081 - Mentre riemergo da questa faticosa immersione nelle profondità della Storia del Pensiero Occidentale, mi trovo ancora alle prese con una piccola questione: cosa posso fare io? Posso contribuire in qualche modo?
Devo necessariamente partire da una premessa: probabilmente le qualità di uno studente, di un soldato, come di qualsiasi figura professionale, dipendono per prima cosa dalla bontà degli insegnamenti ricevuti; più è grande il calibro intellettuale, ma non solo, del maestro, più è grande il patrimonio ricevuto in eredità dal discepolo.
Limitandoci a questa visione delle cose è difficile credere che io abbia in mano le carte giuste per diventare una super-star del pensiero filosofico, cosa che peraltro, devo essere sincero, non mi è mai interessata, nonostante la Fuckoltà di Filosofia della città di Cagliari non sia di certo tra le più disastrose al mondo.
Per M. la mia è solo una patetica scusa.
Adoro la violenza con cui, di solito, cerca di buttare giù le mie considerazioni.
Affrontiamo il discorso in un'afosa notte d'estate del 2016, seduti su una panchina, nei pressi del lungomare. Alle nostre spalle, un noto gruppo reggae della zona spara le ultime cartucce della serata.
La sua teoria non fa una piega: è molto difficile che Nietzsche, giusto per citare uno dei nostri preferiti, passasse il suo tempo appresso a simili cretinate, riferendosi allo spettacolo musicale di cui siamo stati spettatori, io in maniera più convinta, per una mezz'ora scarsa.
La differenza tra noi, poveri, inutili sfigati e il tedesco è proprio questa, e mentre lo afferma mi lancia una delle sue occhiate severe.
Il suo contributo risulta prezioso: rivaluta il ruolo del soggetto, rimette in gioco le attitudini di ciascuno di noi e, cosa ancora più importante, le intenzioni, l'energia con cui ci impegniamo nelle nostre faccende.
*
082 - Il quadro viene completato dalle parole di C., che pochi mesi dopo sarebbe diventato il mio primo e per ora unico maestro di teatro, come mi piace definirlo: colpisce il bersaglio, senza probabilmente manco accorgersene.
Il senso generale del suo discorso è questo: viviamo in un tempo in cui possiamo, e dobbiamo, arredare gli spazi delle nostre competenze in autonomia; non ci sono linee guida da rispettare se non quelle dettate dal nostro intuito. Iniziamo il percorso muovendoci quasi a tentoni, ma i margini di miglioramento sono notevoli, e potenzialmente alla portata di tutti. Basta solo volerlo.
Mi si permetta un'ultima considerazione: lungo il tragitto che è in sostanza la nostra vita ci nutriamo degli altri, dei loro pensieri, delle loro esperienze. Spetta a noi apparecchiare la tavola, per proseguire con il paragone pseudo culinario, in base alle nostre preferenze.
*
083 - Piccolo appunto: e se oltre alle testimonianze dirette e alle varie nozioni racchiuse nei libri ci fossero degli altri bacini di conoscenze?
Pozzi profondi, miniere di idee preziose, per la maggior parte ancora sepolte, sconosciute, accessibili solo a condizioni ben determinate e rigide.
Il primo passo consiste nel prepararsi al meglio, da un punto di vista fisico e psicologico, alla lunga e dura ricerca.
Il secondo passo consiste nell'allenarsi a riportare a casa, e dunque applicare, le varie intuizioni raccolte, collezionate durante questi pellegrinaggi avventurosi nel mondo dell'inespresso.
E se esistessero delle enormi casseforti contenenti tutte le indicazioni, a carattere etico e morale, necessarie per lo sviluppo ottimale delle potenzialità umane?
Se ci fossero delle mappe, immateriali, ma non per questo meno accessibili, per orientarsi all'interno del labirinto formato dalle centinaia di scelte che, puntualmente, ci troviamo davanti?
E se fossimo davvero in grado, dal basso della umile semplicità delle nostre azioni più comuni, di contribuire attivamente ad arricchire il mazzo delle virtù possibili raggiungibili dall'individuo?
E se il senso delle nostre vite non fosse altro che un rapportarsi giornaliero con i nostri limiti, partendo da quelli più manifesti, sino ad arrivare a quelli più nascosti?
Un confronto che contiene, già nelle sue premesse, soltanto due esiti: procedere oltre, anche solo di un millimetro, puntando principalmente ad aumentare la qualità del nostro bagaglio e magari, di chi ci sta intorno, attraverso un atteggiamento propositivo e costruttivo, oppure soccombere di fronte al potere delle nostre debolezze.
*
084 - Grazie anche all'altissimo quantitativo di inutilità con cui ormai titilliamo il cuore stanco delle nostre esistenze, siamo quasi portati a credere che la nostra vita sia una faccenda buffa, giocosa; uno scherzo dove gli errori non si pagano (mai) o, al massimo, il momento della resa dei conti viene idealmente confinato nelle ultime stanze di un futuro remoto con cui entreremo in contratto tra due o tremila eternità, soltanto dopo aver concluso il milionesimo volo panoramico nel cielo statico che agghinda il limbo in cui spesso ci troviamo intrappolati, in attesa di una svolta.
C'è bisogno, a questo punto, di una forte presa di coscienza, un estremo sforzo personale di sincerità: stanare gli alibi, ad uno ad uno, dietro i quali ci rifugiamo, per poi trascinarli al centro della pubblica piazza della nostra coscienza e giustiziarli, con freddezza, senza pietà, senza esitazione alcuna.
C'è da scommettere che gli alibi in questione cercheranno di impietosirci con un repertorio di piagnistei e giustificazioni in costante aggiornamento. In quel momento, noi dovremmo essere decisi. Come mai prima.
Quanto può valere il centesimo 'ma io non pensavo che...', 'ma io non sapevo che...', pronunciato subito dopo l'ennesima decisione sciagurata?
A quanto pare, oltre che per ridere, divertirci e spruzzare a destra e a manca aneddoti più o meno comici, siamo tutti qui per imparare: ogni avanzamento provoca delle conseguenze, talvolta anche piuttosto drammatiche, per il soggetto protagonista. Ogni frammento di accortezza faticosamente inserito nel mosaico contribuisce a spingerci avanti nel nostro percorso, limitando allo stesso tempo le possibilità di regredire, di tornare indietro alla condizione precedente.
Per comprendere che il fuoco brucia, e nel suo bruciare può essere estremamente doloroso, è sufficiente un attimo. Per imparare a non bruciarsi con il fuoco, però, spesso non basta una vita.
Le elucubrazioni acrobatiche con cui condiamo le nostre valutazioni non sempre sono impeccabili, anzi, sembrano ormai create ad arte per cullare le varie dimenticanze, per tenere aperte e sanguinanti le falle del nostro buonsenso, costretto a girare a vuoto, perso tra mille desideri in perpetua lotta reciproca.
Ogni sapere nuovo implica un mutamento nell'ordine con cui gestiamo i vari bisogni e l'apparato complesso e dinamico delle nostre intenzioni e volontà. Ogni scoperta, così come ogni azione, implica delle conseguenze, così come le mosse in una scacchiera, o sul campo di battaglia.
Vista da questa prospettiva la vita diventa, quasi all'improvviso, decisamente più seriosa, forse anche troppo, a detta di alcuni. Ecco perché, probabilmente, in tanti preferiscono crogiolarsi in un'attesa letargica di quel che sarà, al riparo nelle loro umide tane, agghindate con tutti i comfort del caso.