130 - Giorno dopo giorno mi sorprendo ad essere sempre più esigente nei miei confronti: non mi do tregua, un segugio instancabile che bracca la sua preda senza lasciarle un attimo di tranquillità. Giorno dopo giorno mi sorprendo ad essere sempre più critico e spietato, soprattutto in caso di errore. Il meccanismo si attiva in automatico: evidenzia in maniera inequivocabile lo sbaglio, con accecanti vernici fluorescenti; impossibile fare finta di niente.
Una voce, severa ma priva di qualsiasi traccia di cattiveria, mi racconta, per centomila milioni di volte, la storia della mia ultima caduta. Mi svela, nel dettaglio, la sequenza di mosse maldestre che mi hanno portato a perdere l'equilibrio. È proprio nel momento di massimo sconforto, quando ti sembra di aver fallito senza nessuna possibilità di riscatto, che invece devi trovare la forza, il coraggio e la caparbietà per rialzarti e ricominciare tutto da capo. La nuova cicatrice ti catapulta ad una nuova situazione di umiltà: — Ricordati, uomo, che sei tutt'altro che perfetto.
Che prezioso appunto: ora non resta altro da fare che imparare la lezione a memoria sino a conficcarla a forza nella polpa del cervello, per non scordarla mai più e per farsi trovare pronti (e rinnovati) nel momento in cui la rivincita sarà a portata di mano. Non hai più scuse. Solo un cammino da seguire, nonostante la sensazione di disorientamento sia così forte, pressante, oppressiva. Come nel labirinto di Chartre de la Dame...
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131 - Ancora, proprio come una partita a flipper, se ti impegni con tanta foga, magari nell'intento di battere il tuo record personale, ti può capitare di mandare in tilt l'intero sistema. Fa parte del gioco, si dice in questi casi.
I Ditirambi di Dioniso scritti da Nietzsche mi saltano fra le mani, racchiusi in una sobria versione dalla copertina rigida in cartoncino giallo. Nel frattempo che sbrigo le pratiche economiche per la loro adozione, C. si avvicina al banchetto dei libri.
— Sai com'è morto? — le chiedo a bruciapelo, riferendomi all'autore.
Scuote la testa.
— L'ha finita a mangiare la propria merda in un manicomio.
La sua risposta è carica di saggezza.
— Si può uscire fuori di testa in molti modi, non solo con la filosofia; con il disegno, con l'agricoltura, con l'arte in genere...
Giusta osservazione. Non fa una piega.
Che ciascuno di noi si prepari ad affrontare il proprio peggio dunque, il proprio salto finale, senza ritorno, nell'abisso.
In questo momento considero la mia scatola cranica come se fosse una piccola fornace: ogni secondo che riesco a salvare dall'olocausto dei processi produttivi che nutrono l'ipercapitalismo globale è dedicato al mio sistema; io non devo fare altro che aggiungere la legna e tenere la temperatura sufficientemente elevata.
Lavorare sulle idee, in continuazione: aggiungere nuovi input, nuove informazioni che possano generare nuove considerazioni. Senza sosta.
Il mio sistema è la cosa più importante della mia esistenza, ormai: per esso sono ormai pronto a rinunciare, a dimenticare nella loro totalità tutti gli aspetti che hanno caratterizzato le mie vite precedenti. Nel mio sistema sono racchiuse le modalità, le direttive con cui mi rapporto con il mio fisico, con la mia coscienza e il mio inconscio.
Il rischio è quello di deragliare fuori dai binari della razionalità, allontanandosi pericolosamente dalle più elementari convenzioni sociali. Spesso il soggetto alienato non riesce ad avere una percezione sufficientemente nitida della propria alienazione.
Tutto quello che mi serve è un confronto, quanto più obbiettivo possibile, con un attore esterno al mio contesto, che possa aiutarmi a cogliere il mio reale stato.
In alternativa, mi devo disegnare un 'protocollo di verifica', una serie di processi che mi permettano di capire, eventualmente, quanto scollamento c'è tra il mio mondo e quello in cui vivono tutti gli altri. Sino a quando riuscirò a portare a termine, in maniera sufficientemente valida, le attività che compongono il mio lavoro, ad esempio, o sino a quando sarò in grado di seguire le funzioni che germogliano nella mia comunità di appartenenza (da quelle più comuni come il procurarsi il cibo, al liberarsi dei rifiuti) ed inserirmi nei vari meccanismi, come partecipare alle feste o ad altre manifestazioni pubbliche, senza mostrare gravi segni di squilibrio, potrò ritenermi ancora sufficientemente connesso con tutto il resto.
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132 - Le righe che seguono sono state poggiate su carta durante il densissimo pomeriggio del 24/05/17.
Fotografano alla perfezione una delle tante versioni frignanti e piagnucolanti del sottoscritto, alle prese con i pesanti postumi dopo una 'festa' particolarmente turbolenta.
Mi fa sorridere rileggerle, a distanza di tempo, ora che quella sensazione velenosa è volata via, ma illustrano piuttosto bene i rischi a cui si va incontro ad avventurarsi con simili pratiche.
Probabilmente se mi fossi limitato al solo studio della filosofia non sarei arrivato a questo livello così intenso di dolore.
Probabilmente se mi fossi limitato soltanto alla semplice assunzione delle sostanze psicotrope non mi sarei trovato a gestire attacchi di consapevolezza così violenti.
Probabilmente l'errore non è stato tanto unire questi due elementi, che fra di loro spesso sembrano andare così d'accordo.
Probabilmente l'errore più grande è stato volersi spingere, con il mio corpo e la mia mente, oltre i limiti imposti dalle Leggi Sacre dell'Universo.
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133 - La tentazione è quella di abbandonarsi, volontariamente, al più dolce dei regimi di isolamento.
La solitudine è un alleato eccellente: ti garantisce tutto il tempo e lo spazio di cui hai bisogno per trastullarti con quel gingillo magnifico che è la tua mente.
La storia è piena zeppa di poveri diavoli che hanno rinunciato alla propria dimensione umana sociale ordinaria per dedicarsi ad altri aspetti dell'esistente.
Gli iatromanti, ad esempio, facevano della segregazione in santuari e caverne sacre una delle strade principali per il raggiungimento degli stati visionari. Con questo termine, ci si riferisce a dei guaritori-veggenti iniziati al culto di Apollo Iperboreo, molto prossimi, per pratiche e condotte di vita, allo sciamanesimo di stampo siberiano, fenomeno che sarebbe approdato nelle colonie greche sul Mar Nero attorno al VII secolo A.C.
Discorso simile può essere esteso ai mistici di tutte le zone e le epoche che, attraverso rigidissime pratiche ascetiche, miravano ad un contatto diretto con l'Assoluto, il fondamento ultimo ed immutabile della Realtà, raggiungendo di fatto l'estasi.
In un certo senso posso capirli benissimo.
Nel novembre del 2010 sono riuscito a mandare in scena la primissima esperienza psichedelica (degna di questo nome) nella mia terra d'origine: dopo svariate trasferte nei Paesi Bassi sentivo il bisogno di un contatto diretto con il mio nido, con i luoghi che mi avevano visto crescere.
Nel frattempo che seppellivo il dolore (e parte dei ricordi) relativi a mia madre e ad uno dei miei migliori amici, entrambi prematuramente scomparsi, sono arrivato alla conclusione che il raggiungimento di quello stato, una serena e beata chiarezza che di colpo investe i segreti silenziosi della vita e della morte, fosse quanto di più alto e sublime si potesse raggiungere da soli, in compagnia del proprio cervellino.
È un po' come trovare il nascondiglio in cui qualcuno ha messo il vaso della marmellata: dopo che la assaggi, immergendo la punta timida dell'indice in quell'oro zuccheroso e fruttato, non puoi più farne a meno.
Mi risuonano prepotenti le parole che Irvine Welsh fa recitare al suo Mark Renton in 'Trainspotting', sebbene la sostanza a cui ci si riferisce in questo caso sia diversa da quelle a cui mi dedico. Ciò che conta, comunque, è l'idea di fondo.
La gente pensa che si tratti di miseria, disperazione, morte, merdate del genere che pure non vanno ignorate. […] Ma quello che la gente dimentica è quanto sia piacevole, […] sennò noi non lo faremmo. […] In fondo non siamo mica stupidi! Almeno non fino a questo punto, e che cazzo!
Prendete l'orgasmo più forte che avete mai provato. Moltiplicatelo per mille. Neanche allora ci siete vicini.
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134 - ...se invece volessi dare una decisa pennellata di ateismo alla faccenda, potrei avvalermi della 'Teoria dei tre mondi' di Popper.
Secondo lui infatti la coscienza dell'individuo è a stretto contatto con la dimensione prettamente materiale (molecolare, atomica) dell'esistente; la influenza, attraverso opere e scoperte, e ne viene allo stesso tempo condizionata.
La coscienza inoltre ha la possibilità di entrare in contatto con quello che Popper chiama 'il Terzo Mondo', o mondo delle idee: un bacino sterminato di nozioni, informazioni e teorie al quale si accede, aggiungo io, in varie maniere, alcune immediate, altre ancora avvolte nel mistero.
All'individuo, dunque, non resta altro da fare che mettersi in cammino.
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135 - Eppure sento che questo particolare tipo di 'cura di me stesso' ricopre soltanto il cinquanta per cento sul totale delle attività a cui mi sento di volermi dedicare.
Ogni scoperta, seppur piccola e magari insignificante, merita comunque di venire condivisa con gli altri. Sarebbe un errore imperdonabile, in termini di egoismo, se agissi esclusivamente per nutrire i miei interessi personali.
Raccolgo continuamente lungo la strada indizi nuovi che vanno a formare, come le tessere di un puzzle, la mia deontologia: è utile avere un riferimento, un confronto con le esperienze di chi, in passati ormai anche molto remoti, si è imbattuto in percorsi simili a quelli che io ho intrapreso, quasi per caso, come un bambino che si muove a tentoni in una scacchiera composta da miliardi di caselle. È grande la sorpresa nel constatare come filosofie e pratiche anche piuttosto distanti fra di loro abbiano in comune pericoli e relativi consigli, oltre a limiti e divieti.
Come chi si dedica alle pratiche di tipo sciamanico, ad esempio, è invitato a non utilizzare le eventuali abilità per raggirare, prevaricare il prossimo o per soddisfare i propri desideri (pena il tormento e la morte), così colui che utilizza le varie tecniche dialettico-filosofiche dovrebbe ricordarsi che il suo agire è esclusivamente finalizzato all'arricchimento etico e culturale del prossimo (in caso contrario, si incappa nell'infamia, nel disonore).
Si tratta di due pratiche, infine, in cui viene rigidamente scoraggiato l'accettare del denaro in cambio dei servizi offerti. Mi trovo dunque a giocare due partite su altrettanti tavoli: l'attenzione, la meticolosità con cui ricerco dei dati utili per potermi calare nelle vastità oscure della mia totalità psicofisica deve accompagnarmi nell'apertura verso l'esterno.
Ed è proprio di quest'ultimo aspetto in particolare che mi occuperò nelle prossime righe.