[...ancora sulla solitudine e sulle sue mille forme...]
026 - La solitudine può colpire in qualsiasi luogo, a qualsiasi età: prende la mira, silenziosa ed invisibile come un cecchino, e coglie nel segno, inesorabile: probabilmente, a differenza di quanto accade con le ferite riportate dal corpo, non sappiamo identificare una zona precisa di origine del malessere. Sappiamo solo che esiste. La portiamo dentro. Si propaga, insaziabile, come un'enorme chiazza di petrolio che infetta il mare.
Se è normale sentirsi soli all'interno di un carcere, rientra infatti tra i suoi fini infami, fa specie invece trovare individui malati, appestati, in ben altre situazioni.
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027 - “I corsi di Michel Foucault si svolgevano ogni mercoledì, dall'inizio di gennaio alla fine di marzo. Il pubblico, assai numeroso, composto da studenti, insegnanti, ricercatori, curiosi, molti dei quali stranieri, impegnava due anfiteatri del College de France.
Michel Foucault si è spesso dispiaciuto della distanza tra lui e il suo 'pubblico' e del ridotto scambio che la forma del corso rendeva possibile”.
E' quanto si legge nell'introduzione all'edizione italiana di “Nascita della biopolitica”. La parte più desolante però, almeno per quanto riguarda il livello intellettuale e dunque esistenziale, si manifesta alcune righe dopo.
“Ecco come, nel 1975, un giornalista di Nouvel Observateur, Gerard Petitjean, cercava di descrivere l'atmosfera che regnava ai suoi corsi.
Quando Foucault entra nell'arena, rapido, quasi scagliandosi, come qualcuno che si stia gettando in acqua, scavalca dei corpi per raggiungere la sedia, allontana i registratori per depositare le sue carte, toglie la giacca, accende una lampada e inizia a cento all'ora. […] Foucault ha a disposizione dodici ore all'anno per spiegare in un corso pubblico il senso delle ricerche che ha condotto durante l'anno precedente. […] 19.15: Foucault si ferma. Gli studenti si precipitano verso la sua cattedra ma non per parlargli, bensì per spegnere i loro registratori. Nessuna domanda. Nella calca, Foucault è solo”.
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028 - Benchè le due situazioni prese in esame sino ad ora siano profondamente differenti, la conclusione a cui arrivano Xosè Tarrio e Michel Foucault sembra essere la medesima, seppur con gradi e modalità peculiari. Il pensatore transalpino riassumeva la questione in questi termini:
“Si dovrebbe poter discutere quel che ho proposto. Talvolta, quando il corso non è stato soddisfacente, basterebbe poco, anche solo una domanda, per rimettere tutto a posto. Ma questa domanda non arriva mai. In Francia, l'effetto di gruppo rende impossibile ogni discussione reale. E dato che non c'è nessuna risposta di ritorno, il corso si teatralizza. Con quelli che sono presenti ho allora un rapporto quasi da attore o da acrobata. E quando ho finito di parlare, un sentimento di solitudine totale...”