...a dire il vero, sino a qualche giorno fa, mi stavo occupando di tutt'altre faccende, cosa che tra l'altro, immagino, sia comune a moltissimi altri. E avrei pure continuato a farlo se l'attualità non avesse prepotentemente reclamato le sue priorità.
Così mi ritrovo con matita in mano e quaderno di fronte, a cercare di fare chiarezza nella foresta di dubbi e considerazioni che all'improvviso, anche alla luce delle misure adottate dal Governo Italiano, hanno iniziato ad invadere il mio cranio.
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Quanto segue non è, e non vuole essere, un tentativo di risolvere i problemi di chicchessia. Sono considerazioni che nascono da ciò che vedo e vivo. Sono valide a malapena per il sottoscritto.
Non sono un virologo e non ho gli strumenti necessari per ricostruire esattamente il modo in cui sono andate le cose.
P.s: Ho iniziato a buttare giù le seguenti righe il pomeriggio del lunedì 16 marzo e ho messo il punto nella sera del giovedì 19. I numeri relativi ai contagi e ai morti sono stati aggiornati per l'ultima volta il venerdì 20 marzo.
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001 — Quando non capisco bene cosa sta succedendo mi sento preso in giro.
E quando mi sento preso in giro, tendo a diventare dialetticamente scontroso.
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002 — La locanda delle sfighe ha, da sempre, un posto libero per chiunque; il menù del resto è sempre vario e aggiornato: inondazioni e allagamenti, terremoti, crolli e cedimenti strutturali e chi più ne ha più ne metta.
In questi casi, ciò che fa la differenza è la prontezza, la reattività, la capacità, le competenze che chi ha la pretesa di governare un paese deve sfoderare, possibilmente con un grado sufficiente di sicurezza, senza troppi tentennamenti, al momento giusto.
Non è la prima volta, mi pare, che in Italia la classe politica al potere (assieme all'esercito di specialisti di ogni sorta) si fa cogliere impreparata.
Ma si sa: gli imprevisti hanno, per essenza, la caratteristica di spiazzare, di disorientare, soprattutto in un primo momento.
Negli ultimi anni noi italiani siamo stati fortunati, al netto di alcuni incidenti di percorso (comunque piuttosto contenuti per quanto riguarda il numero di persone coinvolte). Abbiamo potuto assistere, tramite la TV, comodamente seduti nel divano, alle disgrazie altrui.
A quanto pare, però, a questo giro, udite udite, la disgrazia grossa è toccata a noi...
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003 — Digressione 1.
Sappiamo benissimo, ad esempio, con quale trasparenza e con quale eleganza il Governo Italiano ha gestito i problemi di ordine pubblico legati alle manifestazioni di Genova, in occasione del meeting del G8 nel 2001, giusto per citare un caso particolarmente controverso. Di che preoccuparsi dunque? #andràtuttobene. Come sempre, d'altronde...
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004 — La percezione del problema
«Quello che mi ha colpito maggiormente» — mi dice M. attraverso uno dei suoi vocali su Telegram — «è il modo in cui è cambiata la percezione del problema».
All'inizio la questione sembra irrilevante o, comunque, confinata alla sola Cina.
Siamo abituatissimi ai virus influenzali che puntualmente, in questo periodo, si conquistano 10-15 minuti al giorno di visibilità nei vari giornali e notiziari.
Non è nemmeno la prima volta poi che qualcuno più debole, in condizioni fisiche particolari, magari già compromesse da altre patologie pregresse, ci lascia le penne.
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005 — Sento parlare per la prima volta di Coronavirus il 26 gennaio, durante un pranzo: qualcuno fa il tifo per l'estinzione umana. «Forse a questo giro ci siamo» — dice C. con il suo solito cinismo.
A tavola si cerca di fare il conto dei contagi e delle vittime, basandosi sui dati che si trovano in giro sulla rete: ovviamente si tratta di cifre contrastanti, che variano, anche in maniera sostanziale, a seconda della fonte. Ciò che appare subito evidente, comunque, è che i media italiani, rispetto ad altri esteri, tendono a minimizzare la faccenda.
Il pranzo comunque va avanti, la discussione coinvolge una minima parte dei presenti.
La Cina, del resto, è così lontana, anche se in Italia, a quanto pare, ci sono già i primissimi casi.
Qualcuno sostiene che si tratti di una forma virale piuttosto aggressiva, ma in realtà la questione lascia il tempo che trova.
Le persone continuano a stare appresso alle proprie faccende, come sempre; il mondo continua a girare come se niente fosse, anche se dopo gli incendi che hanno devastato le foreste più grandi e importanti del pianeta, senza che i potenti di turno facessero granché, a dire il vero, il clima sta subendo l'ennesima, brutale modificazione a causa dell'uomo e del suo operato sconsiderato, tant'è che i ghiacciai ai poli, all'improvviso, incominciano a sciogliersi...
Ops...
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006 — Lo ammetto: dal canto mio non mi occupo minimamente della questione; negli ultimi tempi sto spesso molto lontano dalle sorgenti di informazione convenzionali. Nel posto in cui vivo, da solo, non ci sono orologi alle pareti né schermi: non seguo i notiziari in TV, leggo di rado i quotidiani e mi cullo beato nell'illusione che se mai dovesse succedere qualcosa di grave ci penserà qualcuno di fidato ad avvisarmi tempestivamente.
Mi concedo solo un caffè al bar, il sabato mattina: quella diventa pure l'occasione in cui getto il mio sguardo, rapido e annoiato, sul mondo: una controllata sommaria alla prima pagina di uno dei due quotidiani regionali e due o tre occhiate alla “striscia” che scorre nella parte bassa del teleschermo.
Di solito, la ragazza che lavora dietro al bancone punta forte su RTL.
Mischiate assieme ai vari video-clip musicali, in sovra impressione sfilano le storie sintetiche relative all'ennesimo femminicidio; i risultati degli anticipi del campionato di Serie A, in vista del prossimo turno di Champions e, poi, gli aggiornamenti sulle 96 persone che in Lombardia hanno contratto l'infezione. Tutti continuano a credere che si tratti della solita influenza stagionale; io continuo a dedicarmi ai miei studi e alle mie faccende.
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007 — Da dove è saltato fuori il virus
Qualcuno, stiamo parlando di una minima parte, sostiene che ci sia stata una “fuga”, una sorta di incidente più o meno calcolato, da un laboratorio in Cina. La questione viene liquidata come la classica paranoia complottistica.
A dire la verità, considerando l'infinità di faccende di cui si è impicciato l'uomo (soprattutto quello a tinte bianche) negli ultimi 500 anni, non mi stupirebbe affatto se qualcuno stesse facendo i suoi esperimenti e le sue ricerche su un virus e, come magari capita, che si sa bene come vanno queste cose, basta una semplice disattenzione e la frittata è bella che servita.
Altri invece non ci vedono nessuna macchinazione particolare: madre natura, tra le sue infinite creazioni, può annoverare anche miliardi di virus. Questo in particolare ha avuto un'evoluzione un po' anomala, sviluppandosi all'interno di chissà quale bestia.
A questo proposito, S. mi dice: «Non ho assolutamente le competenze per fare ipotesi su quando un virus possa trovare di nuovo una mutazione capace di renderlo così potente. Ma di sicuro con gli allevamenti intensivi e con quei mercati di carni alla cinese, gli diamo una mano».
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Aggiuntina:
A pensare male, dicono, a volte ci si azzecca.
Io per giunta ho smesso di credere alle coincidenze il 23 dicembre del 2011.
Che Cina e Italia siano stati i primi due paesi ad essere colpiti dal virus, dopo aver siglato un importantissimo accordo economico, rimane un dato di fatto.
Come rimane un dato di fatto che la Cina stia riuscendo ad arginare il fenomeno, mentre l'Italia...non proprio...
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008 — Intanto, da quel poco che vengo a saperne, il problema in Lombardia si allarga, ma dalla Sardegna mi risulta difficile seguire la cosa, anche perchè continuo (colpevolmente) a non dare peso alla faccenda, convinto che sia una cosa che non mi riguarda.
Il numero dei contagiati aumenta in maniera esponenziale, si tirano su le prime zone rosse, quelle arancioni e via a seguire con le varie sfumature di colore e le prime misure di quarantena.
Nella altre regioni la situazione sembra sotto controllo. Nessuno ha ancora preso, né tanto meno proposto, soluzioni rigide o drastiche.
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009 — Con il passare, rapido, dei giorni, in Lombardia le misure restrittive si fanno sempre più rigide. Vengo di nuovo a sapere qualcosa dell'ormai sempre più famigerato Coronavirus nelle primissime ore della mattina del 23 febbraio, di domenica. A quanto pare stanno chiudendo tutte le scuole, per arginare il contagio tra i più giovani e per non esporli a rischi inutili. Vengono chiusi anche alcuni uffici e alcuni esercizi commerciali, ma il provvedimento non ha valenza assoluta.
Pure in Sardegna, vengo a sapere da mia cugina che lavora come insegnante, stanno saltando, per ovvie ragioni di sicurezza, i viaggi di istruzione programmati per l'imminente primavera.
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010 — Il 24 mattina chiedo aggiornamenti a S., che lavora a Milano.
Mi manda la foto di un vagone della metro praticamente deserto, ad eccezione di un ragazzo e una ragazza. Lui non può (ancora) lavorare da casa ed è costretto a viaggiare per raggiungere l'ufficio, l'unico aperto e operativo in tutto il palazzo.
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011 — Nel frattempo, nelle cosiddette zone rosse scoppia un “fuggi-fuggi” generale: chi ha la “seconda” casa al Sud pensa bene (...e ci mancherebbe pure) di rifugiarsi in un posto più tranquillo e ameno.
In Sardegna, da quello che mi raccontano, arrivano circa 10000 persone: chi per anni ha sperato incessantemente per un incremento del turismo fuori stagione viene accontentato. Gli esercenti locali avranno 10000 motivi in più per sfregarsi le mani...
Negli aereoporti si incominciano a fare i primi controlli a campione ai viaggiatori in transito e a prendere le prime precauzioni per quanto riguarda gli spostamenti via mare, ma in realtà la situazione per chi viaggia in nave è identica al passato: nessun tipo di provvedimento e libertà assoluta di movimento.
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012 — Su FB mi imbatto per caso in una foto di Matteo Salvini che mi sorride sereno dalle Dolomiti del Brenta: in una mano un calice di vino bianco, nell'altra un ricchissimo tagliere con affettati e formaggi in bella vista.
Ladige.it pubblica la notizia il 28 febbraio, alle 15.11
Si leggono, tra le altre cose, le dichiarazioni illuminate dell'illuminatissimo politico italiano: a suo dire, il Governo Conte non saprebbe gestire l'emergenza Coronavirus e dovrebbe andare a casa.
Si chiude con una chicca: «Sulle nevi di Campiglio, il leader della Lega ha incontrato anche l'ex mitico capitano della Roma, Francesco Totti, che sta trascorrendo una settimana bianca in Val Rendena con la moglie Ilary Blasi e i figli».
Sono passati esattamente 33 giorni dalla prima volta che ho sentito parlare, quasi per caso, durante un pranzo, del Covid-19 e la situazione, seppur per alcuni piccoli dettagli contrastanti tra di loro, mi continua a sembrare piuttosto tranquilla.
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013 — Qualcuno mi informa meglio sull'andazzo: il virus spesso non manifesta sintomi, altrettanto spesso si sviluppa come una normale influenza e poi passa. Ci sono dei casi, però, in cui si “trasforma” (come detto in precedenza: non sono né un virologo e un dottore in medicina) in una polmonite. Nelle manifestazioni più acute, il soggetto entra in crisi respiratoria e dunque va ricoverato in terapia intensiva, per essere attaccato ad uno di quei respiratori meccanici, altrimenti c'è il serissimo rischio di schiattare.
S. griffa la questione, nelle nostre chattate, con la sua consueta limpidezza: «...poi è chiaro, se avessimo avuto 30 mila posti in terapia intensiva anziché 5 mila i risultati sarebbero molto diversi».
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014 — Considerazione 1
Un talentuoso rapper sassarese, che stimo moltissimo, mi regala, con un post su FB, una delle riflessioni più lucide e azzeccate che ho letto negli ultimi cinque anni. Bello vedere tutte queste persone in fuga dalle città del Nord, ormai sempre più impestate.
Mi chiedo quante di loro, almeno per una volta, avranno avuto la tentazione di utilizzare l'hash-tag #aiutiamoliacasaloro. Chissà se tra tutti questi fuggiaschi, stipati sui barconi della Tirrenia e della Moby, ci sarà stato qualcuno che, almeno una volta, avrà avuto la bella faccia tosta di scagliarsi dialetticamente contro donne, bambini e uomini in fuga dalla guerra e dalla miseria. Guerra e miseria di cui dovremmo sentirci, quantomeno, un minimo co-responsabili.
Ma certo, guerra e miseria non sono motivi abbastanza validi per lasciare la propria terra natale e sfidare la morte nel bel mezzo del mediterraneo sopra ad un canotto sgonfio.
Quattro starnuti e la polmonite invece, a quanto pare, sono un motivo validissimo. O forse la paura è verso il regime di quarantena?
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015 — Considerazione 2
Che il sistema sanitario italiano presenti alcune lacune è cosa nota da tempo. Se fino all'altro giorno siamo riusciti a rimanere più o meno in equilibrio, a voler essere molto buoni, le cose cambiano radicalmente e drasticamente in presenza di un'emergenza.
Sull'isola, uno dei territori in Italia e in Europa che presenta il più alto numero di installazioni militari, da diverso tempo a dire il vero, ci sono persone che ritengono (e si battono per far sentire la propria voce) che “forse” sarebbe il caso di iniziare a gestire diversamente le risorse pubbliche e gli investimenti. Il tutto si riassume, semplicemente, con un #piùospedalimenomilitari.
Tradotto: più posti letto in terapia intensiva e meno apparecchi e apparecchiature per fare la guerra.
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016 — Considerazione 3
Pensavo che vivere su un'isola, ben lontano dalla terraferma, per una volta sarebbe potuto essere un vantaggio, ed invece mi sono sbagliato anche a questo giro.
Nessun controllo in entrata. Immagino, nella mia ingenuità, che per ottenere una lista dettagliata con i nominativi di tutti i nuovi arrivati dell'ultima ora sarebbe bastato mandare due e-mail, una ai ragazzi della Tirrenia e una ai ragazzi della Moby, e nel giro di due-tre click si sarebbe materializzato il quadro completo di tutti i passeggeri: nome, cognome, numero di telefono, documento di identità e perfino gli estremi delle carte di credito.
Chi si è candidato per guidare l'isola (ed è stato eletto), invece, si fa trovare con le palle in mano, come si dice dalle mie parti.
La situazione è sempre più confusa: qualcuno pensa che “forse” si dovrebbe fare qualcosa, ma poi, in realtà, nella pratica, si riesce a combinare ben poco.
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017 — L'essere umano è quell'animale bipede, implume, sociale e razionale che rischia quotidianamente di fare una serie potenzialmente infinita di cappellate. (E con questo non intendiamo né un colpo dato col cappello e né una quantità di roba che può essere contenuta in un cappello).
Se l'essere umano, poi, perde pure quelle due briciole di buon senso ricevute in eredità, il tutto rischia di assumere connotati catastrofici.
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018 — Il suggerimento, seppur accorato (perchè in un primissimo tempo di semplice suggerimento si trattava) era piuttosto semplice e, nella sua semplicità, piuttosto chiaro: chi proviene dalle zone (più) a rischio deve auto-isolarsi, in quarantena, evitando di pascolare a zonzo, per quanto possibile.
Ed invece le cose sono andate diversamente, come testimoniano alcuni turisti in escursione nelle zone più improbabili che, colmo dei colmi, perdono pure orientamento e dignità, costretti poi a chiedere aiuti e soccorsi per ritornare a casa.
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019 — I più illuminati, dall'alto della loro saggezza anagrafica, sono gli anziani, di fatto una delle categorie più a rischio, che continuano a vagare per strada, da un negozio ad un altro, per sbrigare le commissioni più bizzarre.
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020 — Poi all'improvviso la situazione precipita e la macedonia di confusione si arricchisce di nuovi ingredienti. L'urgenza, ancora più del virus stesso, si diffonde in tutto il territorio nazionale: vengono chiuse tutte le scuole, non solo quindi quelle nelle zone rosse e arancioni. L'Italia viene trasformata in un unico blocco da mettere in sicurezza.
Rimangono però aperti, tra gli altri, bar e, cosa che mi sembra più strana, le palestre.
Vivendo proprio di fianco ad un centro-fitness ho ben chiaro quante persone ci passino dentro, dalle 09.00 alle 22.00, dal lunedì al sabato.
Tutti nella stessa stanza a sbuffare, sudare, starnutire, tossire, condividere gli attrezzi.
In un primo momento basta (e avanza) mantenere la distanza minima di un metro tra una persona e l'altra, non baciarsi, non abbracciarsi e lavarsi spesso le mani. Questo sino ai primi giorni di marzo. Poi la distanza minima di sicurezza e le comuni precauzioni non sono più sufficienti.
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021 — Lo specchio più attendibile della situazione è rappresentato da quanto avviene nel mondo dello sport e del calcio in particolare: si continua a giocare sino al primo marzo, poi a qualcuno viene in mente, colto da improvvisa illuminazione (una costante ormai in tutto il discorso...), che forse migliaia di tifosi assiepati contemporaneamente sugli spalti non sono proprio il massimo per quanto riguarda il contenimento del contagio. Gli illuminati di turno continuano a cagare fuori perle come se grandinasse: si gioca a porte chiuse. Pure le partite internazionali. Che altrimenti come si fa senza Champions League il martedì ed il mercoledì sera?
Qualcuno però dimentica che anche i giocatori, sebbene molto, molto più ricchi degli spettatori, sono ugualmente fatti di carne, ossa, nervi e saliva, e che entrano in contatto tra di loro. Discorso che vale, ovviamente, anche per arbitri, guardalinee e assistenti vari che, cosa da non sottovalutare, spesso arrivano da città differenti rispetto agli atleti delle varie squadre.
Per poter far disputare le partite di pallone a porte chiuse è sufficiente verificare che gli atleti coinvolti nella gara, una cosa che vale per tutte le categorie, dalla Serie A alla Terza, non presentino sintomi influenzali: niente starnuti, niente tosse, niente congiuntivite, niente febbre. La figura incaricata per tali verifiche è, ovviamente, un medico.
Poi qualcuno ha fatto due conti su quanti dottori sarebbero dovuti essere chiamati in causa, considerando che in Italia, su tutto il territorio, si giocano centinaia e centinaia di match; sarebbe stato un impiego di personale assolutamente sconsiderato (oltreché ingestibile), soprattutto alla luce delle condizioni critiche in cui versano gli ospedali. Si opta, così, per far disputare solo gli incontri dei professionisti, ma l'illuminato di turno si dev'essere ben dimenticato che molti casi sono...asintomatici. Morale della favola: tanti calciatori si sono trasmessi il virus l'uno con l'altro...
Così, finalmente, si decide per lo stop totale di qualsiasi attività sportiva. Allenamenti compresi.
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Aggiunta:
Alcune società professionistiche, in realtà, per tutto il mese di marzo, in piena emergenza, hanno continuato a convocare i propri tesserati, a piccoli gruppi, per svolgere le sedute di allenamento.
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022 — Una delle misure adottate già in piena emergenza che mi ha lasciato più perplesso è senza dubbio quella relativa ai bar: prima della loro chiusura totale e definitiva, infatti, per una settimana circa gli esercizi in questione hanno avuto l'autorizzazione per restare aperti e attivi dalle ore 06.00 del mattino alle ore 18.00. Del resto non si può mica iniziare la giornata senza pasta e cappuccio...
Io non so se gli esperti di turno abbiano scoperto che in quella fascia oraria il virus non si propaga o se, semplicemente, fossero ancora tutti convinti che mantenere le distanze di sicurezza, evitare i contatti ecc ecc rimanessero misure sufficienti.
Ovviamente anche questa barzelletta è durata solo pochi giorni, ma immagino che con il coprifuoco esteso senza distinzioni di sorta a tutta la popolazione, per 24 ore su 24, la concessione sia risultata inutile. Anzi, con la chiusura totale dei bar si elimina automaticamente uno dei dispositivi che innescano le nostre pulsioni sociali e permettono il loro manifestarsi.
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023 — Il vero colpo di classe, però, va a segno tra il 7 marzo e l'11 marzo, con ben due decreti legge pubblicati in rapida successione, uno dopo l'altro, a distanza di poche ore. Nel primo, già piuttosto rigido in molte sue parti, si ordina la quarantena totale per le zone che, sin dalle origini, sono risultate le più colpite, con severissime restrizioni agli spostamenti delle persone. Restrizioni estese, in un batter d'occhio, a tutti i comuni italiani, senza distinzione alcuna.
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024 — Non è sicuramente la prima volta che uno stato di emergenza, presunto o reale, viene sfruttato dai governi per aumentare il livello di controllo nei confronti degli individui. Basti pensare, per citarne uno, a quanto successo all'indomani del settembre del 2001: all'epoca eravamo tutti potenziali terroristi, oggi tutti untori, tutti contagiati con un piede già in sala rianimazione. E l'altro in sala d'aspetto, perchè, ricordiamocelo, i posti non bastano per tutti!
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025 — Ci ho messo un po' di mezzore, lo ammetto, a capire bene come funzionassero le cose in seguito al secondo decreto legge. Se il divieto di lasciare il proprio comune di residenza, se non per motivi di lavoro o di salute o di estrema necessità, mi sembrava una follia, il divieto di lasciare la propria abitazione mi è sembrata una grandissima provocazione. Andrò probabilmente contro corrente, ma i protocolli, in genere, mi ispirano pochissima simpatia: necessitano di standard, di regole da seguire per forza, a prescindere dalle situazioni particolari. Sono fatti apposta proprio per questo, mi si dirà, ed è proprio per questo che, a volte, non ne comprendo bene l'utilità.
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026 — Credo che non si possano paragonare tra di loro, ad esempio, un disc-jockey che vive nel centro di Milano e che per lavoro fa trenta serate al mese in trenta locali diversi e un pastore che se ne sta con le sue greggi sul monte Pollino.
Il capo del governo, però, quando rende esecutivo un decreto, soprattutto in caso di emergenza, non può perdere tempo a fare certe distinzioni. Quindi, se ordina: tutti a casa, significa che dobbiamo stare tutti a casa. E soprattutto: ubbidire.
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027 — I motivi per cui sono tenuto a rimanere a casa sono principalmente due: non venire contagiato e non contagiare a mia volta. Certo, se vivessi al centro di Milano, da questo punto di vista, sarebbe un autentico panico e sarei io il primo ad avere tutto l'interesse a starmene ben barricato tra quattro mura (sempre che il mio datore di lavoro me lo permetta), anche perchè il rischio, raccontano i numeri, sarebbe davvero altissimo.
Ho però l'impressione che se vivessi sul Monte Grattaculo, le percentuali di contrarre l'infezione, o di diffonderla, sarebbero nettamente inferiori. Ma magari mi sbaglio.
Se fossimo ancora dotati di quel famigerato buon senso di cui ancora tanto si blatera, non ne faremo un problema se qualcuno del luogo, un pomeriggio, decidesse di farsi due passi all'aria aperta in un sentierino sperduto del già citato Monte Grattaculo.
Lo stesso non si può dire per colui che, pur abitando o provenendo dall'epicentro della zona rossa lombarda, si aggira tra le corsie del supermercato con la spensieratezza tipica di chi si fa quattro passi in un sentierino sperduto del Monte Grattaculo.
Ma le leggi e i decreti, mi spiegano, servono proprio ad arginare le mancanze di buon senso.
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028 — M. mi ha passato il libro in questione diversi mesi fa, in tempi assolutamente non sospetti: si tratta di una raccolta di scritti sul carcere, curata dai tipi di Editrice Cirtide.
Al suo interno, “L'ultimo giorno di un condannato a morte”, di Victor Hugo; “La ballata del carcere di Reading” e “Il caso del secondino Martin” di Oscar Wilde; due interviste a Michel Foucault, a proposito della prigione di Attica e a proposito delle rivolte all'interno dei penitenziari; un contributo sul tema di Alfredo M. Bonanno e uno di Riccardo D'Este.
Ho iniziato a leggerlo, manco a farlo apposta, pochi giorni prima che la paranoia deflagrasse del tutto e l'ho terminato quando ormai ero già stato trasformato a mia volta, in un modo o nell'altro, in un recluso.
Leggere quelle pagine mi ha fatto comprendere meglio, sempre che ce ne fosse ancora bisogno, di quanto può essere crudele, violento e doloroso rinchiudere un uomo dentro ad una gabbia (ma credo che il discorso valga pure per gli animali), a prescindere dalla sua colpa.
Tra i molti spunti offerti da quelle righe, ne isolo uno in particolare, interessante per il mio discorso: anche i detenuti sottoposti ai regimi più duri devono avere la possibilità di stare per un'ora all'aria aperta, se così si può chiamare l'aria che si respira tra le mura di un carcere, e fare, come minimo, qualche passo, perchè, si capisce, senza è parecchio difficile sopravvivere per più, diciamo, di una ventina di giorni...
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029 — Per uscire di casa, mi spiegano, devo avere dei validi motivi, altrimenti devo semplicemente pazientare, anche se non si sa per quanto: in un primo tempo si è parlato del “fine pena” fissato per il 3 aprile (23 giorni non sono tantissimi, è vero, ma nemmeno così pochi), ma considerando come si sta evolvendo la situazione la questione potrebbe protrarsi più a lungo del previsto.
Come se ciò non bastasse, il mio caso specifico (che è l'unico di cui ovviamente posso occuparmi in prima persona) presenta delle particolarità che vanno a mio discapito.
Una delle vie di fuga, infatti, è rappresentata dalle necessità lavorative ed io, ormai da dieci anni, lavoro da casa. Considerando che i miei pasti si compongono esclusivamente di pane, frutta e verdura, e considerando che il panificio è proprio adiacente alla mia abitazione, in un colpo solo mi sono giocato quasi due delle tre carte per evadere, anche e solo per un po', dal mio domicilio.
La frutta e la verdura che acquisto una volta alla settimana e con cui soddisfo le esigenze per sette-otto giorni, sono disponibili a meno di 200 metri in un caso, mentre nel secondo devo attraversare tutto il centro abitato.
Se avessi (ancora) un cane sarebbe tutto più semplice: le regole attuali consentono ai padroni (non si sa bene ancora per quanto però) di uscire per permettere ai quattro zampe di espletare i propri bisogni, ma il mio adoratissimo socio ha abbandonato questo pianeta lo scorso agosto.
Paradossalmente le cose si stanno complicando, e tanto, per le persone che vorrebbero ancora fare attività fisica all'aria aperta, anche se in solitaria.
La chiusura dei parchi, in molte città, è stata un duro colpo in questo senso. Benché il decreto legge non lo vieti, inoltre, si cerca di scoraggiare tutte le uscite che non sono finalizzate al soddisfacimento delle urgenze: chi viene “scoperto” a fare una corsetta viene trattato come se fosse un potenziale untore, un irresponsabile, se non addirittura un fuori legge, un criminale da sanzionare con multe sino, si chiude il cerchio, con il carcere...
I mezzi di comunicazione e i social-network, del resto, pompano ettolitri ed ettolitri di paranoia, ogni giorno. Il cuore pulsa ed ogni battito sforna una paura tutta nuova.
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Aggiornamento:
Il 21 marzo gira tra le strade del mio paese una macchina della Polizia Municipale. Attraverso il megafono, il capo dei Vigili Urbani spiega che non sarà più consentito uscire per passeggiare, né tanto meno per correre. Anche per chi ha un cane le cose si fanno difficili: è consentito uscire esclusivamente di fronte al proprio domicilio, per poi rientrare immediatamente in casa.
Per fortuna, mi dico, che il mio cane è morto lo scorso mese di agosto, perchè sarebbe stata una cosa davvero complicata da gestire, considerando i chilometri che macinavamo ogni giorno e considerando poi, soprattutto, che il cane non caga a comando.
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030 — Ancora sulle necessità.
Ciò che è estremamente necessario per una persona può essere assolutamente superfluo per un'altra, e viceversa. A seguire protocolli troppo rigidi si rischia di fare più danni che altro. Chi chiude i parchi per evitare che le persone vi si ammucchino dentro tiene però aperti i tabacchini: alle sigarette non si può dire di certo di no, anche perchè poi uno senza nicotina ha lo sbrocco più facile. Senza attività fisica, invece, si può stare benissimo, dicono alcuni, «e se proprio volete fare ginnastica, correte dal divano al letto e poi tornate indietro».
Di solito però, coloro che si lanciano in simili affermazioni sono quelli che chiamano un Uber per passare dalla tazza del cesso al seggiolone...
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031 — Non mi sarei mai immaginato che sarebbero riusciti così bene, ed in poco tempo, a far sparire gli esseri umani dalle strade dei paesi e delle città. Senza violenza fisica, senza la minaccia di un'arma, senza minimamente ricorrere alla forza, ma basandosi esclusivamente sulla propaganda, mai così martellante, costante, a più livelli. Usando la paura come veicolo principale.
Hanno fatto strike, insomma: tutti i birilli a terra, in un colpo solo, senza eccezione alcuna.
Gli unici che sembrano disubbidire un minimo agli ordini che provengono dall'alto sono i ragazzi più giovani, alimentati da quella sfrontatezza e da quella incoscienza che, in un certo senso, anche e solo per una mera questione anagrafica, solo i giovani possono permettersi.
Spetta agli adulti, in qualche modo, seminare in loro il buon senso necessario ad evitare che l'esuberanza adolescenziale si trasformi in errore madornale e, nella peggiore delle ipotesi, in dramma e in catastrofe.
Ma spesso chi dovrebbe dare l'esempio, tra gli adulti, pecca clamorosamente nel momento più importante. Del resto, non dovremmo mai dimenticare il fatto che stiamo consegnando in eredità alle generazioni future un pianeta ormai quasi inabitabile, ridotto irrimediabilmente allo sfascio.
I corsi di etica che ci affanniamo a proporre e a sponsorizzare sembrano partiti fuori tempo massimo.
Anche gli anziani non si curano delle disposizioni che il Governo continua a dettare attraverso i suoi organi e i suoi dispositivi: forse percepiscono la questione in maniera diversa rispetto agli altri, forse hanno meno paura della morte, sempre più prossima, per ovvie ragioni, o forse non capiscono la gravità della faccenda perchè non hanno più gli strumenti, o forse, ancora più semplicemente, si ostinano a non capire, barricati dietro a un ottusità senile conquistata e difesa sul campo.
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032 — Ci sono dunque due categorie principali di persone: quelle che non riescono assolutamente a gestire la paura di morire di polmonite, e quelle che, all'improvviso, dopo che hanno spruzzato in lungo e largo la propria merda e il proprio menefreghismo, si sentono improvvisamente invasi da un profondissimo senso di responsabilità che, cosa ancora più ridicola, cercano in tutti i modi di inoculare nel prossimo: tanti testimoni di Geova che fanno a gara per essere i più zelanti del quartiere, prontissimi ad evidenziare ogni più piccola mancanza del dirimpettaio.
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033 — Qualcuno ha anche provato (di che stupirsi?) a giocare la carta del pathos. Gli ultimissimi stadi della polmonite provocata dal Coronavirus sono un'esperienza terribile: si rimane coscienti sino all'ultimo, non si entra in narcolessia, si ha la sensazione di affogare, si muore da soli, lontani dai propri parenti.
Forse risulterò fuorviante ma mi piacerebbe tanto ricordare ai più spaventati che in realtà la morte si manifesta in tutto il suo orrore, e da sempre, in molteplici, svariate forme.
Anche crepare con il corpo crivellato dalle metastasi, da quello che ho visto, non mi sembra proprio spassosissimo. Anche venire uccisi a furia di botte da un branco di secondini cocainizzati non dev'essere il massimo della comodità, per non parlare poi di quelli che conquistano l'aldilà grazie ad uno spiritosissimo missile piovuto improvvisamente in soggiorno, sganciato magari da un soldatino di origini europee che per sbarcare il lunario accetta senza battere ciglio di partire in missione (rigorosamente umanitaria) in qualche paese del terzo o del quarto mondo.
Negli ultimi anni nel mediterraneo sono annegate decine e decine di disperati, nella più totale indifferenza, come se ci fossero morti di Serie A e morti di Serie B.
Da dieci giorni a questa parte il problema più grande è rappresentato dal Covid-19, come se una volta superata l'emergenza, l'uomo bianco tornasse ad essere immortale; un immortale che trascorre l'eternità nella valle incontaminata e immacolata dell'Eden.
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034 — Il copione è sempre lo stesso: se il grande portone in legno è spalancato, significa che la rivendita di frutta e verdura è operativa. Dunque non mi resta altro da fare che pigiare il bottone del campanello, ma quello che amo di più è richiamare l'attenzione della commessa con un mezzo grido: «Nà!!! Ci sei?».
L. esce dal piccolo cucinino della sua casa e mi viene incontro, attraversando il cortile, con il suo caratteristico passo claudicante: non manca mai di descrivermi in maniera accurata la mappa dei dolori che affliggono le varie articolazioni del suo corpo, ormai martoriato da più di 70 anni di fatiche; io d'altronde la ascolto sempre con viva partecipazione, manco fossi il suo medico di famiglia.
A differenza del solito, però, ha una mascherina azzurra che le nasconde due terzi della faccia, dagli occhi in giù. «Mi fa caldo, mi si appiccica addosso, non la sopporto, ma come faccio? Sono venute quattro persone oggi, devo metterla per forza» — mi racconta nel frattempo che infila rapida cinque chili di arance dentro ad una busta in plastica.
[I nostri dialoghi vanno sempre in scena in sardo campidanese].
«Non mi vorrai dire che hai paura anche tu del virus...» — la provoco.
Mi lancia contro uno dei suoi mugugni, quasi impercettibili. Quasi.
Poi sbotta: «Beh, certo, con tutti questi morti, all'improvviso...».
“Tutti questi morti” in Sardegna, al momento, sono appena due, ma per magia L. ora riesce ad essere solidale, contemporaneamente, con tutti i deceduti nel resto dello stivale. Si sente coinvolta e connessa con le sfortune degli altri suoi simili, una cosa che le veniva difficile sino a pochi giorni fa e su cui dobbiamo ancora lavorare parecchio, perchè risulta particolarmente cinica, invece, se i morti hanno un colore della pelle differente dal suo e, magari, arrivano dall'Africa a bordo di un canotto sgonfio.
«E prima non si moriva?» — sputo.
Mi ricorderò solo una volta ritornato a casa che L. ha già perso un figlio, per incidente stradale, e una sorella, seppellita peraltro proprio sotto a mia madre, per tumore. E infatti non replica alla mia domanda.
Quando mi riporta indietro il resto dei soldi, ne approfitto per un altro scambio di battute, cercando di analizzare la questione con un pizzico in più di lucidità. Nelle nostre campagne la situazione è tutt'altro che critica; i problemi più grandi, invece, stanno venendo fuori negli ospedali, a Cagliari, Nuoro e Sassari, con un picco di contagi impressionante.
«Dovrebbero essere quelli che ci aiutano a guarire ed invece si stanno ammalando loro» — osserva. «Speriamo che passi presto» — aggiunge.
Concordo. Qualcosa non sta andando proprio come dovrebbe, ma non credo che la cosiddetta “malasanità” in Italia sia un problema esploso nel mese di marzo dell'anno 2020.
Prima di andare via, la saluto utilizzando la formula usuale. «Ciao L., ci vediamo presto. E fai da brava». «Deu bollada», mi risponde con una serenità che sembra arrivare da altri tempi.
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Aggiornamento:
Al 21 marzo, i morti in Sardegna son saliti a cinque unità
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Aggiunta: R., il marito di L., sbuca dalla porta del cucinino. Si affaccia appena, giusto per salutarmi con un gesto della mano. Ha le corde vocali massacrate da chissà quale accidente: quando prova a parlare si sente solo una specie di brusio, flebile flebile, che sembra provenire dall'altra parte del mondo. È un po' più grande d'età della moglie: avrà già fatto più di ottanta giri attorno al sole ma ancora non ne vuole sapere di scendere dalla giostra. Per me non è un problema: gliene auguro altri venticinque.
Anche lui è mascherato.
«Ti hanno messo la museruola?» — gli chiedo, ridendo.
«Eia! Così non mordo!», replica in maniera appena percettibile.
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035 — La palma dei più patetici in assoluto, però, spetta agli hooligans del “rispetto delle regole ad ogni costo”, i quali si accodano senza pensarci due volte ai proclami sempre più spavaldi e spericolati di sindaci e presidenti delle regioni che spesso giocano a fare gli sceriffi, pronti a difendere il paese dall'invasione del morbo, anche ricorrendo a misure rigidissime che rischiano di cancellare in un attimo le libertà individuali più importanti.
Noto, con profondo dispiacere, il clima di sospetto, se non di odio, che si sta diffondendo nei confronti di coloro che si azzardano a mettere il naso fuori di casa per svolgere, magari solo per poche mezzore, un po' di attività fisica, benché non ci sia, ad oggi, nessun divieto in proposito, soprattutto per chi esce in solitaria e rispetta la distanza minima di un metro.
Il #iostoacasa deve essere preso alla lettera, anzi, di più. E giù con gli insulti, anche pesantissimi, per runner, passeggiatori e ciclisti, a prescindere che ci si trovi nell'epicentro del contagio, in Lombardia o in Veneto, o nel punto più sperduto del Monte Grattaculo.
L'imperativo è starsene tappati nel proprio domicilio: chi trasgredisce, soprattutto se indossa scarpe e tutina da ginnastica, è considerato alla stregua di un pericolosissimo terrorista che, imbottito sino a scoppiare di esplosivo, sta attentando contro la sicurezza del paese.
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036 — Digressione 2
Numeri alla mano, le strade sono dei veri e propri mattatoi a cielo aperto: in tanti, per un motivo o per un altro, hanno lasciato le penne incastrate tra le lamiere; molti altri sono vivi per miracolo, si dice in questi casi.
Mi piacerebbe sapere quanti di noi rispettano alla lettera i limiti e gli obblighi suggeriti dai cartelli stradali ed imposti dalla legge. Se per una volta non fossimo bugiardi, dovremmo ammettere che quei 15-20 km orari in più vengono aggiunti di default, perchè andare ad una velocità di 50 è una vera merda.
È l'autista, di solito, che in base al proprio buon senso valuta quale sia il ritmo da imprimere alla crociera: se la strada è sgombra (che male c'è?) o se si ha fretta (gli altri capiranno \ 'sti tappi di merda) l'aggiunta passa da 15-20km orari a 50, 60, 70 km orari.
E il tutto rientra nella normalità.
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037 — Digressione 3
Abbiamo abbaiato più forte (io compreso!) all'epoca in cui abbassarono il tasso alcolemico massimo consentito per mettersi al volante.
Le regole parlano chiarissimo: bastano due 0.20 di birra e sei praticamente fuori gioco.
C'è stato un periodo in cui la repressione si è fatta sentire, eccome, e moltissimi a dire: «Io riesco a guidare tranquillamente anche dopo due 0.40, i limiti sono troppo bassi». Come dare torto a costoro?
Ora che la repressione, a quanto pare, viene concentrata su altri aspetti, immagino che ci siano persone che nove volte su dieci non rispettino questo vincolo.
Se la tentano, si sentono in grado di portare il proprio culo a casa e molto spesso riescono pure nell'intento, senza causare danni.
Proprio per questo non capisco come le stesse persone si possano indignare se uno si tenta una corsetta in solitaria in un sentiero sperduto del Monte Grattaculo.
Proprio per questo, lo ribadisco, è un vero peccato che i corsi di etica in Italia siano partiti soltanto nel mese di marzo del 2020.
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038 — Digressione 4
Siamo tutti incollati, tutti appresso a quel numerino che cresce in maniera progressiva sotto alla voce “Morti a causa del Coronavirus”. Se il Governo e il Ministro della Salute facessero lo stesso giochino con il numerino alla voce “Ammalati e morti di tumore”, e parlo anche e solo per la Sardegna, ci sarebbe da impazzire, credo.
Alla fine di tutto questo delirio sarà piuttosto semplice fare due calcoli: ognuno di noi potrà facilmente stabilire se fra i propri cari avrà più decessi per cancro o per la polmonite da Covid-19.
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Aggiuntina:
Ci metto le palle sul fuoco: dopo che l'epidemia sarà stata finalmente controllata (usare la parola debellata, al momento, mi pare un azzardo) sono sicuro che le cose torneranno ad andare come sempre: continueremo a mangiare le nostre insalatine inzuppate di pesticidi e anticrittogamici; continuerete a mangiare le vostre belle bistecche disinfettate con tutti gli antibiotici più potenti in circolazione, continueremo a respirare polveri sottili e chissà quante altre schifezze galleggiano nell'aria; continueremo a bere un liquido che sarà sempre più simile alla merda che all'acqua naturale, in barba a quanto riportato sulle etichette.
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Aggiuntina 2
Infine, quando qualcuno morirà, si farà il funerale, il seppellimento, un po' di lacrime, un ciao e un “avanti il prossimo”. Le cose vanno così, da millenni. E mi dispiace che debba essere proprio io, nel 2020, in uno degli inverni più caldi che abbia vissuto, a ricordarvi tutto questo.
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039 — Per concludere, finalmente, non posso fare altro che tornare al mio caso specifico, l'unico, lo ribadisco ancora, di cui mi posso occupare in primissima persona.
Da quasi tre anni vivo in un bilocale; niente da dire, a me pare un castello, ci sto dentro come una perla in un'ostrica. La mia casa consiste di due stanze: una sala polifunzionale, che funge principalmente da soggiorno e mangiatoia, e un fantastico bunker, ricavato ovviamente in un ambiente sotterraneo. Sarà li che mi barricherò, fucile in mano, quando verranno a cercarmi, ma questa è un'altra storia...
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040 — È stato davvero commovente vedere Jovanotti che mi invitava, armato di ukulele, a starmene ben sigillato nei miei alloggi. Mi piacerebbe davvero invitarlo a suonare nel mio bunker: del resto, in passato, quelle quattro mura hanno ospitato le prove di qualche band punk- hard core – metal della zona. Sono sicuro che si sentirebbe a suo agio.
Ci sarebbe soltanto da capire quante ore, giorni, mesi di seguito riuscirebbe a passare là sotto, prima di sbroccare...
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Aggiuntina: Certo, il nostro “fine pena” è relativamente vicino, se paragonato ad altre condanne. Sarebbe il caso, magari, di spendere un pensierino, in questo periodo di reclusione, quarantena e clausure, alle centinaia e centinaia di persone che accettiamo passivamente di tenere rinchiuse, con il nostro tacito consenso, dentro a tutte le celle e le camere imbottite del pianeta terra...
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041 — Una delle cose che mi piace da impazzire del mio paese è che mi basta fare quattro passi per ritrovarmi in aperta campagna. Per aperta campagna intendo che posso farmi circa 70 km verso sud-ovest, attraversare campi su campi ed arrivare alla foresta di Gutturu Mannu, verso il monte Arcosu e il monte Lattias. Volendo potrei camminare, senza incontrare un villaggio, per circa 40 km, in direzione sud-est. Idem per altri 40 km in direzione ovest, sino a raggiungere il massiccio del Linas.
Se invece mi venisse voglia di andare verso nord-est, potrei procedere per circa 20 km prima di arrivare ad un centro abitato.
A me passeggiare piace un sacco: ecco perchè, nonostante tutto, nel mio paese mi trovo comunque sia piuttosto bene. In passato, per tredici lunghissimi e bellissimi anni, ho girovagato in compagnia del mio adoratissimo quattro zampe. Sarebbe stato un alibi perfetto, di questi tempi, ma purtroppo ha lasciato questo schifo di pianeta lo scorso agosto. Ora, dunque, mi ritrovo ad andare a zonzo completamente da solo, ma non è affatto un problema.
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Aggiuntina:
Gli orari di chi lavora in campagna, di solito, sono basati sulla luce del sole.
Si incominciano le varie attività all'alba, o poco prima, sino al tramonto. A me, per tutta una serie di questioni che non sto a spiegare ora, piace frequentare quei posti dal tramonto in poi, sino a notte fonda. Si, lo so che è una cosa un po' stramba, ma ognuno, del resto, si porta a spasso le sue stramberie.
Inutile che stia qui a spiegarvi, considerando le premesse, che nei miei pellegrinaggi campestri non incontro lo straccio di un'anima viva. E quando dico “nessuno” non intendo “poche” persone, non intendo “solo” dieci persone, non intendo “cinque” persone, “tre” persone, “due” persone.
Quando dico che non incontro nessuno, significa che in quei luoghi sono l'unico vivo nel raggio di chilometri e chilometri.
C'è così tanto silenzio (al netto di qualche anatra, di qualche airone guardabuoi e di qualche altro volatile notturno non meglio identificato) e così tanto deserto intorno che a volte ho l'impressione che la mia scatola cranica si possa accartocciare da un momento all'altro.
Eppure tutto questo mi piace da morire, tant'è che sono arrivato a credere che quei luoghi siano la mia droga, o meglio, una delle tante...
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Aggiuntina 2:
Il sabato e la domenica, nei campi, lavorano in pochi, per usare un eufemismo.
Una delle cose che mi piace di più, sino ad impazzire, del mio paese, è che mi basta fare quattro passi per finirla tra gli uliveti. E sotto gli ulivi in questo periodo si trovano gli asparagi.
Come ogni buon cercatore di asparagi che si rispetti, da tre anni ho il mio posto di fiducia.
L'ultima volta che sono uscito per andare a cercare asparagi, era sabato scorso.
Poichè era mattino, durante il tragitto mi sono imbattuto in due persone: l'usciere \ fac-totum del municipio che a bordo della sua bicilettina tornava, per l'appunto, dalla campagna (ho anche pensato che mi avesse irrimediabilmente battuto sul tempo nella ricerca all'oro verde), e, una volta arrivato a destinazione, un uomo intento a potare i suoi alberi (e a cui gli asparagi non interessavano).
Ora, se ho trovato due mazzetti di asparagi, per un totale di quartanta unità scarse, non è perchè io ho giocato sporco e sono uscito trasgredendo le regole e andando contro il buon senso, ma ho trovato gli asparagi perchè agli altri 6.835 individui, sui 6.838 che abitano in paese assieme a me, non frega proprio un fico secco di andare a cercarli.
A me fa piacere che voi passiate i sabati a bere spritzini e a seguire tutte le vostre sacro-santissime faccende, anche perchè se in 7000 affollassimo lo stesso posto, ci sarebbe ben poco da divertirsi.
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042 — La verità, invece, è che vi hanno inquadrato piuttosto bene: per farvi stare buoni nelle vostre cucce vi bastano Netflix, Whatsapp (o Telegram) e la pizza a domicilio. E non vi serve nient'altro.
Certo, con il football in TV la quarantena sarebbe una pacchia assoluta, ma a quanto pare stanno spingendo per fare in modo che la giostra del pallone riparta il prima possibile, magari già dal 3 maggio. E se ci sarà da aspettare un po' di più, al più tardi sarà per i primi di giugno...
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043 — L'ordinanza in vigore nel mio comune parla chiaro: devi indossare la mascherina “esclusivamente” se accusi i sintomi influenzali, se presti servizio in pubblico e soprattutto se entri a contatto con gli anziani.
Per il resto, il sindaco non fa altro che bombardare i suoi concittadini con il messaggio ormai ben noto: statevene a casa e non uscite se non per motivi importanti. L'italiano, si sa, è un maestro nello stare in equilibrio tra il lecito e l'illecito, così mi sono trovato alle prese con un gioco paradossale...
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044 — ...il pomeriggio lascio la mia abitazione, rigorosamente a piedi: non sono di certo uno di quelli che usa il Suv, che manco possiedo ovviamente, per percorrere 150 metri di tragitto.
Mi dirigo verso il tabacchino (cosa che si può fare!) ma puntualmente, una volta arrivato di fronte alla porta, mi ricordo che non ho mai fumato in vita mia. Realizzo che sarebbe una fesseria iniziare in un momento delicato come questo: sono asmatico e rischierei una crisi e, quindi, di intasare in modo stupido il pronto soccorso. Senza considerare poi che in ospedale mi esporrei seriamente all'infezione.
Così proseguo dritto, verso l'Eurospin o l'IperPan, posti uno di fronte all'altro, all'ingresso del paese, per recuperare una scatola di riso (cosa che si può fare!). Quando arrivo di fronte ai market, la fila di persone che aspettano il proprio turno all'esterno, a volte senza manco rispettare le distanze minime di sicurezza, mi fa passare la voglia di riso.
Così decido di procedere, verso casa della mia amica L., a comprare un po' di mele per la mia colazione (cosa che si può fare!). Non essendo però il suo un esercizio commerciale classico, ma una rivendita casalinga, a volte trovo chiuso.
Comunque sia, a quel punto, considerando che L. abita alla periferia ad est del paese, decido di tornare a casa passando dalla campagna che si apre proprio lì di fronte, circoscrivendo così il centro abitato (passare al suo interno significherebbe, per un mero calcolo delle probabilità, espormi ad un rischio più elevato di contagio o, qualora fossi un caso asintomatico, di infettare qualche altro poveraccio).
Il mio giro in campagna, in definitiva, non è assolutamente necessario ed io sono uno scellerato, un pericolo pubblico che non ha nessun rispetto, nessuna sensibilità, soprattutto perchè nel frattempo mi azzardo a raccogliere quattro asparagi da terra.
Proprio per questo, dopo il Niagara di parole spese sino ad ora, è normale che sia io lo stronzo da impiccare in piazza...
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045 — Mi rimane, davvero, un'ultimissima curiosità: l'Italia è stata impacchettata in blocco in questa spiacevole situazione il 10 marzo: sino a prova contraria, le misure restrittive dovrebbero terminare il 3 aprile, ma considerando come stanno andando le cose c'è il serio rischio che la questione duri più del previsto.
È da diversi giorni che guardo, con un po' di invidia, a dire il vero, alla situazione della Basilicata, che ad oggi conta 37 casi di contagio appena. (Sino al 19 marzo erano fermi a 12).
Secondo S., il numero è destinato ad aumentare: basta aspettare una settimana e gli effetti dell'esodo dei popoli del nord-Italia saranno finalmente visibili ed evidenti anche in quelle zone.
Io ovviamente trascorro le giornate con le dita incrociate per i nostri fratelli della Basilicata: che almeno loro possano scamparsela da questo macello, ma mi chiedo: prima di rituffarsi nelle loro solite vite dovranno aspettare che la situazione in “tutta” Italia, Lombardia compresa (14 mila casi), ritorni alla normalità???
In realtà c'è poco da fare il tifo: se davvero la Basilicata fosse la prima regione della penisola a uscire dal tunnel, considerando quanto siamo stati illuminati sino a questo momento, potrebbe verificarsi una vera e propria invasione, soltanto perchè in quella regione è consentito bere lo spritz per l'aperi-cena delle 19.00.
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046 — Visto da qui, mi sembra il più grande esperimento di controllo sociale, a livello europeo, messo in piedi negli ultimi 50 anni. A conti fatti, gli avvenimenti legati all'11 settembre 2001, ancora e sempre troppo poco chiari, rischiano di scivolare clamorosamente al secondo gradino del podio.
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Aggiunta finale: Con i due mazzi di asparagi raccolti dal sottoscritto e ritratti nella fotografia, quello a sinistra è stato utilizzato per condire un risotto. Quello di destra, invece, si è trasformato nel regalo fatto a mio padre per il suo 71esimo compleanno: nato nel 49, ha vissuto nell'illusione, montata ad arte dal cosiddetto boom economico, che la vita fosse una questione piuttosto semplice: non si tratta che di scegliere il lavoro che più fa al caso tuo, magari un bel posto da dipendente statale, tra quattro o cinque alternative disponibili, e nel frattempo che aspetti di andare in pensione, non devi fare altro che trastullarti guardando i vari Gullit e Van Basten alla Tv.
Ma come ripeteva spesso il saggio Gurdjeff: chi fa la festa la faccia fino in fondo, compresi porto e imballaggio. Che tradotto suona come: dopo le abbuffate bisogna sparecchiare.
Quelli della generazione di mio padre, ormai, stanno diventando troppo stanchi e vecchi per potersi accollare le pulizie generali di fine stagione. La palla ora passa inevitabilmente a noi, che ci troviamo a sguazzare in un autentico merdaio, con i sandali ai piedi, ma senza stracci, nè scope, nè secchi.
In queste condizioni, è chiaro, non si possono fare miracoli; io mi ripeto spesso, è una delle più grandi consolazioni scovate sino ad ora, che non sono di certo qui per mettere radici e sopravvivere 150 anni.
Anzi, considerando le premesse e facendo un rapido calcolo delle condizioni del posto in cui sono venuto su, non mi stupirebbe affatto se da un momento all'altro (e sottolineo il “da un momento all'altro”) mi spuntasse in un testicolo (o in qualsiasi altra parte del corpo, va bene uguale per lo scopo) un simpaticissimo bernoccolo che darebbe inizio al carosello che tutti conosciamo.
Lancio un grosso e sincero “in bocca al lupo” ai vostri pargoli, per quei fagottini che scarrozzate in giro dentro ai passeggini: spetterà a loro ritirare piatti, bicchieri, posate e tovaglie; spetterà a loro capire che farsene e soprattutto dove mettersele...
1 Comment:
Come sempre brevi spunti lucidi da cui far partire ragnatele di riflessioni. Troveremo presto il modo di ragionarci su di persona!
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