"Ho compilato un personale catalogo degli individui che frequentano questo tipo di manifestazioni.
Un dieci per cento è costituito dai cosiddetti "Soci", gente dotata di un certo potere decisionale, che si è mossa da casa per via della Banca dei Favori, è pronta a qualsiasi partecipazione che possa arrecare un beneficio al proprio lavoro, sa dove riscuotere e dove investire. I Soci si accorgono subito se l'evento è proficuo oppure no; sono sempre i primi a lasciare la festa, perchè non perdono mai tempo.
Un due per cento è rappresentato dai "Talenti", individui che hanno un futuro davvero promettente. Sono già riusciti a guadare alcuni fiumi, a superare un certo numero di ostacoli; hanno percepito che esiste una Banca dei Favori, della quale sono potenziali clienti; possono rendere servizi importanti, tuttavia non sono ancora in grado di convincere o prendere decisioni. Si dimostrano affabili con tutti, perchè non sanno esattamente con chi stanno parlando, e risultano molto più aperti dei Soci, giacché, per loro, ogni strada può condurre in qualche luogo.
Il tre per cento è costituito dai "Tupamaros", il cui nome è un omaggio a un vecchio gruppo di guerriglieri uruguaiani: sono riusciti a intrufolarsi tra la gente, sono alla ricerca folle di un contatto, non sanno se devono restare lì o andare a un'altra festa; appaiono ansiosi, vogliono mostrare subito il loro talento — peccato che non siano stati invitati, e così quando vengono scoperti, nessuno li degna più di attenzione.
Infine, l'altro ottantacinque per cento è rappresentato dai "Vassoi" — li ho battezzati in questo modo perchè, come non esiste festa senza questo oggetto, non può esserci un evento senza di loro.
I Vassoi ignorano ciò che realmente sta accadendo, ma sanno che è importante essere presenti: affollano le liste degli organizzatori, perchè il successo di una manifestazione dipende anche dal numero di persone che vi partecipano. Sono qualcosa di "ex" importante — ex banchieri, ex direttori, ex mariti di qualche donna famosa, ex mogli di qualcuno che oggi occupa una posizione di potere. Sono conti in un paese dove la monarchia non esiste più, principesse e marchese che vivono grazie all'affitto dei loro castelli. Passano da una festa all'altra, da una cena all'altra — e io mi domando: «Ma è possibile che non ne siano nauseati?»"
Paulo Coelho – Lo Zahir
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001 — ...adoro quando, all'improvviso, quasi per magia, il teatro sociale in cui mi trovo si trasforma in un campo di battaglia. Il livello di adrenalina nel mio corpo schizza alle stelle, mi sembra di poter sentire, la percepisco in maniera chiara e distinta, una scarica elettrica che mi scuote le vertebre, una dopo l'altra; scorre violenta lungo il mio midollo spinale.
Una sensazione che dura appena un decimo di secondo, una secchiata d'acqua gelida in pieno volto, una sveglia.
È sufficiente per attivare bruscamente il sistema, per acuire all'eccesso i miei sensi...
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002 — Sono seduto attorno ad un tavolino, assieme ad altre tre persone, ma di punto in bianco la situazione in cui mi trovo inserito perde tutto il suo senso. L'attenzione nei confronti dei miei compari precipita verso lo zero: è come se nel posto ci sia un elemento che sta esercitando la sua influenza su di me, proprio come la calamita fa con il ferro. Ma ancora non riesco a distinguerlo con sufficiente chiarezza.
Mi giro di scatto e finalmente la vedo: R. sta in disparte, ben lontana da tutti gli altri, sulla sua seggiola, con le spalle rivolte al muro.
Non parla con nessuno e ha la faccia di chi si trova nel bel mezzo di una festa senza sapere il perchè, senza volerlo per davvero. L'espressione sul volto è tipica di chi non vede l'ora che quella strana pantomima si concluda.
Agisco di istinto, senza pensarci due volte: mi alzo e mi dirigo con passo deciso verso il bersaglio.
Cerco di comportarmi nella maniera più discreta ed elegante che posso, del resto non è assolutamente mia intenzione complicarle inutilmente la mattina.
Partecipiamo entrambi, seppur a titolo diverso, ad un noto festival di cortometraggi che si svolge a Cagliari. Il fatto di giocare in casa, lei infatti arriva dalle fredde regioni nordiche del continente italiano, mi regala la possibilità di fare la prima mossa.
Nel corso della sera precedente abbiamo già avuto modo di espletare tutte le pratiche relative alle classiche presentazioni di rito; ho per fortuna già perso, ai suoi occhi, lo status di perfetto sconosciuto.
La curiosità incomincia a sbranarmi le budella, famelica: un coccodrillo che pasteggia, beato, con le mie viscere.
Le chiedo, a bruciapelo, il perchè di quell'atteggiamento così schivo.
A dire il vero anche a me succede, e non di rado, di galleggiare ai bordi, ai margini delle relazioni interpersonali: mi capita di sentirmi un infetto, un lebbroso sociale. A lungo andare, è una condizione che sto incominciando a trovare particolarmente eccitante.
Ma in realtà, il più delle volte, ho l'impressione che la mia scatola cranica sia piena zeppa di tritolo, sino all'orlo, e che basti giusto un soffio, un piccolissimo input, un gesto impercettibile, per innescare la detonazione, senza nessuna possibilità di stoppare o invertire il processo.
Ormai l'ho capito: spendo gran parte del mio tempo, paziente come un pescatore, ad aspettare il kairos, il momento più propizio per agire.
Credo, anzi, che valga la pena di vivere proprio per quei secondi, per quei minuti incandescenti che scandiscono la comunicazione con l'altro.
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003 — R. si rivela abbastanza affabile; qualche grammo di imbarazzo non intacca la serenità con cui sta al gioco. Come sospettavo, non che ci volesse un genio per arrivarci, è poco interessata ai discorsi con gli altri esseri umani. Appartiene a quella categoria di persone convinte di non avere niente di particolarmente coinvolgente da condividere.
Provo a passeggiare un po' tra le sue storie, ma anziché viali e strade da percorrere mi trovo davanti soltanto muri, porte chiuse ed ancora muri. Punto forte sui viaggi.
R. mi racconta, senza troppa convinzione, di una delle sue ultime trasferte: est-Europa, Budapest, se non ricordo male, o qualcosa del genere, ma si rivela decisamente avara di aneddoti curiosi o divertenti, così come di dettagli o spunti in generale. Parla poco, lo stretto necessario per soddisfare, al minimo, le mie domande.
— Ho capito — le dico — Sei un hooligan del silenzio... —.
La battuta le strappa un sorriso, che sembra addirittura sfociare in una mezza risata.
Io ho l'impressione che una delle mie ragioni d'essere principali sia proprio quella di confrontarmi con individui dalle caratteristiche simili a quelle di R.
—... ed è proprio per questo che sto cercando di mettere in piedi una Guerriglia Filosofica —.
Un velo d'ombra le copre la faccia: ha trovato la faccenda molto meno spassosa rispetto all'uscita precedente, così batte in ritirata e taglia di netto le comunicazioni.
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004 — Per tutte le ore seguenti mi basta avercela vicino per ritrovarmi puntualmente il cranio invaso da una miriade di questioni sul suo conto che mi interesserebbe conoscere: di fronte alle mie insistenze, ai tentativi di intrufolarmi all'interno del suo sistema, come se fossi un hacker, alza gli occhi al cielo, con un accenno di insofferenza che le macchia la faccia.
Mi sento come un bull-terrier pronto ad azzannare al collo la sua preda e nei paraggi non c'è nessun addestratore, nessun accalappiacani in grado di placarmi.
Sono costretto ad arrangiarmi da solo, mi scuso e metto la museruola alla bestia in cui mi trasformo, quasi senza volerlo, e rimando l'arrembaggio.
La sera, nemmeno a farlo apposta, ci ritroviamo uno affianco all'altra.
Rivolgere la parola al prossimo mi sembra, innanzitutto, un atto di profonda cortesia: è uno dei modi migliori che conosco per prendere atto e rendere grazie della presenza attiva di un individuo.
Lo scambio e il confronto sono in assoluto, nella mia scala di valori, tra gli aspetti più importanti che le dinamiche sociali offrono.
E poi, corro il rischio di vivere e magari morire come un inguaribile romanticone, sono convinto che si possa imparare sempre qualcosa dalle persone con cui entriamo in contatto.
Si tratta soltanto di trovare la combinazione giusta che spalanca la cassaforte...
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005 — Non so bene come mi venga in mente un'idea così strampalata, ma mi ritrovo a chiederle, senza sapere il perchè, se ci sono delle cose, nella sua vita, su cui si sta impegnando particolarmente per migliorare o, fa lo stesso, qualche punto debole.
In un primo momento nega categoricamente: niente che non vada, niente da segnalare, tutto regolare, tutto procede secondo i piani, senza il minimo intoppo.
— Manco una paura? Manco un tentennamento? Manco un brutto sogno di tanto in tanto? — rilancio.
Scuote la testa con forza. Niente fuori posto, niente che la turba.
Respinge elegantemente ogni mio tentativo di avanzare in quel territorio inesplorato.
— Wow! Ho trovato una persona molto saggia, allora — esclamo con enfasi sincera.
R. si lascia andare di nuovo a quel gesto che ormai conosco bene: occhi rivolti verso l'alto, quasi a pregare un qualche dio di farmi sparire dritto nel nulla da cui sono apparso. Poi addirittura sbuffa, sembra esausta, sfinita.
Proprio quando penso di aver definitivamente perso la mia assurda battaglia, sputa fuori:
— Ok, ok, non ha più senso continuare così: a dire il vero sono spaventatissima dal cielo stellato.
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006 — Lo confesso: per diverse ore mi sono sentito come se mi avessero colpito con un pugno all'altezza delle tempie. Insieme alla sorpresa per quell'apertura confidenziale così inattesa mi piovono addosso le considerazioni più disparate.
Chissà che impaccio, che imbarazzo dev'essere — rifletto tra me e me stesso — trovarsi inseriti in un contesto che anziché accoglierti e metterti nelle condizioni ideali per far germogliare al meglio le tue potenzialità ti trasmette, invece, del sano e genuino terrore.
Da quello che mi sembra di aver capito, in base a letture e ricerche, sono principalmente gli psicologi e gli psichiatri di scuola americana ad essersi incaricati del compito di stilare una lista, peraltro in perpetuo e costante aggiornamento, di tutte le fobie e i disturbi comportamentali e cognitivi che affliggono l'essere umano, catalogate sistematicamente, con zelo e premura, all'interno di un manualone che rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per tutti gli specialisti della salute mentale.
In questo caso, ma non ne posso essere sicuro al 100%, il termine che meglio si riferisce alla faccenda in questione è quello di “astrofobia”, un problema che, nei casi più gravi, ti impedirebbe pure, ad esempio, di fare una semplice passeggiata notturna in campagna o al mare.
E se la diffidenza di R. derivasse proprio dalla sua apprensione nei confronti del cosmo intero???
Tentare anche e solo di intraprendere con lei un ragionamento sulle dimensioni tendenti all'infinito dell'universo le procura subito una sensazione sgradevole, simile al capogiro, per non parlare poi della brutta reazione, ma sempre composta, che la coglie quando le chiedo se ritiene davvero che le uniche forme di vita intelligente, fra tutte le galassie conosciute, possibili e immaginabili, si trovino esclusivamente sul cosiddetto pianeta terra.
Non posso fare altro che rispettarla: R. continuerà a stare al riparo, sotto un tetto e dentro alla sua confortevole cuccia.
Il confronto con gli altri è utile per far emergere gli eventuali punti in comune e, al contempo, i motivi di disaccordo e incompatibilità.
Se fossi alla ricerca di una socia con cui perdermi, come un novello Talete, in analisi e disquisizioni sulla volta celeste, oggetto che spesso e volentieri cattura le mie attenzioni, R. non è assolutamente la persona più indicata.
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Aggiornamento: proprio nelle scorse ore, prima che buttassi giù queste righe, un'amica in comune mi ha mandato una foto di R., immortalata mentre sorride. Ha la faccia serena, una cosa che, in un certo senso, mi fa piacere: significa che riesce ancora a starci dentro, aggrappata ad una palla di materia che gira a velocità supersoniche attorno ad un'altra palla di materiale incandescente sospesa in un vuoto cosmico incomprensibile dalle proporzioni incommensurabili.
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