“...perchè quando verranno a cercarmi, dovrò farmi trovare pronto...”
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Premessa
001 — Butto fuori le seguenti righe spinto dalla necessità. Ma a differenza del passato, non si tratta semplicemente di soddisfare un'esigenza fisiologica, dando libero sfogo al solito turbinio di pensieri, un eterno ronzare, nel tentativo di affievolire la pressione esercitata sulle pareti ossee della mia scatola cranica.
La questione che mi accingo a trattare mi sta particolarmente a cuore.
Mi rendo conto che l'intera faccenda potrebbe risultare decisamente molto più romantica, e serena, se solo lo Stato italiano (al pari di molte altre nazioni) non la considerasse, ancora, una pratica illegale, scomoda, da ostacolare con qualsiasi mezzo a propria disposizione, partendo dagli organi con cui sviluppa e da voce alla propria propaganda, arrivando agli apparati militari e polizieschi con cui tenta e si sforza di reprimere il fenomeno, sia nelle sue manifestazioni più dense e problematiche e sia in quelle più lievi e marginali.
L'oggetto della mia analisi, dunque, è la cosiddetta marijuana e, quindi, il suo consumo, il suo utilizzo.
Mi rendo ben conto, inoltre, che sia un argomento che riguarda e coinvolge soltanto una piccola porzione della popolazione spalmata in lungo e in largo nel territorio italico. Isole comprese.
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[Cartoline dall'isola]
002 — Ogni anno l'isola in cui vivo si trasforma puntualmente, tra il mese di settembre e il mese di ottobre, in una "piccola Colombia".
Con l'avvicinarsi del periodo del raccolto, infatti, quotidiani e telegiornali "germogliano" con decine e decine di notizie che riportano ossequiosamente, e con grande abbondanza di dettagli, i sequestri, operati dalle forze dell'ordine, di decine di migliaia di piante di cannabis, che vengono sradicate dal terreno per venire poi distrutte, bruciate, manco si trattasse della forma vegetale più pericolosa, nociva e velenosa presente sul pianeta.
Le cifre delle operazioni, basta una breve analisi per rendersene conto, sono da capogiro: sembra proprio che questa piccola zattera di terra, che galleggia sul Mar Mediterraneo da svariati millenni (tanto da essere una delle zone emerse più antiche del mondo), risulti particolarmente adatta per la coltivazione della marijuana, vuoi per il clima mite, vuoi per il sole che la irradia in maniera generosa per la gran parte dell'anno, e vuoi per la sua conformazione geografica, con ampie zone disponibili da dedicare all'attività in questione, che spesso, aspetto ancora più importante, risultano di difficile accesso e conseguentemente di difficile localizzazione.
Lo sviluppo delle tecniche moderne che consentono la coltivazione indoor (lampade, concimi e fertilizzanti su tutti) hanno aumentato in maniera esponenziale il diffondersi del fenomeno: serre e ovili vengono facilmente riconvertiti in canapai, così come le stanze delle abitazioni e persino gli armadi.
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003 — Eppure, nonostante le proporzioni che il fenomeno ha assunto, soprattutto negli ultimi venti anni, siamo ben lontani dal poter anche e solo parlarne apertamente, in maniera utile e propositiva, nonostante ci siano, di tanto in tanto, dei tentativi sporadici, lanciati dai politici sulla carta più audaci, che provano a innescare un dibattito parlamentare sulla questione.
Tentativi che poi di fatto sfociano puntualmente in un bel nulla di fatto, ad eccezione di qualche articoletto ad effetto pubblicato in vari quotidiani, giusto per intrattenere i lettori.
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004 — Butto fuori le seguenti righe per necessità, dicevo, come se stessi tentando di giocare d'anticipo, rispetto al mio avversario.
Nel nostro bel paese infatti le leggi in materia di sostanze stupefacenti, comprese dunque quelle relative al loro uso e consumo, sono ormai vecchie di decenni: in Europa e negli Stati Uniti, intanto, ci sono diverse nazioni che stanno regolamentando la faccenda con un pizzico in più di buon senso rispetto al passato, con un certo interesse verso i possibili ricavi economici e un conseguente passetto indietro sul fronte della famigerata War on Drugs, campagna lanciata ormai una cinquantina di anni fa e che, come vedremo meglio in seguito, è decisamente ben lontana dal raggiungimento degli obbiettivi dichiarati, come peraltro ammesso da alcuni fautori della stessa.
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005 — In Italia si guarda alla questione con il solito atteggiamento ostile e intransigente: l'utente della sostanza in questione viene ancora considerato come un problema, un elemento scomodo e indesiderato e non come un soggetto giuridico che gode di diritti e doveri.
I parametri che vengono utilizzati per stabilire il quantitativo massimo che una persona può detenere per l'uso personale, ad esempio, sono obsoleti, controversi e inadeguati: si tiene il conto della percentuale di principio attivo presente nell'erba, un valore difficilmente traducibile, senza gli adeguati strumenti di analisi, dal cittadino comune, che si trova inesorabilmente legato, più che ad un solido ed equo sistema normativo, al capriccio e alla sensibilità del giudice di turno chiamato ad esprimersi sui centinaia di casi che approdano, sfortunatamente, nelle aule dei tribunali.
Chi fa uso di marijuana dunque viene dipinto come un mostriciattolo, un errore all'interno dell'idillio sociale. In quanto errore va isolato e, quando possibile, corretto e disintossicato.
La legge in questo senso parla chiaro: quando si viene intercettati dalle forze del male e sorpresi con una quantità di marijuana minima, che possa dunque far escludere il reato di spaccio e risulti compatibile con il semplice consumo personale, parte automaticamente la segnalazione al prefetto e ai servizi sociali che, anche a distanza di anni dall'accaduto, si incaricheranno di convocare il soggetto per chiarire la questione attraverso la sua testimonianza.
Di solito, il tutto si risolve con una sorta di strigliata che il rappresentante dell'autorità rifila al disadattato, spesso molto giovane, che viene invitato a prendere coscienza dello sbaglio commesso e a non cascarci mai più.
In cambio di una promessa, vana e inutile, di immediato ravvedimento (una sorta di “mea culpa” laico) l'inquisito se la cava con una semplice ammonizione, come accade nel gioco del calcio.
Problemi un po' più grossi sorgono al momento del secondo fermo, quando scattano provvedimenti disciplinari più duri: oltre a venire affidati alle cure dei (già citati) servizi sociali, che si occuperanno del processo di rieducazione del deviato, si innescano tutta una serie di sanzioni, di tipo amministrativo, che prevedono tra le altre cose il sequestro della patente di guida.
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006 — Giocare d'anticipo dunque, incominciando a costruire il muro difensivo della mia argomentazione, nell'intento di farmi trovare pronto per quando arriverà il mio momento, considerando che il sottoscritto in passato ha già rimediato, peraltro in maniera abbastanza cretina, il suo personalissimo cartellino giallo.
Correva il 2004 quando, in una mattina di inizio maggio, il mio domicilio fu invaso dagli odiatissimi porci in divisa, che si presentarono (a causa, si dice, di un giro di amicizie poco raccomandabili che frequentavo in quegli anni) per la ricerca di armi ed esplosivi e misero la mia stanza a soqquadro, pur senza avere un mandato specifico che potesse giustificare la perquisizione.
In assenza di tritolo e kalashnikov, si accontentarono di sequestrarmi svariato materiale cartaceo, principalmente a carattere politico, il PC e persino alcuni compact disc musicali.
Ficcarono il loro naso fetido pure nel piccolo locale che in quel periodo era adibito a sala prove per il rumorosissimo complessino metal-hard core di cui facevo parte all'epoca, senza scovare niente di compromettente, ad eccezione di alcuni mozziconi sospetti, abbandonati incautamente sui bordi dei gradini delle scale, attraverso le quali si guadagnava l'uscita dalla stanza.
In quel periodo particolare della mia vita (fortunatamente, mi viene da aggiungere, con il senno di poi) non facevo ancora uso di marijuana ed ero dunque totalmente estraneo alla vicenda, ma sotto il consiglio di un non meglio identificato avvocato, interpellato da mia zia, che da anni lavora come segretaria presso uno studio legale, mi feci comunque carico dell'accusa, anche perchè, sempre secondo la dottoressa esperta di codice penale, la presenza di quegli elementi che indicavano in maniera inequivocabile il consumo di quella temibilissima e pericolosissima sostanza stupefacente sarebbe stato decisamente più complesso e scomodo da giustificare.
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007 — Ovviamente l'assistente sociale che cinque anni dopo ricevette l'incarico dal prefetto per raccogliere la mia testimonianza non fu assolutamente d'accordo con la consulenza offertami dall'avvocatessa: dal momento della notifica del sequestro, e dunque dalla denuncia alle autorità competenti, avevo infatti trenta giorni per produrre tutte le prove che mi avrebbero discolpato. Sarebbe stato sufficiente, in questo senso, fare un semplicissimo esame tossicologico per uscire fuori da quel malinteso senza neppure la più piccola macchia.
Purtroppo per me, però, avevo sbagliato strategia, con l'arbitro che, a quel punto del match, non poteva fare altro che sventolarmi sotto il naso il suo cartellino giallo.
Da parte mia, invece, sputai fuori la promessa di continuare a mantenermi ben lontano da quella robaccia...
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008— ...a dire il vero, la mia primissima esperienza con l'erba era avvenuta una sera di circa tre anni prima (rispetto al colloquio con l'assistente sociale), al Barney, un noto coffee-shop nel centro di Amsterdam.
Un fortissimo (e tra l'altro mai risolto) senso di fastidio, che sfocia nella repulsione nei confronti della combustione (e quindi, tradotto, nei confronti dell'idea del fumo nei miei polmoni) ha contribuito in maniera decisiva a posticipare, rispetto a quanto accade di solito, il mio incontro con una delle sostanze più chiacchierate (e criticate) che esistono in questo mondo.
Per godere dei tanti vantaggi che l'assunzione della marijuana regala ho dovuto attendere che la tecnologia occidentale sfornasse (per mano di due tedeschi: Storz e Bickel) uno dei primi vaporizzatori da tavolo, il famigerato Volcano, con cui anche un asmatico come me può intrattenersi senza dover pagare nessun pegno al banco degli effetti collaterali.
Ho così avuto la fortuna di poter ricorrere ad uno dei farmaci psicoattivi più antichi che l'uomo conosce, durante uno dei periodi di maggiore stress vissuti dal sottoscritto, tra il 2008 e il 2009, coincisi con il periodo in cui mia mamma lottava contro una brutta malattia.
Ma per ovvi motivi tutto questo all'assistente sociale non potevo dirlo.
Come avrei potuto ammettere, infatti, che già da diversi mesi il THC era diventato un ingrediente fondamentale nella dieta che seguo per preservare il mio benessere psico-fisico?
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009 — Parto necessariamente da una premessa, che funge da pietra angolare per il tutto il mio discorso: credo che non ci sia più tempo per cercare di convincere coloro che non fanno uso della marijuana ad abbandonare il proprio scetticismo. Del resto ciascuno di noi, almeno in teoria, è libero di gestire la propria esistenza come meglio crede.
Il punto centrale del ragionamento, dunque, è proprio questo: il consumatore di cannabis deve incominciare ad esigere il rispetto e la considerazione che le istituzioni e il mondo della politica in generale continuano a negargli, nonostante ormai ci siano tutta una serie di studi, anche di recentissima produzione, che certificano una lunga lista di vantaggi connessi con l'assunzione dei principi attivi contenuti nella pianta in questione.
Eppure nonostante si sia già sfondata la barriera del secondo millennio D.C, con l'evoluzione del pensiero umano che, come sostengono in molti, ha raggiunto picchi e apici assoluti, chi si concede una fumata d'erba è costretto a nascondersi, manco fosse un ladro o un pericolosissimo criminale dedito alle attività più turpi.
Chi si fa le canne, dunque, passa quasi per un peccatore diabolico, un verme; quasi come se fosse un tortura-bimbi o uno stupratore seriale.
Per questo non posso che auspicare che il consumatore di THC prenda finalmente coscienza, consapevolezza della sua condizione e si scrolli definitivamente di dosso quel senso di colpa che è costretto ancora a trascinarsi dietro.
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Considerazione 1: In realtà, almeno per quanto riguarda l'Italia, qualcosa sta incominciando a cambiare rispetto al recente passato, sebbene il Bel Paese si ritrovi indietro, staccato di svariati anni luce, rispetto ad altri stati europei che hanno incominciato a esprimersi con maggiore ragionevolezza sulla questione.
Se prima infatti la pianta di marijuana veniva considerato al pari di un prodotto demoniaco, da estirpare e bruciare sul fuoco (stessa sorte toccava a presunte streghe ed eretici sino a qualche centinaia di anni fa), l'attenzione ora si è focalizzata esclusivamente su una singola molecola, su un singolo principio attivo, il THC.
Questo mutamento nel paradigma repressivo è dovuto, per buona parte, agli studi, che soprattutto negli ultimi trent'anni, sono stati fatti a proposito del cosiddetto uso terapeutico della cannabis.
Gli effetti benefici, in termini strettamente medici, soprattutto per alcune patologie di massa, come il trattamento del dolore provocato dal cancro, sono considerati come un dato di fatto, tant'è che alcune sentenze emesse dai giudici dei tribunali stanno contribuendo ad aprire più di uno spiraglio, quasi una breccia a voler essere ottimisti, nella corazza (sino a ieri) impenetrabile costruita ad arte dai proibizionisti.
Ci sono persone dunque, è innegabile, che con la marijuana si curano e fronteggiano i propri acciacchi: difficilmente si potrà negare un diritto così fondamentale, vitale oserei dire, all'individuo.
Ma chi ci governa dimostra, per l'ennesima volta, di saper giocare d'astuzia: tutti gli effetti positivi a carattere medico, che potremmo racchiudere sotto l'etichetta di analgesico\antidolorifico vengono attribuiti principalmente a quel principio attivo che prende il nome di CBD.
Al THC, che di fatto è l'agente a livello psicotropo, la chiave che agisce sui meccanismi del nostro cervello e dunque, di riflesso, sulla nostra psiche (per usare un termine caro agli antichi), rimangono ahimè soltanto gli attributi negativi, che continuano ad essere condannati a spada tratta.
L'uomo bianco ha distinto una pianta presente nel nostro pianeta da svariati millenni in due specie: una marijuana light, o legale (che peraltro, ha del clamoroso, può essere acquistata pure nei distributori automatici assieme a bibite colorate e snack al cioccolato), e una marijuana cattiva, malvagia, illegale, che viene ancora relegata al mercato nero o alla rischiosissima pratica dell'auto-produzione.
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[C'è sempre qualcosa di più importante a cui pensare]
010 — ...mi rendo ben conto, come peraltro già accennato, che l'argomento in esame interessa una ridottissima percentuale di persone.
Allo stesso tempo, però, coloro che fanno uso e godono dei benefici procurati dalla marijuana non sono comunque pochi e, sebbene siano una minoranza rispetto, ad esempio, ai consumatori abituali di alcool e tabacco (giusto per citare due tra i prodotti psico-attivi più diffusi e in voga attualmente, che circolano liberamente con il beneplacito del governo) sono convinto che meritino comunque la giusta attenzione, anche e solo per il fatto che, tutt'oggi, tra i motivi principali che causano la detenzione degli individui dentro alle celle delle galere, rientrano i cosiddetti crimini legati alle varie sostanze stupefacenti.
Tuttavia questo non sembra un motivo sufficientemente valido per dare il via ad un ragionamento serio, propositivo e costruttivo, che possa in un certo qual modo portare a risolvere il problema.
In realtà, considerando la marginalità (presunta o reale) del fenomeno, non mi stupisce affatto se in sede parlamentare, così come tra i pensieri e le chiacchiere della gente comune, la legalizzazione e\o la liberalizzazione di quelle che in senso dispregiativo chiamiamo droghe siano obbiettivi di importanza secondaria.
C'è sempre, puntualmente, qualcosa di più serio, di più urgente a cui dedicarsi: le guerre tra nazioni, con lo strascico di migliaia e migliaia di morti; i problemi economici, con spread e debito pubblico che hanno letteralmente monopolizzato la scena e l'attenzione degli spettatori negli ultimi dieci anni; i drammi legati alla disoccupazione e, ultimo ma non ultimo, la questione legata alla sanità e alla salute pubblica con il (purtroppo) ben noto Covid che di fatto ha spazzato via, in un attimo, tutti gli aspetti che caratterizzavano e contraddistinguevano la nostra vita.
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Aggiornamento: Tra le fila di coloro che sostengono che la questione della legalizzazione della marijuana sia secondaria rispetto a tutta una serie di priorità c'è pure Matteo Salvini, che alcuni giorni dopo la partenza della campagna per la raccolta firme per il referendum sulla cannabis ha tentato di ridicolizzare il tentativo dei promotori, trincerandosi dietro al solito, notissimo mantra: «Ma con tutte le emergenze che ci sono nel Paese devi approvare la legge per coltivarti quattro piantine?»
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[La nave dei folli di Kaczynski]
Aggiornamento 2: il pericolo di finire dritti sulla nave dei folli descritta da Kaczynski è, comunque, terribilmente concreto.
Nell'ormai famoso scritto del pensatore americano, si racconta la storia di una nave che, a causa delle decisioni scellerate prese dal capitano, procede inesorabilmente contro i banchi di ghiaccio, con l'impatto fatale che, secondo dopo secondo, è sempre più prossimo.
I passeggeri, anziché preoccuparsi dell'imminente fine drammatica a cui sembrano ormai destinati, passano le giornate a lamentarsi con l'equipaggio per alcuni problemi di piccola entità (i maltrattamenti subiti dagli animali, i diritti degli omosessuali e delle donne), anziché tentare di invertire la rotta di navigazione per evitare il tracollo.
Partendo dal presupposto che mi sento, mai come ora, spettatore impotente dell'Apocalisse, credo che una sostanza che è entrata a far parte, da alcuni anni, del mio regime dietetico settimanale\quotidiano meriti quanto meno un minimo di attenzione, così come lo meritano, ad esempio, i discorsi attorno alla bontà dell'acqua che bevo, del cibo che mangio e dell'aria che respiro.
Mi si potrebbe rispondere che acqua, cibo e soprattutto aria sono elementi fondamentali, insostituibili, per la nostra vita. Al contrario della marijuana.
È indubbio comunque, almeno per il sottoscritto, che la cannabis giochi un ruolo fondamentale, tra gli altri, per il raggiungimento del mio equilibrio psicologico, soprattutto in tempi che si stanno rivelando, per un'emergenza o per un'altra, piuttosto complicati e talvolta anche parecchio drammatici.
È vero, per raggiungere lo stesso scopo potrei ricorrere a tutta una serie di alternative, partendo dagli psicofarmaci liberamente venduti sul mercato sino ad arrivare alle consulenze fornite dai centinaia di psicologi e psichiatri presenti in Italia, e forse il punto è proprio questo: sembra sempre più evidente come ci siano in ballo tutta una serie di interessi, per lo più a carattere economiche, di alcune lobby che vogliono conservare il proprio primato e renderlo sempre più solido e inattaccabile.
Questa comunque è una questione di cui tornerò ad occuparmi meglio in seguito.
Così come mi occuperò, più avanti, dell'effetto soporifero che le droghe, senza nessuna esclusione, eserciterebbero nei confronti delle tendenze rivoluzionarie che, a stento, serpeggiano all'interno della nostra società, tesi questa adottata, tra gli altri, anche da Afshin Kaveh
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011 — Non c'è mai tempo dunque; non si trova mai, e per davvero, l'occasione per sollevare il problema, con l'intento di risolverlo.
Eppure, continuo a ripetermi, non stiamo di certo parlando di una questione di difficile soluzione come può essere, ad esempio, la fame e la miseria nel cosiddetto Terzo Mondo, o il surriscaldamento globale e la crisi ecologica in cui è stato gettato il pianeta nell'arco degli ultimi 200 anni.
La visione continua a martellarmi, senza soluzione di continuità: un flash, niente più che un sogno.
Per dare una netta svolta alla situazione basterebbe giusto una firma su di un foglio.
La Sardegna, che almeno sulla carta viene considerata regione a statuto speciale potrebbe essere facilmente trasformata, con qualche semplicissimo passaggio, nel primo grande laboratorio a cielo aperto per un esperimento sociale, politico, economico, ambientale, senza precedenti in Italia.
Basterebbe giusto una firma su di un foglio per dare il via libera alla coltivazione della cannabis, in tutte le sue varianti, dando così alle persone che vivono sull'isola un'opportunità in più (e contemporaneamente mille rischi in meno) per guadagnarsi il pane.
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012 — In realtà sull'isola, soprattutto negli ultimi cinque anni, sta crescendo esponenzialmente il numero di aziende che si dedicano alla coltivazione della marijuana, seppur, ovviamente, nella sua versione light, con un bassissimo, quasi infinitesimale quantitativo di THC.
Al momento mi riesce difficile anche e solo immaginare una conclusione per la mia ricerca; mi sembra più simile, a voler essere sincero, ad un cammino che si arricchirà, come un puzzle, di un pezzo alla volta.
Tra i propositi che mi animano e mi spingono a procedere c'è la volontà di mappare tutte le aziende che si stanno dedicando alla coltivazione della cannabis sull'isola.
Mi piacerebbe comprendere, attraverso qualche semplice domanda, quali sono le motivazioni che portano a dedicarsi a una faccenda così delicata e contraddittoria, quali sono le difficoltà che si incontrano e quali potrebbero essere le prospettive per il futuro a breve, medio e lungo termine.
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013 — Sognare ad occhi aperti mi è sempre riuscito piuttosto facile: proprio per questo continuo a irrorare con tutto l'entusiasmo e l'energia che riesco a produrre quella che per il momento è soltanto una visione.
Se è vero che uno dei mali più grandi e amari con cui i paesi occidentali stanno facendo i conti è quello relativo ai tumori (presumibilmente la storia andrà avanti ancora per un bel pezzo) e se è vero, come dimostrano tantissimi studi anche di recente pubblicazione, che la cannabis può fornire un valido aiuto contro i dolori conseguenti alla patologia e contro gli effetti collaterali provocati dalle cure ritenute convenzionali (chemioterapia su tutte), la Sardegna potrebbe trasformarsi, letteralmente da un giorno all'altro, in uno dei produttori principali e più importanti a livello globale di uno dei farmaci naturali più utilizzati e richiesti al mondo.
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014 — In teoria sembra tutto piuttosto semplice, se non fosse per l'influenza nefasta di alcuni gruppi, o elite, che si battono, dall'alba di quella crociata che, circa 80 anni fa, ha preso il nome di war on drugs, affinchè il regime di proibizionismo possa continuare a essere, a sopravvivere.
In Italia, e di riflesso, dunque, in Sardegna, dobbiamo sempre fare i conti con un Governo intimamente avverso alla questione, anche (lo diciamo senza manco un briciolo di incredulità o di stupore) nelle sue componenti che a parole promettono di essere liberali e progressiste ma che poi puntualmente si associano e si schierano assieme ai partiti più conservatori.
A parte il discorso portato avanti dal partito radicale (forse più per una questione di visibilità mediatico-elettorale che per una reale volontà di cambiare effettivamente lo stato delle cose) a cavallo degli anni settanta e ottanta, il dibattito parlamentare viene sporadicamente innescato, senza grossi risultati, a voler essere sinceri, da individui singoli, spesso appartenenti a schieramenti di minoranza. La discussione, così, viene soffocata (magari sotto la promessa di una fantomatica consultazione generale della popolazione attraverso lo strumento del referendum) con la stessa facilità e la stessa velocità con cui nasce.
Nello scacchiere, inoltre, pesa assai, soprattutto per quanto riguarda l'Italia, l'influenza esercitata dal Vaticano, che vede nella cosiddetta erba il frutto dell'operato del demonio, uno degli strumenti con cui si incatena al suolo (meglio: all'inferno) l'anima divina, e indifesa, che dimora all'interno del nostro corpo.
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Considerazione: In questo senso, mi viene spesso da pensare a cosa succederebbe nell'eventualità in cui la cannabis riuscisse, tra le altre cose, a facilitare il risveglio di quello che potremmo chiamare sentimento religioso, ovvero un riavvicinamento alla dimensione sacra\altra dell'esistenza, come peraltro capitato già ad alcuni soggetti.
Certo, per aprire la strada a questa possibilità bisognerebbe quantomeno partire con un processo di rivalutazione critica dei motivi che stanno dietro all'uso e al consumo della cannabis, soprattutto per quanto riguarda l'uomo bianco, che è salito sulla giostra per ultimo, stravolgendone il senso profondo, il significato intero della faccenda, in favore di un atteggiamento più frivolo o, per utilizzare un termine in voga, ludico.
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015 — Non si può, inoltre, negare l'influenza delle cosiddette mafie, che hanno tutti gli interessi, principalmente a carattere economico, per occuparsi, in maniera esclusiva, di un affare che, come possiamo facilmente immaginare, raggiunge cifre impressionanti.
Continuare a lasciare nel limbo del proibito e dell'indeterminato l'uso, il consumo e la diffusione della cannabis, significa regalare un assist tutto d'oro alla criminalità, che può operare così in regime di monopolio assoluto, con tutto ciò che questo comporta.
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016 — C'è sempre qualcosa di meglio e di più importante a cui pensare.
Un ritornello che, mi sembra, mi viene vomitato dentro alle orecchie ed al cranio all'incirca, ad occhio e croce, dai tempi delle scuole elementari.
Questo sembra uno dei più classici esempi campati per aria, ma sono sicuro che mi risulterà utile più avanti, nel corso dell'esposizione.
È dai primissimi giorni in cui ho incominciato a frequentare le istituzioni pubblico-statali destinate alla mia formazione intellettuale e culturale che ho dovuto sottostare a tutta una serie di priorità, che piovevano in maniera incontrovertibile dall'alto.
C'era sempre qualcosa di più urgente da studiare, valeva per la geografia, ad esempio, così come per la storia: si partiva puntualmente dagli argomenti legati al Piemonte e poi, a ruota, con tutte le regioni settentrionali, passando da quelle dell'Italia centrale per concludere, a fine anno, con quelle meridionali e insulari.
Pure per la storia, gli avvenimenti che riguardano la Sardegna e i sardi venivano puntualmente relegati in secondo, terzo, quarto piano rispetto alle vicende che vedevano come (gloriosi) protagonisti i fenici, gli etruschi, i romani; per non parlare dei sabaudi, che si sono presentati sull'isola con il chiaro intento di sterminare tutti coloro che cercavano di resistere a quell'immane violento processo di colonizzazione.
Morale della (triste) favola: noi sardi riceviamo più informazioni sui territori più disparati e sui popoli che vi abitano e vi hanno abitato in passato, rispetto a quanto avvenga per la storia dei nostri avi e delle genti che hanno vissuto sull'isola per secoli e secoli, ben prima della nascita di Cristo.
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017 — Pur essendo una ricerca in divenire, che svelerà il suo senso e i suoi significati, anche a me che ne sono l'autore, solo con il procedere stesso dell'opera, posso già isolare, così come affiorano in superficie, i punti principali che cercherò di trattare e su cui mi concentrerò.
In primis, mi piacerebbe indagare meglio l'origine del rapporto che l'essere umano ha instaurato con la pianta di marijuana.
Si tratta di un passo fondamentale per incominciare a demolire il muro di diffidenza, di estrema negatività e sfiducia dietro al quale viene gettato e rinchiuso il consumatore moderno di cannabis. Ancora oggi l'utente viene dipinto tendenzialmente come un autentico mostro, sebbene ci siano secoli e secoli di tradizione alle spalle che stanno a testimoniare di un rapporto sacro, foderato da un profondissimo senso di rispetto e da una grande consapevolezza nei confronti della pratica in questione. Attitudine che sembra ormai totalmente fuori moda, fuori tempo.
Sarà utile, poi, evidenziare le dinamiche principali che hanno caratterizzato l'interazione tra la pianta e l'uomo occidentale moderno, la sua diffusione e lo sviluppo delle tecniche legate al suo utilizzo, il calcolo dei benefici, dei costi e degli svantaggi.
Non si tratta, di sicuro, di un rapporto lineare ma bensì di un fenomeno che ha vissuto e vive fortune alterne, che gode di momenti e parentesi favorevoli, per poi venire inghiottito dall'oblio.
Tenterò di analizzare, per quanto mi sarà possibile, le modalità di utilizzo della sostanza tipiche degli antichi, con l'intento di evidenziare il processo di degenerazione e di banalizzazione avvenuto negli ultimi decenni, sopratutto ad opera dell'uomo bianco.
La si prenda pure come una considerazione non richiesta, ma mi pare che l'uomo a tinte pallide, dall'alto del suo presunto primato intellettuale, è riuscito a banalizzare la totalità del proprio esistente, partendo dal rapporto con il cibo, con la propria sessualità, con il prossimo, con le altre forme di vita e con la natura in generale.
Perchè mai il rapporto con la marijuana si sarebbe dovuto salvare da quel processo cannibale di degenerazione di cui noi occidentali siamo stati gli artefici e i principali promotori?
In seguito cercherò di fare una disamina dei motivi che ci spingono al consumo di una sostanza ad oggi ancora vietata in tante parti del mondo: sono convinto del fatto che un atteggiamento per così dire riduttivistico non sia il migliore con cui approcciarsi alla faccenda: limitare l'uso dell'erba esclusivamente per scopi ludico\ricreativi significherebbe rinunciare totalmente a tutti gli altri benefici, e sono tanti, sebbene godano di scarsissimo appeal.
Se si riuscisse, al contrario, a mantenere un atteggiamento onnicomprensivo, capace di abbracciare contemporaneamente una molteplicità di sfumature diverse, si potrebbe contare su un autentico arsenale di obiezioni con cui replicare alle accuse, agli attacchi dell'inquisitore di turno.
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018 — Non è assolutamente mia intenzione ricostruire e ripercorrere le tappe della diffusione della cannabis sui vari continenti emersi del pianeta.
E anche se ci fosse da parte mia questa volontà, mi perderei dentro ad una vera e propria cortina fumogena che continua ad avvolgere in un fittissimo mistero la questione.
Limitandosi alla consultazione dei principali studi che trattano la faccenda (non posso fare diversamente, del resto) appare subito evidente come la soluzione al quesito sia piuttosto complicata da trovare.
Generalmente si parte dall'assunto che una delle regioni in cui la pianta si è sviluppata e diffusa, inizialmente in maniera spontanea e naturale e poi grazie all'intervento dell'uomo che ne ha avviato la coltivazione per gli scopi più disparati, sia il continente asiatico.
Non mancano però le tracce (e dunque le prove) della presenza della cannabis nel continente europeo già da epoche remotissime, come l'era del bronzo e del ferro.
Gli interrogativi principali che ancora rimangono in piedi riguardano l'aspetto temporale e geografico: si cerca, invano, di stabilire la sede della sua prima comparsa sul pianeta, come se ci dovesse essere per forza un'unica origine, un centro dal quale il fenomeno si è poi propagato.
Si cerca di capire le modalità con cui la diffusione si è sviluppata, che ruolo ha giocato l'uomo e, nel caso, in che misura; quali dinamiche e quali rotte migratorie sono state interessate dal processo e quale, invece, è stato il ruolo giocato dalla natura.
Al momento dunque mi sembra decisamente più conveniente condividere l'opinione di tutti quegli studiosi (Giorgio Samorini è tra i più attivi e considerati in Italia) che propendono per una origine che mi sento di definire poli-focale. La diffusione della cannabis non è partita da una singola zona specifica ma ha coinvolto, più o meno contemporaneamente, diverse parti del globo.
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019 — Oltre a cercare la culla, a livello geografico, in cui la cannabis ha fatto la sua prima apparizione in questo mondo (si parla comunque di svariati millenni addietro) gli studiosi cercano di comprendere in che modo l'uomo si sia rapportato ad essa e, soprattutto, per quali finalità.
Ciò che risulta sufficientemente chiaro da poter essere condiviso è l'uso a livello manifatturiero: dalla pianta si ricavano le materie prime utilissime per la fabbricazione di tessuti e di vestiti, ma non mancano i ritrovamenti di utensili tra i più disparati, come ad esempio i cestini.
Ciò che sembra altrettanto evidente è il suo peculiarissimo utilizzo in ambito rituale\religioso: fiori, gambi, foglie, sino a tracce di resina, fanno parte del corredo funebre del defunto, cosa che vale per il continente asiatico così come per il continente europeo. Possiamo azzardare l'ipotesi che la marijuana fosse uno degli ingredienti principali e occupasse un ruolo fondamentale in quello che possiamo definire come l'ultimo viaggio (peraltro il più importante di tutti) fatto dall'anima del morto verso i regni misteriosi dell'aldilà.
Certo, è necessario mantenere un atteggiamento piuttosto cauto quando ci si avventura in simili dichiarazioni, perchè le varie teorie, che si basano sui tantissimi ritrovamenti archeologici, sono spesso in netta contraddizione le une con le altre.
Non mancano dunque, anzi sono piuttosto frequenti, smentite e contro-smentite, che alimentano inevitabilmente un turbinio di opinioni che va a vanificare, ad annullare anche quelle certezze che per decenni e decenni venivano considerate lampanti e incontrovertibili.
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020 — Una delle strade più battute (e io seguirò questa stessa rotta nella mia argomentazione) per comprendere quale fosse l'effettivo utilizzo della pianta di marijuana da parte delle civiltà antiche, consiste nell'affidarsi alle testimonianze contenute, tra le altre, nei trattati di storia.
Per quanto riguarda l'Europa, uno dei riferimenti di maggior rilievo è quello fornito da Erodoto, che riporta le modalità di una pratica in voga presso gli Sciiti, i quali usavano mettere grossi quantitativi di semi sopra a delle lastre di pietra arroventate, sistemate dentro ad un capanno, per poi aspirarne i vapori così prodotti, ottenendo, così sostiene, evidentissimi effetti inebrianti.
Si trattava probabilmente di un rituale attraverso il quale si perseguiva una purificazione del fisico ma soprattutto dell'anima.
La testimonianza fornita da Erodoto ci regala, quantomeno, due semplici considerazioni.
La prima: i modernissimi dispositivi utilizzati oggigiorno per la vaporizzazione (del tabacco ma soprattutto delle infiorescenze della cannabis) e sempre più numerosi sul mercato, a quanto pare derivano da un prototipo vecchio di secoli. Più che di invenzione, dunque, sarebbe meglio parlare di una riscoperta, dell'attualizzazione di un sistema ben collaudato in passato.
La seconda: dall'alto dell'enorme mole di conoscenze accumulate dall'uomo bianco in materia, soprattutto negli ultimi duecento-trecento anni, generalmente si ritiene che nei semi della marijuana non ci sia alcuna traccia di THC, che invece è contenuto in grossissime quantità nelle infiorescenze.
Dunque: o gli Sciiti sapevano qualcosa che noi ignoriamo a proposito dei semi e del trattamento a cui venivano sottoposti, oppure Erodoto non è stato così preciso e puntuale nella sua testimonianza, come invece si crede di solito.
Alcuni critici arrivano persino a concludere che il rituale praticato dagli Sciiti avesse un valore puramente formale.
Rimarrebbe però da capire, in quest'ultimo caso, in che modo raggiungessero l'ebrezza.
Si sospetta che ci siano altre cause, altre sorgenti che al momento ci rimangono ignote.
Al netto dei passaggi più controversi, ciò che possiamo comunque prendere in considerazione è il fatto che gli Sciiti avevano comunque una certa dimestichezza con la pianta, una buona familiarità con i diversi processi di lavorazione delle varie parti.
Samorini fa notare, comunque, che la pratica di bruciare i semi della pianta della cannabis all'interno di contesti funerari potrebbe essere molto più antica della cultura sciita, cosa che si evincerebbe dalla presenza di semi di canapa carbonizzati trovati in un'inumazione del 2000 A.C. nei pressi di Gurbanesti, in Romania.
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021 — Parallelamente alle testimonianze sugli Sciiti, ci sono poi degli studiosi che sostengono che anche gli Egizi fossero a conoscenza degli effetti terapeutici e psicotropi provocati dall'assunzione di determinate parti della pianta della cannabis.
Si tratta però di una tesi che viene particolarmente criticata, perchè non ci sarebbero sufficienti prove alla sua base.
Ciò che sembra certo, invece, è che gli Egizi conoscessero le proprietà, tra le altre, di una particolare specie di lattuga selvatica e della ninfea azzurra, delle quali sono arrivate sino ai giorni nostri diverse raffigurazioni presenti nelle loro opere.
In ogni caso, le testimonianze raccolte sulla civiltà egizia dimostrano quantomeno come il rapporto tra l'uomo e le sostanze naturali di tipo psicotropo abbia radici che si perdono nel profondo della notte dei tempi.
L'uomo insomma ricorre da svariati millenni alle piante presenti nel pianeta terra per alterare il proprio stato ordinario di coscienza.
I motivi che hanno spinto e spingono ancora oggi l'uomo verso queste alterazioni meritano però di essere trattate con un'attenzione particolare, in seguito.
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022 — Per quanto riguarda i cinesi, invece, abbiamo a disposizione testimonianze inequivocabili che confermano chiaramente come le proprietà della cannabis fossero ben note, al pari degli effetti collaterali. Le informazioni su cui mi baso sono facilmente reperibili su tantissime pubblicazioni cartacee così come in svariati siti internet che si occupano di anti-proibizionismo.
In questo caso, quindi, non faccio altro che aggiungere la mia voce al coro.
E dunque: nell'opera intitolata Pen-ts'ao Ching, che riporta tradizioni di antica data forse risalenti addirittura al 2000 A.C, viene riferito che i frutti della canapa, se presi in eccesso, faranno vedere i diavoli. Se presi per molto tempo fanno comunicare con gli spiriti e illuminare il corpo.
Ancora: nel suo scritto intitolato Ming-i Pieh-Lu, datato attorno al 500 D.C, il medico e prete taoista Tao Hung-Ching affermò che i frutti di canapa erano usati dai maghi in combinazione con il ginseng per scopi divinatori.
Nell'erbario del X secolo D.C di T'Ang Shen-wei, intitolato Cheng-Lei Pen-Ts'ao, in riferimento alla parte fiorifera della canapa (Ma-Fen) si legge: «Ha un sapore speziato; è tossico; è usato per le affezioni fecali e per le ferite; schiarisce il sangue e raffredda la temperatura; mitiga i flussi; scioglie i reumatismi; scarica il pus. Se preso in eccesso produce allucinazioni e un'andatura barcollante».
Ciò che appare evidente, ed è piuttosto importante per la mia argomentazione, è che già nei trattati medici antichi compilati dai cinesi, la canapa e i preparati a base di canapa venivano indicati per la cura di diverse malattie, in particolare laddove erano necessari degli effetti analgesici, come ad esempio nei casi di rottura delle ossa. Le parti della pianta che venivano utilizzate per la preparazione dei farmaci erano le radici, le foglie e le infiorescenze.
Va inoltre considerato l'utilizzo della cannabis in ambito ostetrico, in quanto favorisce l'aumento dell'intensità delle contrazioni uterine durante il parto e contemporaneamente una netta diminuzione dei dolori. Si tratta di una pratica diffusa in diverse aree, anche presso le culture tradizionali più antiche, come accade, ad esempio, fra i Sotho del Sud Africa, le cui donne sono solite fumare la canapa prima del parto.
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023 — Anche per quanto riguarda il mondo arabo e persiano, pare certa, e ben documentata, la conoscenza delle proprietà psico-attive della canapa. Uno degli esempi più importanti, in questo senso, è il Libro del giusto Wiraz, un testo sacro di matrice zoroastriana, risalente al periodo compreso tra il III e il VII secolo D.C., che custodisce la descrizione di un viaggio onirico nell'aldilà compiuto da un devoto, attraverso l'ingestione di una bevanda a base di vino di canapa.
Alcuni studiosi ritengono comunque che sino all'anno mille nell'universo islamico la pianta di cannabis venisse utilizzata esclusivamente per le sue proprietà mediche e per la produzione di materie prime necessarie per la realizzazione di abiti, utensili e per la costruzione di abitazioni.
In questo senso gli arabi poterono ben sfruttare l'enorme mole di conoscenze ereditate dai loro diretti alleati, dagli Egiziani, dai Babilonesi e, soprattutto, dai Greci, che avevano prodotto una vastissima quantità di documenti a questo proposito.
Sarebbe stato Avicenna, tra gli altri, a tradurre in arabo i saggi di maggior spessore scritti in lingua greca, dedicando all'argomento ampie sezioni nei suoi trattati.
La connessione tra Islam, hashish e canapa viene poi fatta risalire soltanto ai primi due secoli dell'anno mille, per opera dei sufi, termine con cui ci si riferisce ai mistici arabi.
I sufi, in realtà, non fecero altro che integrare l'utilizzo della canapa nel quadro delle proprie pratiche, che erano già note e familiari ai culti precedenti e comuni, inoltre, alla immensa costellazione rappresentata dal buddismo e soprattutto alle tradizioni sciamaniche più antiche.
L'utilizzo dell'hashish, secondo diversi ricercatori, fu introdotto all'interno dei circoli sufi dai fachiri, tra i massimi esponenti e custodi della mistica araba, la cui condotta di vita era caratterizzata da severissimi esercizi ascetici e da lunghe peregrinazioni, soprattutto nell'area indo-iranica, dove presumibilmente entrarono in contatto con tale sostanza e ne compresero appieno le potenzialità psicotrope, con particolare attenzione agli aspetti spirituali e quindi nella prospettiva di un avvicinamento alla dimensione divina dell'esistenza.
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024 — Concentrandosi sul panorama antico europeo, se si eccettua la testimonianza offerta da Erodoto, che presenta comunque, come già detto, passaggi decisamente oscuri, si rimane stupiti per l'assenza di scritti e trattati a proposito delle proprietà inebrianti della canapa, mentre sono ben noti e documentati i vantaggi sul piano medico.
Sia i più autorevoli autori greci (partendo da Pausania sino ad arrivare a Galeno), sia i principali autori latini, pur conoscendo senza dubbio la pianta in questione, non si spingono mai ad analizzare i possibili effetti psicotropi.
Nonostante non ci siano arrivati testi che trattano nel dettaglio la questione, i ritrovamenti archeologici parrebbero confermare, in maniera inequivocabile, un loro utilizzo non solo sul piano terapeutico-analgesico.
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025 — Grazie ai tanti studi portati avanti sull'argomento, è stato addirittura possibile mappare, a livello geografico, la serie di ritrovamenti archeologici che confermano un utilissimo antichissimo della cannabis in Italia, considerando che tale pianta, secondo un'opinione diffusa e generalmente accettata, è presente nel nostro paese da qualcosa come 14.000 anni.
Ci sono stati, in pratica, ritrovamenti di interesse notevole in tutte le regioni italiane, partendo dalla Sicilia, passando dal Lazio, l'Abruzzo, la Toscana, fino ad arrivare al Piemonte e alla Lombardia.
Lascia un certo senso di sgomento addosso, considerare come la Sardegna sia in assoluto l'unica regione, tra quelle che fanno parte dello stato italiano, ad essere, da quello che sappiamo, completamente priva di tali ritrovamenti, nonostante sia uno dei territori emersi più antichi d'Europa, e nonostante sia stata la culla di una delle civiltà più ricche, a livello culturale, architettonico e religioso, più interessanti e più innovative, come è, per l'appunto, quella nuragica.
Non so, al momento, come spiegarmi un simile vuoto: la prima cosa che mi viene da pensare è che la Sardegna sia stata, per l'ennesima volta, segregata nello sgabuzzino della Storia, nel dimenticatoio, con la complicità di tutto il mondo accademico e di tutti gli archeologi.
Ma la causa principale potrebbe ben essere l'ormai cronica indifferenza dimostrata dai sardi stessi nei confronti della propria storia.
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026 — Si può ben supporre, quindi, che la pianta della cannabis fosse presente, nota e utilizzata, sin dai tempi più antichi, in tutta l'Eurasia; non riesco ancora a comprendere il motivo per cui nessuno, all'interno del panorama europeo, abbia mai trattato ufficialmente la questione.
Una zona oscura che non riguarda solo gli autori greci e latini ma che si ripropone per tutto il periodo del Medioevo e pure nel Rinascimento dove, al massimo, si continua a rivolgere l'attenzione, comunque minima, all'utilizzo (controverso) dei soli semi.
Nonostante la presenza araba in Spagna, l'Europa rimane, almeno in apparenza, totalmente ignara a proposito di una delle principali fonti inebrianti utilizzate dai sufi, questione peraltro ampiamente discussa in numerosissimi testi medievali islamici.
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[l'alchimia come specchio]
027 — Se si confrontano tra di loro le correnti relative all'alchimia che si sono sviluppate in Cina, nei paesi a matrice islamica e in Europa, saltano immediatamente all'occhio sensibili differenze.
Gli alchimisti europei non accennano minimamente, nella maniera più categorica, all'utilizzo di sostanze di origine vegetale nei vari processi che compongono l'opera che, prendendo per buona l'interpretazione fornita da Jung, non era altro che un profondissimo lavoro sulla coscienza, sulla psiche dello stesso alchimista.
Gli arabi invece erano ben a conoscenza, come peraltro abbiamo già avuto modo di accennare in precedenza, dei vantaggi offerti dall'hashish e dalla canapa, non solo a livello mistico\spirituale, ma anche dal punto di vista di una crescita personale, anche se comunque sembrano più orientati a mantenere un atteggiamento estremamente cauto, come si evince dalla lettura del bel saggio intitolato I Sufi, di Idries Shah: l'uso della cannabis non viene esplicitamente vietato, i suoi effetti positivi non vengono assolutamente negati, ma allo stesso tempo si mantiene una certa cautela sulla questione, che non porta mai ad una totale e inequivocabile accettazione di tale risorsa particolare.
In sostanza l'uso non viene sicuramente incoraggiato, ma neppure proibito.
In questo senso i più spregiudicati rimangono gli alchimisti cinesi, che riconoscono alle varie sostanze di origine vegetale un ruolo spesso fondamentale per la loro opera, come succedeva ad esempio per il soma, una delle pozioni inebrianti e psicotrope più antiche che si conoscono, di cui si sono perse però sia le modalità di preparazione e sia la lista degli ingredienti.
Come si legge tra le pagine de Il volo magico – Storia generale delle droghe, scritto da Ugo Leonzio, secondo gli alchimisti cinesi “le perfezioni derivano dalla nascita o dalle droghe o da formule o da disciplina ascetica o dalla concentrazione. La liberazione dalla vecchiaia e dalla morte e le altre imperfezioni possono ottenersi con l'uso di una bevanda mistica”.
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028 — La carenza cronica, almeno per quanto riguarda l'Italia, di trattati che si occupano dell'argomento, perdura anche nei secoli successivi al crollo dell'Impero romano, nonostante la diffusione della pianta sia piuttosto marcata.
Seguendo la rotta proposta da Samorini, possiamo credere che la Sicilia sia stata, a partire dal IX secolo D.C, e quindi nel periodo in cui si trovava sotto la dominazione e l'influenza araba, una delle regioni in cui la coltivazione della canapa ha raggiunto i picchi più alti, per quanto riguarda gli ettari dedicati a tale attività e dunque in termini di abbondanza di raccolti.
Ma la Sicilia, è ovvio, non è stato l'unico luogo in cui questa attività ha preso piede e si è sviluppata così intensamente.
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029 — Sul fronte degli studi, delle pubblicazioni e delle ricerche, in Italia continua a regnare un silenzio assordante, quasi imbarazzante. Almeno sino al Rinascimento non c'è alcuna traccia a proposito degli effetti psicotropi della cannabis, in perfetta continuità con quanto accaduto durante l'età classica.
L'Herbario novo, compilato da Castore Durante, riporta ancora, siamo nel 1717, le presunte proprietà delirogene prodotte dall'ingestione di grossi quantitativi di semi, sulla scorta di quanto riportato a suo tempo da Erodoto.
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030 — Qualcosa in Europa sembra però incominciare a muoversi proprio alla fine del XVIII secolo.
La lastra ghiacciata che teneva in isolamento l'argomento sembra incrinarsi quando Napoleone Bonaparte organizza e conduce la campagna in Egitto, una zona di grandissima importanza strategica per la guerra che la Francia sta combattendo contro l'Inghilterra.
Come già accennato, è risaputo che in Medio Oriente, già dall'XI secolo, si è diffusa una solidissima tradizione per quanto riguarda l'utilizzo dell'hashish.
Napoleone si porta appresso, oltre ai soldati che compongono il suo esercito, anche alcuni scienziati, incaricati di fare tutta una serie di ricerche sul posto, non solo da punto di vista storico e archeologico (il ritrovamento della stele di Rosetta rimane una delle scoperte più importanti di sempre), ma anche per quanto riguarda la botanica e, cosa ancora più importante per il nostro discorso, sugli usi e i costumi della popolazione locale.
È facile dunque immaginare come alcuni campioni di hashish siano stati fatti arrivare in Francia per essere sottoposti ad accertamenti più approfonditi; è altrettanto semplice immaginare come l'utilizzo di tale sostanza si sia rapidamente diffuso tra le truppe di Napoleone, provate dal conflitto sia a livello fisico che psicologico e mentale.
Proprio per limitarne l'abuso tra i soldati, e per contrastare gli effetti collaterali che forse per la prima volta nella storia moderna dell'Europa stavano affiorando alla luce, le più alte cariche militari ne vietano l'uso ai loro sottoposti.
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031 — Sembra un paradosso ma è proprio dopo i primissimi tentativi di messa al bando della canapa (e dei suoi prodotti derivati) che in Italia spuntano finalmente i primi studi sugli effetti della pianta.
Seguendo ancora il solco tracciato da Giorgio Samorini, citiamo i resoconti, sconosciuti ai più, di Andrea Verga, pubblicati nel 1847 e nel 1848, e di Giovanni Polli, quindici anni circa più tardi, nel 1860, che indagano, attraversi la collaudatissima pratica dell'auto-sperimentazione le proprietà psicoattive e psichedeliche dell'hashish.
Tra gli apici raggiunti nell'ambito di questi studi, rientrano sicuramente i lavori di Paolo Mantegazza, che vedono la luce nel 1871 circa, una delle personalità più attive e impegnate nella ricerca, a cui si aggiungono gli esperimenti condotti da Raffaele Valeri, nel 1887, per portare alla luce le proprietà mediche della canapa indica.
Ma in Italia non si inizia a discutere soltanto sulla marijuana: risalgono infatti al 1880 le ricerche di Battista Grossi sull'amanita muscaria come possibile alternativa inebriante al vino, mentre risalgono al 1932 le auto-sperimentazioni con la mescalina (principio attivo contenuto nel cactus Peyote e San Pedro) condotte da Luigi Ceroni.
I primi pionieri in Italia nel vastissimo continente della psiconautica appartengono per buona parte alla categoria dei medici: le loro ricerche si pongono come fine, lo ribadiamo, il portare alla luce le proprietà terapeutico-farmaceutiche di queste sostanze. Attraverso gli esperimenti e le auto-somministrazioni, si cerca di fare chiarezza sull'immensa galassia degli effetti psichici soggettivi.
Questa condizione perdura almeno sino al 1940.
In seguito, fino ad arrivare almeno al 1970, anno in cui tutti gli allucinogeni, criminalizzati in maniera indistinta, vengono progressivamente messi al bando in tutte le nazioni occidentali (e occidentalizzate...), la questione diventa argomento scottante nei laboratori dove si portano avanti le più innovative ricerche scientifiche.
Ma non solo: l'utilizzo delle cosiddette sostanze psicoattive prende piede all'interno dell'universo giovanile diventando preso un fenomeno in fortissima ascesa...
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[una istantanea sul mondo che fu]
032 — “...fino al 1833 la Cannabis Sativa era la coltivazione agricola più grande del pianeta. Da questa pianta si poteva ottenere un numero di prodotti diversi, poiché la pianta di canapa ha la fibra naturale più resistente al mondo...”
Da essa si potrebbero ottenere tessuti, oli, medicinali e carta.
Fino al 1900 la maggior parte dei tessuti era realizzata grazie alla lavorazione della canapa, così come circa il 50% delle medicine presenti nel mercato, una situazione che è andata avanti sino a quasi tutta la seconda metà del XIX secolo.
A quanto pare, dunque, dalla cellulosa della canapa, da tutte le possibili trasformazioni, si potevano ottenere più di 25 mila prodotti.
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[il punto di rottura definitivo]
033 — Si capisce piuttosto facilmente come l'estrema versatilità della cannabis, dal punto di vista manifatturiero e dunque economico, rappresentasse un problema di non piccola entità per le nascenti industrie che si occupano della lavorazione del cotone (la cui coltivazione è basata, a sua volta, sullo sfruttamento, ai limiti della schiavitù, della manodopera importata a forza dall'Africa nelle enormi piantagioni nord-americane) e soprattutto del petrolio.
Non può essere inteso come un caso se, sin dai primi decenni del 1900, negli Stati Uniti incominciano a circolare con sempre maggiore insistenza le voci sui presunti pericoli relativi ad una pianta che viene demonizzata ad arte e che provocava, soprattutto nei neri (che la utilizzavano con maggiore frequenza per sfuggire alle pene delle loro misere vite) vere e proprie epidemie di follia; follia che peraltro trovava sfogo in quella che può essere intesa come la prima apparizione del maligno nel mondo musicale, attraverso quel genere che avrebbe poi preso il nome di blues.
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[la war on drugs]
034 — Le parole, i singoli termini che utilizziamo, spesso ci rendono la giusta idea sulla vera natura delle questioni che cerchiamo di analizzare.
Nei confronti della marijuana non ci si è limitati ad un vago senso di diffidenza (cosa che forse, a dire il vero, ci sarebbe anche potuta stare), o di preoccupazione, ma si è andati ben oltre, soprattutto negli Stati Uniti e poi, a ruota (quasi per una mera questione di sudditanza culturale), anche nel vecchio continente.
Nei confronti della cannabis (sorte simile è toccata a tutte le principali sostanze psicotrope di origine naturale) si è scatenata dunque una vera e propria guerra, con i vari governi che hanno investito in quest'opera ingenti quantità di risorse, economiche e umane.
Il termine war on drugs è stato reso popolare dai media poco dopo la conferenza stampa tenuta il 18 giugno 1971 dall'allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, il giorno dopo la pubblicazione di un messaggio speciale che lo stesso aveva lanciato al Congresso sulla prevenzione e il controllo dell'uso della droga, durante il quale Nixon dichiarò che le varie sostanze stupefacenti sarebbero diventate il nemico numero uno contro il quale si sarebbe scagliato attraverso le sue politiche.
Quel messaggio al congresso includeva pure delle indicazioni dettagliate sul modo di destinare più risorse, a livello federale, per evitare la comparsa di nuovi tossicodipendenti e per mettere in pedi tutta una serie di interventi per la riabilitazione di tutti coloro che facevano già uso di tali sostanze.
In realtà, due anni prima della presente dichiarazione, Nixon aveva già avuto modo di dichiarare, in maniera informale, l'avvio di una vera e propria guerra alla droga, che avrebbe necessariamente comportato l'incarcerazione dell'utente finale, oltre che, è chiaro, dei produttori e dei cosiddetti trafficanti.
Contemporaneamente il governo degli Stati Uniti d'America incominciò ad alimentare una politica caratterizzata dalla fortissima pressione, a livello internazionale, verso tutti quei paesi che mantenevano un atteggiamento non proibizionista, affinché si convincessero ad attuare strategie e legislazioni simili, in materia, a quelle vigenti negli Usa. È sufficientemente chiaro ed evidente come, da quel punto in poi, la vita di migliaia e migliaia di persone sia stata irrimediabilmente complicata.
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035 — Secondo i dati raccolti ed elaborati dalla Drug Policy Alliance, la spesa annua degli Stati Uniti per coprire i costi di una politica proibizionistica così massiccia, concentrata e intensa, si attesterebbe attorno ai 5 miliardi di dollari annui. È lampante inoltre come questi sforzi si siano rivelati vani nel contrasto o anche solo nella riduzione dell'uso e dell'abuso.
Durante il governo Obama, inoltre, Gil Kerlikowske, l'allora direttore dell'ONDCP (Office National Drug Control Policy) ha sottolineato come il termine guerra alla droga fosse controproducente, sebbene non si siano fatti registrare dei cambiamenti sostanziali alle varie politiche proibizioniste.
Ultimo capitolo: nel giugno del 2011 (ben dieci anni fa) la Global Commision on Drug Policy ha pubblicato un rapporto critico a proposito della questione dichiarando: «La guerra globale alle droghe è fallita, con conseguenze devastanti per gli individui e le società in tutto il mondo».
Ovviamente, queste considerazioni sono state duramente criticate da varie organizzazioni legate alle lobby dell'alcool e dei farmaci, che si oppongono ormai da svariati decenni alla legalizzazione delle sostanze psicotrope...
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036 — La situazione che ci troviamo a vivere attualmente, da quasi cinquant'anni, a conti fatti, è piuttosto chiara: non si contano più le persone rinchiuse nelle celle dei vari penitenziari a causa dei cosiddetti crimini legati alle sostanze stupefacenti.
A finire dietro le sbarre, o triturati tra gli ingranaggi del sistema giuridico e repressivo, non ci sono solo (piccoli) spacciatori e coltivatori diretti, ma pure poveri utenti, spesso incensurati, che si ritrovano impantanati in grossi, grossissimi pasticci a causa di qualche grammo di erba.
Splende sotto la luce del sole, lampante come poche cose in questo mondo, come il consumo e l'utilizzo della marijuana, al pari di tante altre sostanze, vale sia per quelle di origine naturale che per quelle prodotte e sintetizzate in laboratorio dall'uomo, sia ben lontano dall'essere estinto.
Anzi, negli ultimi 10, esagerando 15 anni si è assistito, anche a detta dei più scettici e critici, ad un vero e proprio rinascimento (per usare un termine tanto in voga), per quanto riguarda la psichedelia in generale, e quindi l'uso consapevole delle cosiddette droghe.
I servizi nascosti nel deep-web, con i vari mercati (primo fra tutti, esperimento riuscitissimo, il famigerato Silk-Road) che nascono e spariscono a velocità impressionante, e le community di esperti e appassionati che continua a coagulare attorno al proprio nucleo migliaia e migliaia di utenti (e conseguentemente centinaia di giga-byte di informazioni utili in materia), hanno rappresentato un propulsore formidabile, una spinta enorme dalle proporzioni difficilmente prevedibili all'alba del fenomeno, per la diffusione e la rivalutazione delle sostanze psicotrope, prima fra tutte l'LSD.
Così come è logico aspettarsi, in base alle premesse del nostro discorso, il dark-web è diventato il nuovo obbiettivo delle polizie informatiche nel vecchio e nel nuovo mondo; non si tratta di nient'altro che del nuovo capitolo della saga, mai così lontano, almeno così ci pare, dal suo epilogo.
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037 — Eppure, soprattutto negli ultimi anni, anche in un paese ultra-conservatore come l'Italia, qualcosa sta cambiando: la pianta di marijuana ha perso un po' di quell'aurea maligna da cui era circondata e sta riguadagnando, seppur lentamente, una discreta visibilità. Attualmente in commercio si trovano prodotti alimentari a base di canapa, così come manufatti tessili e preparati medicinali.
La marijuana (meglio: le sue infiorescenze) viene addirittura venduta al pubblico attraverso i distributori automatici installati all'esterno dei tabacchini, o nelle macchinette che, in cambio di una moneta, spacciano merendine, snack salati e bevande zuccherate, 24 ore su 24, sette giorni su sette...ma ovviamente stiamo parlando della pianta nella sua versione per così dire disinfettata e priva, dunque, di ogni traccia di THC.
È il principio attivo, infatti, che è finito nel mirino dei vari governi che continuano a giocare la partita tra le fila dei proibizionisti, con le varie commissioni di medici che hanno attribuito al CBD, solo e soltanto al CBD, le virtù terapeutiche, antidolorifiche in genere. C'è una pianta considerata innocua, e accettata proprio perchè innocua sul piano delle modifiche della coscienza, e una pianta che invece continua a essere vietata, proprio perchè sarebbe una sorgete del cosiddetto sballo.
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038 — Il proibizionismo sembra, soprattutto negli ultimi anni, simile ad una diga che sta per cedere sotto la spinta di pressioni gigantesche. L'intero sistema sembra sempre sul punto di crollare, ma evidentemente il suo perseverare, questo triste trascinarsi in avanti lungo il corso della Storia, fornisce ancora innumerevoli guadagni, innumerevoli vantaggi alle varie elite politico-economiche, che hanno più di un interesse, ci sembra chiaro, a lasciare la situazione inalterata.
Nel frattempo però c'è chi lavora già, e già da anni, a dire il vero, per farsi trovare pronto nel momento in cui la morsa nei confronti della marijuana, e quindi soprattutto nei confronti dei singoli consumatori, subirà una lieve attenuazione. C'è da credere infatti che quando il consumo ricreativo delle infiorescenze della canapa verrà riconosciuto e accettato anche da quegli stati che per ora si ostinano a procedere con politiche rigide e dure, e sono ancora la maggior parte, si apriranno nuovi e vastissimi scenari, a livello economico, per tutte le aziende che si tufferanno a capofitto nella coltivazione della pianta e nella distribuzione dei suoi derivati. Non mi sembra un caso, dunque, che due colossi come Monsanto (per quel che concerne la produzione) e Amazon (per quanto riguarda la vendita al dettaglio) stiano già fiutando l'affare e si stiano portando avanti con il lavoro.
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[legalizzazione o liberalizzazione]
039 — Ci sono tantissime possibilità, al momento, che l'Italia, così come la Sardegna, nonostante le tantissime caratteristiche favorevoli a livello climatico e ambientale per la coltivazione della pianta (come avveniva del resto sino a un centinaio di anni fa appena), possano rimanere fuori dal processo, sino all'ultimo.
Per voler giocare con le proprie tristezze basterebbe immaginare un quadro in cui i principali stati europei e extra-europei abbracciano progressivamente politiche anti-proibizioniste (partendo proprio dalla depenalizzazione dei reati nei confronti dei consumatori, per incominciare), nel frattempo che dalle nostre parti si continuano ad innaffiare, con discorsi ottusi, arretrati e assolutamente privi di buon senso, le piantagioni di pregiudizi e di atteggiamenti liberticidi.
In realtà, c'è ben poco da immaginare: in Europa, ad esempio, Portogallo, Spagna, Repubblica Ceca e in parte anche Francia e Germania, anche e solo per una semplice questione di quantitativi massimi di sostanze permesse dalla legge a fini di uso personale, si stanno rapidamente avvicinando alle politiche, decisamente tra le più liberali presenti nel mosaico politico planetario, in vigore nei Paesi Bassi, da decenni vero e proprio esperimento sociale in questo senso, esperimento che sforna tra l'altro succosissimi frutti, anno dopo anno, sul piano economico.
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040 — C'è da credere dunque, o da temere, che l'anti-proibizionismo potrebbe attecchire prima in paesi come l'Austria, la Grecia e i Paesi Scandinavi, e solo nell'ultimissima fase, magari anche nello Stivale (e nelle colonie annesse), nonostante il nostro paese abbia, a partire da subito, tutte le carte in regola per candidarsi come uno dei maggiori produttori, a livello mondiale, della cannabis e dei prodotti ad esso correlati.
Ma evidentemente qualcuno ha ancora tutti gli interessi a mantenere la questione sommersa nell'illegalità.
Alla luce dei fatti, dunque, un processo di legalizzazione potrebbe non essere sufficiente, anche se si tratterebbe comunque di un piccolo saltello in avanti, soprattutto considerando la situazione di partenza da cui stiamo muovendo i passi.
Affidare totalmente la gestione dei cicli produttivi e della distribuzione allo Stato potrebbe non risolvere il problema, ma solo cambiarne gli abiti, le sembianze; ciò a cui si dovrebbe puntare, invece, è una liberalizzazione della produzione (si tratterebbe, meglio, di auto-produzione) e della diffusione, dello scambio, della distribuzione, che dovrebbe essere affidato ai singoli individui, così come avviene per tutte le altre piante, senza nessun vincolo di sorta.
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041 — Al momento uno dei sogni più belli che riesco a fare riguarda l'isola in cui vivo, che nel giro di pochi giorni potrebbe trovarsi ad essere (fantastico) la regione pilota, in Italia, per la coltivazione e la distribuzione libera della cannabis, seguendo l'esempio della Catalogna e dei Cannabis-Club presenti nella città di Barcellona, ma non solo, e spesso gestiti, ironia della sorte, da ragazzi italiani, costretti a migrare all'estero (se così si può dire di per esodi che durano poco più di un'ora di volo in aereo-taxi) per dedicarsi alla questione senza correre troppi rischi.
Poichè mi trovo in una regione a statuto speciale, non mi sembra così folle continuare a sognare di vivere, un giorno, in condizioni migliori rispetto alle attuali, anche se il traguardo, al momento, sembra a dir poco irraggiungibile. Sarà anche vero che il vento sta rapidamente cambiando (in Sud-America si veda il caso dell'Uruguay, o quello della California in Nord-America) ma c'è il rischio che, senza le giuste spinte e le necessarie spallate, qui in Italia la brezza arrivi con cinquanta anni almeno di differita.
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042 — Arrivato a questo punto, dunque, la mia ricerca si troncherà in due direzioni ben precise: per prima cosa mi occuperò, come dichiarato in precedenza, di tutti coloro che in Sardegna si stanno già occupando della coltivazione della canapa (legale, sia chiaro, ovvero priva di THC, per intenderci)
La mia intenzione è quella di mappare le aziende attualmente presenti nel territorio, cercando allo stesso tempo di comprendere quali siano le motivazioni, le prospettive che hanno animato i vari progetti e ne hanno favorito e permesso la realizzazione (e la sopravvivenza).
Allo stesso tempo cercherò di fare un sunto delle difficoltà, e sono ancora tante, che si incontrano in tale attività, oltre ai sogni, agli obbiettivi che i protagonisti diretti covano per il futuro a breve, medio e lungo termine.
In contemporanea, cercherò di approfondire le ragioni che hanno portato al bando del THC (e di riflesso, l'indagine abbraccerà anche altri principi attivi psicotropi), oltre alle ragioni che spingono tutt'oggi, a distanza di millenni e millenni, gli individui al consumo di tali sostanze, seppur con modalità, umori e sentimenti, spesso anche piuttosto diversi rispetto ai modelli originari.
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[Parte 2]
043 — Scrivo queste righe alla luce di due eventi che, in gradi diversi, stanno esercitando la loro influenza sul sottoscritto; due eventi slegati fra di loro ma comunque accomunati da un singolo fattore, che poi di fatto è il centro attorno al quale ruota tutto il mio discorso.
Il primo: proprio in questi giorni, in Italia, si stanno raccogliendo le firme, attraverso una piattaforma digitale, nel tentativo di mettere in piedi un referendum popolare con cui si chiederebbe ai simpatici amici che occupano gli scanni in parlamento, di rimettere mano alle politiche e, soprattutto, alle leggi in materia di cannabis. Leggi ormai obsolete (ma il problema, si capisce, non è tanto il loro essere datate), che non tutelano minimamente il soggetto consumatore, ma lo espongono, ancora, a rigide sanzioni, sia a carattere amministrativo (il ritiro della patente su tutti) che, a seconda dei casi, anche penale.
Quella presa di posizione che auspicavo, da parte degli utenti, sembrerebbe ora prendere corpo, seppur ad un livello ancora embrionale. Ma poi, come sempre, ci sarà da valutare gli effetti di questa campagna e, nel caso fortunato, gli eventuali traguardi raggiunti. Una campagna che è stata promossa, di fatto, da diverse associazioni, oltre che da qualche partito politico di minoranza, che da anni si stanno battendo, o cercano quantomeno di farlo, per dare una bella spallata a quel muro di indifferenza che ancora blinda la questione e la tiene ben lontana anche dall'essere semplicemente discussa.
Si tratta dunque di un percorso istituzionale, che dovrà tenere conto di tutta una serie di regole e di vincoli, che potrebbero peraltro precluderne il proseguo.
Quello che sappiamo al momento è che alla chiamata hanno risposto, nell'arco di poche ore, migliaia e migliaia di individui, circa 300 mila, dopo pochissimi giorni dall'avvio della campagna.
Si tratterebbe già, secondo qualche critico, di un fatto politico di una certa rilevanza: se ancora servissero delle prove in questo senso, credo si possa dichiarare tranquillamente, senza nessuna paura di essere smentiti, che la questione in ballo riguarda una buona fetta della popolazione italiana. La marijuana, con il passare del tempo, è diventato un elemento cardine, fondamentale, nel regime dietetico quotidiano di tantissime persone, ma questo è un fatto che in tutta la sua sfavillante lucentezza potrebbe anche non bastare, e i fallimenti collezionati in passato, dopo tentativi simili all'attuale, servono a rinfrescarci la memoria.
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044 — Personalmente queste iniziative mi lasciano sempre un po' scettico e diffidente: mi sembrano sempre e soltanto un modo per riempire le pagine dei giornali e per dare, qualora ce ne fosse davvero bisogno, uno spunto in più ai vari professionisti del dibattito mediatico-televisivo. Per il resto, operazioni come questa mi sembrano simili a una piccolissima dose di speranza, un palliativo da succhiare, buoni e zitti, nel frattempo che le cose continuano a precipitare verso il baratro, come al solito. Ma per una volta abbandonerò la mia scorta di diffidenze e cercherò di stare al gioco, seguendone per prima cosa lo svolgimento.
Nel momento in cui butto giù queste righe mancherebbero meno di centomila firme (tra cui la mia) per raggiungere il primo traguardo parziale: con 500 mila firme regolarmente depositate si avrebbe di fatto la possibilità di esprimere la propria opinione (meglio: la propria volontà) attraverso il referendum. Ma arrivare al referendum potrebbe essere più complicato del previsto, anche con il raggiungimento delle cifre richieste, perchè in questa prima fase le firme vengono per l'appunto raccolte attraverso una procedura informatico-digitale e andranno necessariamente verificate e poi depositate alla cassazione entro un mese dalla scadenza della campagna e dunque, nello specifico, entro il 30 ottobre. Se questa prima parte dell'operazione dovesse andare effettivamente in porto, ci sarebbe poi da superare lo scoglio del referendume soprattutto del quorum, nella primavera del 2022, cosa affatto non scontata, a dire il vero, ma come si dice in questi casi, non possiamo fare altro che stare a vedere come andranno le cose.
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045 — Il secondo avvenimento che ha gettato un triste velo sui miei pensieri riguarda la morte di una persona, cara e buona, con cui ero entrato in contatto negli ultimi due anni circa.
Queste righe mi sembrano il modo migliore (almeno così mi piace pensare), per ricordarlo e per rendergli la giusta dose dei miei grazie: F. infatti non mancava mai di aiutarmi a reperire qualche grammo di erba, condividendo con me (e con diversi altri, a dire il vero) le sue scorte. Per l'uso che faccio della sostanza (tendenzialmente mi sento di definirlo più come terapeutico-religioso che meramente ludico-ricreativo), per l'importanza che ricopre attualmente nella mia esistenza, nelle mie giornate, chi mi aiuta nella mia affannosa ricerca (affannosa fino a quando sarà rilegata nell'ambito dell'illegale) è un po' come, e non esagero, se mi stesse salvando la vita da tutto il male e lo schifo che sgorga fuori dalle crepe di questo mondo.
A F. dunque va il mio pensiero: ci sarà una preghiera da parte mia, in onore della sua povera anima, ogni qualvolta curerò i dolori della mia coscienza con un po' di quei fiori che mi aveva gentilmente messo a disposizione lo scorso mese di Aprile, l'ultima volta che sono entrato in contatto con lui. Ora mi sento un po' spaesato, senza protezione, quasi un po' come se fossi diventato orfano. Si riapre dunque, in maniera inaspettata, il problema dell'approvvigionamento, questione che riguarda comunque, stando ai dati, circa sei milioni di italiani.
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046 — Merita un discorso a parte, tanto vale occuparsene subito dunque, la questione relativa alla cannabis terapeutica: la marijuana è considerata un farmaco a tutti gli effetti dal 2006, anche se ci sono ancora regioni in Italia, tra cui pure la Sardegna, in cui le regole e le leggi non sono mai state approntate; ciò significa dunque che la situazione risulta essere confusa, ancora e sempre troppo poco chiara.
L'uso medico dell'erba è comunque sia una pratica soggetta a diversi vincoli: come è logico, può essere prescritta da un medico di base o da uno specialista e, in teoria, stando alle normative in vigore, esclusivamente per alcuni disturbi e patologie specifiche (ad esempio per gli effetti collaterali provocati dalla chemio-terapia o per i disagi procurati dalla SLA) e solo quando le terapie farmacologiche convenzionali si rivelano scarsamente efficaci.
Alcuni malati quindi possono richiedere in farmacia preparati a base di cannabis sativa (che contengono, è bene precisarlo, sia il THC che il CBD), con la terapia che risulterà interamente a carico del sistema sanitario nazionale, per quanto riguarda i costi.
La maggior parte di quelli che sono in possesso di una prescrizione medica valida per la marijuana, però, dovranno personalmente coprire le spese per ottenere la sostanza, e spesso si parla di cifre anche piuttosto importanti (sino ad arrivare a 19-20 euro per un grammo di infiorescenze secche), soprattutto in presenza di sintomi e disturbi cronici e permanenti, che vanno trattati frequentemente, anche a cadenza giornaliera per due-tre volte nell'arco delle 24 ore. Al momento il governo ha affidato, in esclusiva, la produzione della cannabis sativa destinata all'uso medico allo stabilimento chimico-farmaceutico militare di Firenze, che però riesce a coprire poco più di un decimo dell'effettiva richiesta. Il resto del materiale necessario viene importato dai Paesi Bassi e dal Canada. Un bel paradosso, senza dubbio, considerando soprattutto che l'Italia, come già detto, presenta condizioni climatiche-ambientali assai favorevoli per la coltivazione della pianta. Inutile ribadire il fatto che importare la sostanza dall'estero contribuisce sensibilmente ad aumentarne il prezzo al dettaglio, con tutti gli svantaggi che si possono ben immaginare.
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047 — Pure prendendo per buono il fatto che la marijuana può essere prescritta come primo farmaco nelle terapie del dolore relative ad una vastissima gamma di problematiche (dalle emicranie ai dolori articolari) e come rimedio per malanni a carattere psicologico (ansie, stati di insonnia e disturbi del sonno), rimane lo scoglio della sua effettiva prescrizione, con l'obbligo quindi di sottoporsi e passare attraverso il parere, autorevole o meno, di un medico.
Anche trovando un dottore disposto a compilare la benedetta ricetta, rimarrebbe in piedi, per buona parte, la difficoltà nell'approvvigionamento. Non si può assolutamente dare per scontato, anzi, che un malato si possa permettere di affrontare una spesa così rilevante; rimarrebbe in gioco, ma solo in potenza, la carta dell'auto-produzione, che permetterebbe al soggetto in questione di coltivare la pianta da cui ricavare le infiorescenze, la parte in assoluto più ricca di principio attivo; peccato solo che, anche per coloro che si trovano in situazioni di salute anche piuttosto gravi, la coltivazione diretta viene sanzionata, a livello penale, con condanne che arrivano anche a sei anni di reclusione.
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048 — Nel mio caso specifico, e per fortuna, non ho ancora a che fare, almeno per il momento, con dolori o fastidi fisici tali da giustificare una terapia con la cannabis.
I vantaggi più grandi, azzardo un auto-diagnosi, li ottengo dal punto di vista psicologico (abbassamento del livello di stress e di ansia, per incominciare), ma dovrei quantomeno sottopormi ad una visita specialistica, ad una perizia da parte di uno psicologo (o strizzacervelli che dir si voglia), categoria professionale nella quale non ripongo una grossa fiducia, a dire il vero.
Certo, potrei sempre tentare di mentire, enfatizzare l'entità e la gravità dei miei disturbi o inventarne altri di sana pianta nel tentativo di essere creduto, ma ora come ora, a parte il comportamento non proprio onestissimo (e pure un tantino irrispettoso nei confronti di coloro che i disturbi ce li hanno addosso per davvero), mi sembra una manovra antipatica e controproducente, come se a fingere di essere ammalati si calamitassero esattamente quelle stesse sventure che ancora non ci ostacolano.
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[sui motivi che mi spingono all'uso della marijuana]
049 — Parafrasando un noto tormentone musicale italiano di qualche decennio fa, a questo punto dell'esposizione credo sia arrivato il momento di chiedermi: «Perchè lo faccio? Perchè mi faccio?»
Come già anticipato in precedenza, le motivazioni sgorgano copiose da diverse sorgenti: ci sono ragioni strettamente fisiologiche, altre che germogliano sul substrato filosofico-religioso; per alcuni versi il mio rapporto con la sostanza acquista connotati rituali-cultuali, ma senza tralasciare (sarebbe un errore) le potenzialità ricreative, anche se tale termine merita un'attenzione particolare e un'analisi specifica del suo significato.
Capire poi perchè utilizzo l'erba (invece che le altre sostanze psicotrope presenti nel mercato) mi condurrà sino in profondità nei territori della cosiddetta bio-politica.
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050 — Credo che mettersi in discussione, mettere in discussione le proprie scelte, aprirsi alle critiche, sia un passaggio fondamentale nell'arte delicatissima del conoscersi.
Se qualcuno mette in discussione un mio atteggiamento, un comportamento magari abituale, in realtà mi sta facendo un regalo inestimabile; mi sta porgendo su di un vassoio d'argento la possibilità di migliorarmi, di correggermi oppure di proseguire lungo la mia rotta con rinnovata energia e convinzione.
Quando mi imbatto in osservazioni mirate e pungenti è come se il mio castello di idee e principi venisse violentemente cinto d'assedio; in questi casi, dopo un primo turbamento iniziale, il mio sistema (ovvero la ragnatela di argomentazioni sulla quale poi si innescano le mie scelte e le mie decisioni) incomincia a spurgare motivazioni e giustificazioni, così come il nostro sistema immunitario reagisce quando entra in contatto con un virus.
Nello specifico, gli elementi che hanno messo (positivamente) alla prova l'arsenale di argomentazioni su cui mi baso si trovano condensati in tre libri che ho avuto la possibilità di leggere, con grande interesse e coinvolgimento, nell'ultimo anno, e che sono serviti, come si dice, per mettere a fuoco alcune questioni, per far luce sui problemi, così come sulle prospettive relative al consumo della cannabis (e di altre sostanze psicotrope).
Ho dunque messo in cassaforte (e ruminato per giorni e giorni) gli spunti principali offerti da Charles Baudelaire nel suo I paradisi artificiali, pubblicato per la prima volta nel 1860; il lavoro intitolato Psico-tropici di Jean-Loup Amselle (il quale si concentra in particolare su una ormai nota bevanda di origine amazzonica, l'ayahuasca), e il bel saggio Di tutta l'erba un fascio di Afshin Kave, che a dispetto del titolo si occupa principalmente dell'eroina e della cocaina.
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[ To be continued... coming very very soon ]
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