nei posti di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, il potere agirà sull'individuo, con un potenziale di intervento sul comportamento umano (sia fisico che psicologico) nemmeno lontanamente immaginabile alcuni decenni prima.
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163 - Queste righe in un certo senso sono un monito: da millenni siamo rinchiusi, condannati a remare in questa maledettissima galera che galleggia lungo il fiume del tempo. In passato venivamo costretti con la forza bruta, le botte e le torture; oggi i metodi sono cambiati: il sistema si regge su un gioco sottilissimo di premi, debiti e ricompense; di condizionamenti sempre più subliminali, ma il succo, a me sembra, ha sempre lo stesso sgradevole sapore.
Nell'antichità, almeno, gli schiavi venivano impegnati molto spesso nella realizzazione di opere mastodontiche, di monumenti la cui essenza tendeva al trascendentale, il cui scopo era, tra l'altro, il resistere al lento scorrere dei secoli.
Le attività di stampo moderno su cui perdiamo i nostri giorni sono, come peraltro fanno notare in tanti, impalpabili; nascono e svaniscono a velocità impressionanti, non lasciano nessuna traccia né in chi le crea né tanto meno nel mondo che dovrebbe accoglierle.
Remiamo spinti dalla paura: di morire di fame, di morire di freddo, di morire di noia, di morire di insoddisfazione.
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164 - Il carcere è un microcosmo in cui si mandano in atto gli esperimenti più disparati che poi verranno estesi in seguito alla totalità degli ambiti sociali: diventa laboratorio, luogo di osservazione privilegiato, strumento di verifica.
Al suo interno si calibrano e si testano tensioni del tutto inconsuete per gli individui.
Non c'è niente di strano, niente di cui stupirsi se l'attuale crisi del mondo del lavoro, per le modalità che ha assunto e per i terribili effetti che produce sulle persone, non solo a livello economico ma su un piano strettamente psicologico, ricorda le dinamiche che ebbero origine, proprio all'interno delle prigioni, a partire dai primi anni del 1800.
In quel periodo il sistema viene pesantemente criticato dagli operai, costretti a fare i conti con una sorta di concorrenza sleale: i prodotti fabbricati nei penitenziari sono immessi nel mercato ad un prezzo inferiore anche del 60% rispetto ai manufatti realizzati dai cosiddetti cittadini liberi che, come se non bastasse, sono soggetti a pesanti tassazioni che servono, anche, al mantenimento di quella specifica istituzione.
Si tratta di una triste anticipazione dei tempi: non possono esserci impieghi per tutti, tanto meno in un mondo sempre più sovraffollato, in cui le macchine, assieme ad un apparato di scoperte in costante crescita, agevolano (ma in realtà sostituiscono) l'attività umana.
Come ogni buon giocatore di scacchi sa bene, a volte per continuare la partita bisogna rinunciare a qualche pedina importante. Nel nostro caso, carcere e lavoro sembrano non poter più proseguire a braccetto. La soluzione, del resto, è piuttosto ovvia.
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165 - Il nostro allegro romanzo si arricchisce di un protagonista: il suo nome è John Haviland, nasce il 15 dicembre del 1792 in un buco qualunque del sud-ovest dell'Inghilterra e di li a poco diventerà una delle figure di spicco del movimento architettonico neo-classico americano. Tra le sue perle, molte delle quali si trovano nella città di Filadelfia, ci sono tre chiese ed un teatro, ma è nella progettazione delle prigioni, una decina abbondante sparse in lungo e in largo nello stato della Pennsylvania, che il nostro mostra tutto il suo incredibile talento. Nel 1829, proprio da una sua brillante idea, viene costruito l'Eastern State Penitetiary, chiamato anche il penitenziario di Cherry Hill. Ciò che ci interessa, tuttavia, non è tanto il suo guscio, quanto il bizzarro tentativo che va in scena tra quelle stanze.
Per comprendere al meglio la portata della questione, è necessario però fare un piccolo saltello all'indietro.
Nel 1682 William Penn introduce il sistema delle work-house (già ampiamente sdoganate in paesi come Inghilterra e Olanda) in Pennsylvania, che vanno ad affiancarsi alle antiche jails: in queste ultime trovavano posto i detenuti in attesa di giudizio, nelle altre invece tutti i colpevoli di crimini minori, per i quali non erano previste pene corporali, assieme ad oziosi e vagabondi.
Così come in Europa, anche nel Nuovo Mondo il lavoro all'interno delle case di correzione divenne argomento spinoso: esplose presto, ed in maniera evidente, l'impossibilità di portare avanti il processo rieducativo e formativo dei detenuti, alla luce di una situazione economica in rapida espansione e, aspetto non secondario, sempre più complessa dal punto di vista tecnologico.
La conseguenza di questo stallo si materializza nel 1790, quando appare il primo penitenziario a struttura cellulare, costruito nel giardino del carcere preventivo di Walnut Street a Filadelfia, in cui si internavano, inaugurando così il modello del solitary confinement (isolamento solitario), i condannati a pena detentiva. Questa struttura, come altre simili sorte contemporaneamente, non ebbe tanta fortuna, sia per gli alti costi di gestione e sia per gli effetti nefasti provocati sugli individui, con numerosissimi casi di suicidio e pazzia.
Il fallimento di questo esperimento portò però alla nascita di altri due modelli: nel 1816 fu costruito il carcere di Auburn nello stato di New York, un anno più tardi iniziano i lavori legati a quello di Pittsburgh.
I cardini di queste istituzioni erano l'isolamento continuato, anche diurno, con l'obbligo del silenzio, la meditazione e la preghiera.
Nel primo caso i risultati furono disastrosi: su un totale di ottanta individui, cinque morirono nel giro di un anno, molti altri persero rapidamente il senno. Per porre rimedio a questo effetto collaterale si limitò l'isolamento alle sole ore notturne e si introdusse il lavoro durante la giornata, ma questo veniva svolto nel più totale silenzio, in laboratori comuni.
Anche nel secondo caso, a partire dal 1827, ci si affida ad un regime di isolamento totale, senza però nessuna attività che potesse spezzarne la monotonia: nella prigione in Pennsylvania le sole operazioni della correzione sono la coscienza e la muta architettura cui essa si urta.
Cherry Hill non è altro che la perfetta sintesi tra i due tipi: i muri sono la punizione del crimine; la cella mette il detenuto in presenza di se stesso; egli è obbligato ad ascoltare la sua coscienza.
Cherry Hill è l'annientamento della vita che rincomincia sotto valori diversi e con significati profondamente mutati: forse nella prima volta nella storia il lavoro viene inteso come una consolazione contro la monotonia e non una punizione, tant'è che viene negato o sospeso a chi non collabora al processo rieducativo. Il suo compito principale era l'esercizio di una funzione terapeutica psico-fisica, senza curarsi per nulla delle esigenze economiche e produttive: i carcerati si dedicavano ad attività semplici, come impagliare le sedie, lavorare la stoppa, arrotolare sigari, tagliare e cucire le divise.
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166 - Tra i fenomeni più assurdi a cui la generazione a cui appartengo ha fatto da testimone silenzioso (quando è andata bene, perché in realtà molti di noi sono il bersaglio principale) c'è senza dubbio la comparsa, all'interno del quadro sociale, dei cosiddetti 'NEET', acronimo inglese che indica tutte le persone, prevalentemente d'età piuttosto giovane, che sono costrette a marcire in un limbo arredato con il nulla più assoluto, dove il nulla, inteso come la negazione dell'essere, è la parola d'ordine di riferimento: “Not in Education, not in Employment, not in Training”.
All'inizio del 2016, da quanto si viene a sapere, il loro numero in Italia era circa di un milione e trecentomila unità. Due anni dopo, i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano sono due milioni e trecentomila, e rappresentano solo uno spicchio, un quarto del totale.
È da diversi anni, sono sincero, che sento una voglia irresistibile di parlare con ciascuno di loro, per avere un'idea precisa e diretta sul loro stato d'animo.
Qualcosa mi dice che le testimonianze sarebbero incredibilmente in linea con i dati raccolti dal giudice Charles Coxe per il suo primo rapporto alla commissione legislativa, in tema di lavoro penitenziario a Cherry Hill:
Quando un prigioniero arriva è portato nella sua cella e lasciato solo, senza lavoro. Ma poche ore dopo già prega di poter fare qualche cosa...
Ed ancora:
Se il prigioniero sa fare un mestiere che può essere agevolmente svolto nella cella, gli è concesso di lavorare come premio e come stimolo alla buona condotta...questo lavoro è considerato e valutato come una ricompensa, la cui privazione è interpellata come una punizione.
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167 - Volendo ficcare ulteriormente il ditino all'interno dell'ormai ben nota piaga si può citare, così giusto per concederci un ultimo slancio di cinismo a basso costo, una delle tante testimonianze raccolte da Gustave de Beaumont e Alexis de Tocqueville (mandati dal ministero dell'interno francese a studiare la situazione carceraria negli Stati Uniti in vista di una riforma) all'interno proprio di Cherry Hill, nell'ottobre del 1831:
Internato n.00
Trentottenne; è appena da tre settimane nel penitenziario e sembra immerso nella più nera disperazione.
«La solitudine mi ucciderà», egli dice, «non ce la farò a durare sino alla fine. Morirò prima».
Domanda: «Non trovi qualche consolazione nel lavoro?»
Risposta: «Si, Signore; la solitudine senza lavoro è mille volte più orribile, ma il lavoro non mi impedisce di pensare e di essere quindi infelice. Qui dentro la mia anima è ammalata».
Lo sfortunato singhiozzò nel parlare della moglie e dei figli, che non sperava ormai di rivedere. Quando entrammo nella sua cella lo trovammo che piangeva e lavorava nello stesso tempo.
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168 - La torta insomma, dopo aver lievitato abbondantemente, è stata infornata ed ora ha raggiunto il suo grado di cottura ideale: ciascuno di noi ne riceverà una bella fetta sul piatto ed armato del suo bravo cucchiaino sarà chiamato a mangiarla sino all'ultimo boccone.
Ma prima di servirla, lo chef si riserva il suo sacrosantissimo diritto di piazzare la più classica delle ciliegine, per addobbare in maniera ancora più sontuosa la sua creazione.
A questo punto è necessario riprendere l'analisi del Panopticon, o meglio, della sua versione tutta moderna, che nel frattempo è stata riveduta e corretta.
Nel modello originario, infatti, non era previsto nessun contatto reciproco tra detenuti .
Attualmente invece, e grazie soprattutto a quel prodigio della ragione umana che prende comunemente il nome di social-network, ci diamo contemporaneamente allo sguardo del controllore e a quello di tutti gli altri rinchiusi. Nell'epoca dell'inattività forzata, ci affacciamo ai nostri balconi virtuali per mettere bene in mostra le occupazioni con cui facciamo lo slalom tra le ore delle nostre giornate. Nell'era della stasi mortifera generalizzata siamo come dei criceti che fanno a gara, gli uni contro gli altri, a correre più forte, ognuno nella propria ruota. Più chilometri macini, più divertimenti frulli, più visibilità ottieni dal marchingegno.
Con tanto di classifica: ai primi posti ci sono coloro che possono permettersi il lusso di cambiare location ogni 20 minuti, saltellando come cavallette da un continente all'altro; in mezzo, la folta schiera di coloro che si ispirano al fuoriclasse di turno ma si devono accontentare di traguardi per forza di cose mediocri (ed è appunto nella mediocrità che germoglia il sogno di scalare posizioni per raggiungere l'apice); a tutti gli altri non resta che guardare, immersi nel grigiore del proprio risentimento, e piagnucolare per un destino da esseri insignificanti, con il rammarico perpetuo di non avere in tasca neppure un gettone per fare anche e solo lo straccio di un giro di giostra.