041 - Ho sempre avuto la sensazione, sin dalle prime battute, che la materia oggetto dei miei studi mi potesse risultare utile (in linea con il motto: prendere le cose con filosofia) per vivere, e perché no, per morire, due delle attività in assoluto più complicate che l'individuo si trova ad affrontare.
Avrei avuto magari, in principio era soltanto una speranza, un carico di strumenti con cui approcciarmi, in autonomia, ai problemi più svariati. È la motivazione che più di ogni altra mi ha spinto ad andare avanti.
Il primo piccolo regalo, in questo senso, mi fu donato quasi subito, ad una delle primissime lezioni che seguii.
Il testo cardinale era il 'De Ira' di Lucio Anneo Seneca. Io avevo ancora negli occhi, in testa, nel cuore e nella pancia le tracce della rabbia e della violenza assorbite tra le strade di Genova nel luglio dello stesso anno in cui incominciai la mia avventura in quel mondo.
Barricato dietro ad una coerenza intrisa di un'ostinazione tutta adolescenziale, non pensavo che qualcuno o qualcosa potesse farmi cambiare idea in merito, o smussare gli spigoli più acuti delle mie convinzioni.
Mi sbagliavo.
Lo studio di quelle righe ebbe effetti straordinari: guidato magistralmente dalle riflessioni dell'autore, riuscivo forse per la prima volta in vita mia ad analizzare un fenomeno in maniera davvero critica, godendo, ecco la chiave dell'intero processo, di una visione differente rispetto al solito. È la prospettiva da cui guardiamo le cose a risultare decisiva nelle nostre analisi e dunque nelle nostre decisioni.
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Controllare l'ira è possibile.
“Non è possibile” si obietta “eliminare completamente l'ira dall'animo: la natura umana non lo comporta”. Eppure non c'è impresa tanto difficile ed ardua, che la natura umana non possa affrontare con successo e che non sia resa abituale dall'esercizio continuo, e non esistono passioni tanto indomite ed autonome che non vengano soggiogate da una retta educazione.
Tutto quello che l'animo sa imporsi, lo ottiene; c'è chi è riuscito a non ridere mai; alcuni hanno negato al proprio corpo il vino, altri l'amore, altri ancora ogni bevanda; c'è chi, accontentandosi di un breve sonno, ha prolungato le sue veglie, senza cedere alla stanchezza; c'è chi ha imparato a correre su funi sottili e contro pendenza, o a portar pesi enormi quasi impossibili a forza umana, o a tuffarsi a profondità smisurate e sopportare il mare senza trarne respiro. Ci sono mille altri casi in cui la pertinacia ha superato ogni ostacolo ed ha dimostrato che niente è difficile, quando la mente si è imposta di sopportare.
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042 - Imparavamo a muoverci, nei confronti dell'oggetto delle nostre riflessioni, come animali con le prede. Sempre più famelici.
Ciò che davvero importa è scrutare il bersaglio da sopra, da sotto e da tutte le 360 posizioni possibili percorribili lungo una circonferenza immaginaria: un esempio che rende bene l'idea, a livello geometrico, su come si conduca un'indagine rigorosa in termini filosofici.
Un'osservazione attenta può aiutare a svelare gli aspetti più nascosti di un problema e suggerire dunque, è una conseguenza, alternative inedite.
Un'osservazione superficiale, è logico, mina invece il campo con innumerevoli contrattempi potenziali, pronti a deflagrare nel momento meno opportuno, mandandoci a gambe all'aria.
I pregiudizi, in definitiva, erano il fardello più scomodo ed ingombrante che potevamo portarci appresso lungo quel cammino; era necessario, al contrario, aprirci, e piuttosto in fretta, all'inconsueto. Inconsueto, si intende, per i nostri parametri infantili.
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043 - La realtà si rivelò decisamente meno romantica di quanto poteva sembrare a prima vista.
Capii rapidamente, non fu una cosa affatto divertente a dirla tutta, che tanti corsi erano molto più simili ad una scartavetrata ai testicoli che ad una carezza sensuale a mente, fantasia, coscienza.
Iniziai il mio percorso presso la Fuckoltà di Filosofia giusto in tempo per godermi, in anteprima, tutti i vantaggi della riforma che mirava ad accantonare il classico ordinamento, in origine si sviluppava lungo un quinquennio, in favore di un assetto innovativo, diviso in due segmenti, sulla carta più snello, che permetteva di conseguire il diploma di laurea in appena tre anni, con la possibilità di poter dedicare, eventualmente, gli altri due anni agli studi specialistici.
Per raggiungere il primo traguardo, era una regola applicata omogeneamente a tutti gli atenei, bisognava maturare 180 crediti formativi. Era invece discrezione del consiglio dei docenti, assieme ai vari dirigenti, stabilire quanto avrebbe pesato, nell'economia dei crediti in questione, ogni singolo esame. I cervelli illuminati preposti a prendere tali decisioni optarono per un sistema in base quattro; così, a conti fatti, nel mio piano di studio rientrarono la bellezza di oltre 40 esami, a cui si aggiungevano diversi laboratori di lingua inglese oltre ad una piccola tesina per coronare il tutto.
L'offerta formativa inizialmente sembrava abbastanza ricca e stimolante, almeno stando ai titoli degli argomenti trattati, anche se comunque spiccava già una buona percentuale di passaggi di dubbio interesse. La scarsa simpatia dei personaggi che stavano dietro alle cattedre, quasi come se l'Accademia stesse dando loro un'opportunità di riscatto, o rivalsa, o peggio ancora vendetta, dopo una vita passata ad ingoiare bocconi amari, delusioni e umiliazioni, rendeva il tutto simile ad uno spiacevolissimo, ma necessario, supplizio.
Per rendere meglio l'idea dello stato d'animo che mi accompagnava nei giorni più difficili basta, credo, un piccolo aneddoto: mi capitava spesso, ad esame concluso, di scaraventare con rabbia nel primo cestino della spazzatura che trovavo quelle centinaia di pagine fotocopiate, utili soltanto per aggiungere l'ennesimo 'numero barra trenta' nel mio statino.
Un gesto dettato, ne sono certo, dalla grande frustrazione accumulata nel ficcare a forza dentro al cranio una vastità di nozioni superflue.
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044 - Capitava di trovare quello che ti fissava, per tutta la durata della risposta, senza battere ciglio, senza concedere nemmeno uno spiraglio alla comunicazione metalinguistica: non potevi capire quindi se quanto ti affannavi ad esporre rientrasse nel reame del giusto o in quello dell'errato, impegnato in quella che sembrava più una guerra di nervi che un confronto fertile.
Troppo spesso c'era anche chi, dopo appena quattro sillabe sparate con discreta scioltezza da parte del candidato, si accingeva immediatamente a compilare il registro, accelerando notevolmente il disbrigo della pratica. Questi esemplari, neppure troppo rari a dire il vero, se da una parte risultavano innocui, dall'altra contribuivano a trasformare l'istituzione in un mero 'esamificio': 10-15 minuti a studente, poco più di quello che un cassiere dedica in media ad ogni cliente del supermercato, però con la stessa scarsa attenzione.
C'era chi considerava la questione in maniera identica ad un duello all'ultimo sangue: in linea di massima erano i nostalgici dei bei tempi passati, quando l'istruzione, e dunque, a ruota, il processo di valutazione, aveva dei contorni decisamente più rigidi e severi. Sino a quel momento infatti gli esami erano stati ben più densi, anche e solo per quanto riguarda il volume delle pagine, rispetto alla nuova variante appena introdotta, che prevedeva la diluizione dell'intero fardello in più porzioni. Questa mossa strategica in teoria avrebbe dovuto garantire una fluidità maggiore all'intero processo, risolvendo così l'annoso problema legato ai fuoricorso.
Di fronte però spesso ti trovavi, più che un essere umano, una barriera organica solida ed impenetrabile al pari di un muro, uno scoglio pronto a conficcarsi al centro dello sterno.
Di solito questi tristi figuri baccagliavano con enfasi, aggrappandosi a qualsiasi spunto, a qualsiasi elemento claudicante dell'esposizione, nell'intento di sbatterti fuori corsia in tempo zero, soprattutto se non snocciolavi, a comando, quelle tre-quattro paroline magiche che il professore ripeteva in continuazione durante la lezione e che in definitiva rappresentavano le uniche chiavi che permettevano di risolvere il rebus.
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045 - Il trucco per starci dentro ed evitare che la frustrazione tirasse bruttissimi scherzi era quello di utilizzare la fantasia per dipingere la situazione con tinte diverse: un po' di rossetto rosso sulle labbra di un cadavere. Consideravo quei (tristi) personaggi, trincerati dietro alle loro cattedre, come delle guide turistiche da consultare giusto per avere un'idea sulla strada che stavamo per intraprendere, lasciando totale libertà, per il resto, alla mia (spericolata) curiosità.
La poca esperienza, comunque, non permetteva a noi studenti di muoverci in maniera autonoma all'interno dell'universo vastissimo del pensiero filosofico, considerando soprattutto l'elevato numero di protagonisti, molti dei quali praticamente ignoti.
La fortuna più grande era rappresentata dalla possibilità di confrontarci direttamente con i testi originali, con il succo autentico della spremuta neuronale dell'autore.
Peccato solo per gli inconvenienti annessi nel pacchetto.
Dovevamo per forza sorbirci le letture di contorno, nella maggior parte dei casi fastidiose e capziose, e fare i conti con dei saggi che offrivano un'interpretazione, un commento al testo principale. Il docente si premurava così di sponsorizzare la sua versione dei fatti in maniera tutt'altro che discreta.
La bontà, presunta o reale, dell'intento di partenza, cioè fare luce su di un mondo a noi semi-sconosciuto, veniva irrimediabilmente contaminata da quello che aveva tutta l'aria di essere un torneo dialettico-ideologico tra squadre di sfigati, intenti a promuovere reciprocamente i propri prodotti, preoccupati soltanto di aggiungere l'ennesimo pedone nella loro personalissima scacchiera.
È giusto ammettere che, con tutta probabilità, senza quella traccia sarebbe stato decisamente arduo comprendere i passaggi più ostici delle opere che ci venivano presentate. Allo stesso tempo però, potevamo toccare con mano e farci un'idea diretta sul livello bassissimo in cui si è arenato il dibattito filosofico.
Perdevamo il nostro tempo ad inseguire questioni ormai morte e decomposte, o ancora peggio, di dubbio interesse, sia per noi aspiranti addetti ai lavori e sia, è logico, per gli estranei.
Diventava sempre più evidente la frattura tra il mondo accademico e tutto il resto.
Ora capisco perché, per molti, la filosofia non sia altro che un perenne quacquaracquare su un assortimento potenzialmente infinito di sciocchezze.
Difficile difendersi da un'accusa del genere, soprattutto sino a quando continueremo ancora ad incaponirci nel chiederci, ad esempio, se Rousseau, in un certo rigo di un certo capitolo del 'Contratto Sociale', abbia usato uno specifico termine X per un motivo Y o per un altro diametralmente opposto.
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046 - Dicono che l'addestramento a cui viene sottoposto uno studente di Filosofia sia tra i più completi che ci siano in circolazione, non fosse altro che per la ricchezza e la (presunta) varietà degli argomenti con cui costui entra ripetutamente in contatto.
Peccato che lo straripante processo di degenerazione abbia intaccato in profondità anche quell'ambito. Del resto: perché avrebbe dovuto salvarsi?
L'esame di Letteratura Italiana, ad esempio, si condensò attorno ad una raccolta di lettere, impregnate di un romanticismo a tratti insopportabile, che Gabriele D'Annunzio scrisse ad una delle sue amate. Per il corso di Psicologia Generale, invece, ci venne proposto lo studio approfondito di un manualone in cui si ripercorrevano le tappe preminenti della storia di questa scienza e le scoperte più rilevanti. La ciliegina però era nascosta altrove: la docente infatti aveva perso suo figlio a causa di un'overdose di eroina e da allora, puntualmente, portava avanti la sua personalissima campagna contro l'uso di sostanze stupefacenti (nella loro totalità, senza distinzione alcuna), inserendo nel programma diversi testi sul tema. Il '30 e lode' che portai a casa, ancora non me ne capacito, riempì di soddisfazione la professoressa, che intravedeva in 'noi' giovani studiosi di Filosofia uno spirito critico che spesso era totalmente assente nei candidati provenienti dagli altri allevamenti.
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047 - Le cose andarono avanti in maniera più o meno sgradevole, a seconda dei periodi, per diversi anni. Il momento più piacevole arrivava quando ti approcciavi per la prima volta ai testi: la sete di sapere trovava di che rifocillarsi, al riparo, ma solo per poco, dalla paranoia che cresceva esponenzialmente in vista dell'esame, l'unica cosa che sembrava contare davvero.
Tale evento rappresentava il palcoscenico per le scene più bizzarre: i più curiosi erano coloro che, per l'occasione, curavano in maniera maniacale il loro aspetto, addobbati con abiti elegantissimi, manco fossero diretti al matrimonio di qualche principessa, conciati e profumati di tutto punto; c'erano poi i professionisti, gli squali, coloro che cercavano di mantenere un ritmo folle nel loro cammino verso la laurea e si presentavano all'appello in netto anticipo rispetto all'orario ufficiale con l'intento di accaparrarsi i primi posti della seduta, in modo da velocizzare il disbrigo della pratica per poi essere liberi di concentrarsi immediatamente sull'appuntamento successivo nella lista. C'erano quelli che durante l'attesa ostentavano una sicurezza glaciale, da serial killer, e non si lasciavano sfuggire nemmeno mezza sillaba; c'erano poi gli ansiosi, dall'effetto incredibilmente contagioso: scaricavano a ripetizione i loro dubbi e le loro paure a chiunque capitasse a tiro, erano capaci insomma di corrodere anche le certezze più salde, trasferendo così sul prossimo una pesantissima ventata di insicurezze assortite. C'era chi ripeteva, prendendo in ostaggio il malcapitato di turno, la pappardella imparata a memoria; c'era chi origliava dalla porta per captare le domande e dunque capire di che umore fosse l'insegnante.
Poi c'erano i piagnoni, quelli che si lamentavano a priori e annunciavano a tutti la loro imminente disfatta poi poi uscire puntualmente, non si capisce come, con il massimo dei punti.