[...sulla detenzione, sulla punizione, sul dolore...]
016 - Nel corso della nostra evoluzione ci siamo specializzati nelle attività più disparate, facendo registrare notevoli progressi nel campo delle scienze mediche, tecnologiche, economiche, politiche, sociali.
Tra le altre cose abbiamo imparato a farci del male, in maniera sempre più accurata e meticolosa.
Se paragoniamo il corpo ad un bersaglio, possiamo colpire con precisione uno degli infiniti centri di dolore disseminati in lungo e in largo nella nostra carne. Il campionario dei supplizi, esposto pubblicamente, dal vivo, in molte piazze d'Europa sino al XVIII secolo, ha trovato nel carcere il luogo ideale per continuare ad essere aggiornato, al riparo da occhi indiscreti.
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Poi mi introdussero all'interno di una cella vuota e mi ammanettarono ai piedi del letto con le braccia all'indietro, sdraiato al livello del suolo, in una posizione scomoda. Quindi, se ne andarono. […] Giunse la notte, l'accompagnava il freddo dei primi di ottobre. Le braccia incominciavano ad addormentarsi, immobili e prive di circolazione per la pressione delle manette ai polsi. Seguirono i piedi, con un dolore ancora più insopportabile. Il freddo castigava il mio nudo corpo, provocandomi fitte di dolore alle estremità. L'impossibilità di cambiare posizione mi fece comprendere con quanta perizia i secondini avevano fatto il loro lavoro. Non potei contenermi e scoppiai a piangere.
Fu la notte più lunga della mia vita.
Nessun'altra, di quelle che trascorsi in prigione, causò in me tanta sofferenza.
Il mattino seguente, rannicchiato a terra e facendo uno stoico sforzo finale per non umiliarmi di fronte agli aguzzini nel supplicare la fine di quel castigo venni visitato dal medico.
Xosé Tarrio Gonzàlez – Huye, hombre, huye \ Diario di un prigioniero F.I.E.S.
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[...sul dolore e sulla sofferenza...]
017 - Rubo piccolissimi sospiri di sollievo nascosti in una valle sterminata di angosce: il semplice fatto che il mio corpo non abbia (ancora) sperimentato i vari, possibili stadi del dolore, basterebbe, da solo, a rendermi un individuo estremamente fortunato.
La sofferenza può scorrere come una scarica elettrica lungo i nervi, così come può annidarsi nei meandri della nostra coscienza, con effetti altrettanto devastanti.
Gli intoppi in cui può incappare la psiche sono tanti e di varia natura, : dagli esaurimenti energetici che ci riducono alla stregua di luridi stracci, alle mille sfaccettature di un'ossessione, di uno stato paranoico – depressivo che può facilmente degenerare in una situazione senza uscita. L'istinto di conservazione, a quel punto, viene messo con le spalle al muro, di fronte ad un plotone di esecuzione, ed è costretto, spesso, ad arrendersi.
Il mio pensiero va a tutti loro: a tutti quelli che non sono riusciti a rimanere aggrappati alla vita, a tutti quelli che sono stati spazzati via da un essere deforme gigantesco sempre in agguato, sempre pronto a mietere nuove vittime.
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[...ancora sulla solitudine e sul ruolo degli altri...]
018 - C'è un termine della lingua inglese di cui, soprattutto nell'ultimo periodo, mi sono innamorato, per la capacità che ha di richiamare alla mente un'immagine ben precisa: feedback.
Tradotto letteralmente: nutrimento di ritorno.
Rende molto meglio l'idea di quanto può fare, ad esempio, la parola risposta, perché accentua il carattere fisiologico dell'interazione dialettica con l'altro. Al pari del cibo, gli scambi di idee e opinioni con il prossimo contribuiscono al corretto ed equilibrato funzionamento della nostra totalità psicofisica. Una questione più di qualità che di quantità.
Piccola parentesi: ricordo ancora, in maniera a dire il vero troppo nitida per i miei gusti, lo stato di inquietudine insopportabile in cui venivo gettato quando i miei giovanissimi e sventurati (almeno quanto me) compagni di viaggio ai tempi delle scuole elementari, decidevano di ignorarmi totalmente, nell'intento di esprimere il loro disappunto in seguito ad un'offesa o ad uno sgarbo provocato dal sottoscritto. Avevano il potere di farmi sentire trasparente, o peggio ancora invisibile.
Ho sviluppato, per lunghissimo tempo, un rapporto dolente con la solitudine: un faccia a faccia inevitabile, considerando la condizione forzata di figlio unico in cui mi son trovato gettato, senza ovviamente sceglierlo.
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[...sulla solitudine, sul ruolo degli altri e su alcuni esperimenti particolari...]
019 - In passato ritenevo che una situazione di isolamento (anche e solo ad un livello comunicativo), seppur parziale o temporanea, sarebbe risultata assolutamente ingestibile e insopportabile.
Con il tempo, e grazie agli esperimenti che ho condotto sulla mia coscienza, principalmente attraverso l'uso di sostanze psicotrope, ho raggiunto traguardi a dir poco sorprendenti, soprattutto se rapportati alla condizione di partenza.
In questo senso, ora mi sento particolarmente vicino a Castaneda, quando nell'Isola del Tonal scrive:
Ero capace di essere solo senza far crollare il mio benessere fisico o emozionale. Questo era forse il mio trionfo più sorprendente. Dal punto di vista del mio stato d'animo e delle mie aspettative di un tempo, essere solo e non andare fuori di senno era una condizione inimmaginabile.
Trovare in maniera fortuita o comunque inaspettata la chiave per accedere, in modo piuttosto ordinato per il carattere complesso del fenomeno, ad una dimensione interiore popolata da una moltitudine di 'me stesso' con cui stare, con cui riflettere e discutere, ha rappresentato una vera e propria svolta nell'arduo cammino verso un regime di autosufficienza emozionale.
La conclusione di tutto il mio discorso potrebbe far storcere il naso a qualcuno; corro volentieri il rischio di venir preso per un tossicomane cronico irrecuperabile quando affermo che, a differenza delle persone, le droghe, se ci rapportiamo ad esse con quel briciolo necessario di oculatezza, nel momento del bisogno non tradiscono mai, o perlomeno, sono sempre presenti.
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[...ancora sul feedback e sul ruolo degli altri...]
020 - Le indicazioni, di qualunque tipo esse siano, sono utilissime per migliorare il proprio agire e il proprio comportamento, soprattutto quando i dubbi e le incertezze minano la nostra sicurezza.
Gli altri, rispondendo ad un nostro input, ci aiutano a valutare meglio la situazione, perché magari ci forniscono un'interpretazione differente, un altro punto di vista da cui far partire la nostra indagine.
Ci offrono un riscontro, una valutazione che entra in gioco con le nostre credenze, le rafforza oppure potrebbe riportarle bruscamente al centro del processo critico.
Molto spesso mi sento come se fossi alla guida di un pesantissimo autocarro, con gli occhi bendati e con un solo passeggero al mio fianco. Nonostante tutto, malgrado non possa vedere la strada che sto percorrendo, proseguo come se sapessi perfettamente dove sto andando, cavandomela tra i tanti ostacoli presenti e mantenendo una velocità costante.
A volte, però, rischio di esagerare, mi faccio rapire dall'entusiasmo e pigio il piede sul pedale dell'acceleratore più di quanto forse dovrei. Altre volte invece ho l'impressione di rilassarmi troppo.
I feedback in questi casi sono fondamentali.
Aiutano a correggere gli approcci troppo invasivi, o ad aizzare quelli troppo blandi.
La speranza è quella di raggiungere presto un sufficiente grado di autonomia.
A questo proposito, prendo spunto da 'Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta' di Robert M. Pirsig.
Se volessimo davvero migliorare, dovremmo entrare in una condizione di intimità con il nostro corpo, la nostra psiche e tutte le attività a cui ci dedichiamo, senza aspettare il parere di un esterno, o dell'esperto di turno.
Dovremmo essere in grado di percepire ogni singola, minima variazione del sistema in cui ci troviamo immersi e in cui agiamo, così come un bravo meccanico riesce a capire lo stato di un motore affidandosi soltanto al suo udito. Dovremmo dunque riuscire ad intervenire in maniera puntuale ed efficace.