[...sulla solitudine...]
021 - Come ogni sera, alla stessa ora, la piccola porticina posta alla base della porta più grande, che chiude con tutta la pesantezza del ferro e la violenza della serratura la mia cella, si apre con uno scatto rumoroso e arrugginito: una mano vi fa passare una ciotola, prima di richiudere il piccolo pertugio.
La scodella in plastica è del tutto vuota.
La lingua scorre, sensuale e famelica, lungo tutta la superficie desertica.
Ho la sensazione, quasi come se si trattasse di un vecchio ricordo che come d'incanto riacquista forza e nitidezza, di percepire atomi, minuscole particelle di zuppa di verdura, di pasta al sugo di pomodoro. Mi sorprendo di quante sfumature possa acquistare il nulla più autentico se illuminato dalla lanterna della fantasia.
Sia benedetto il regime di anoressia emozionale e comunicativa da cui mi faccio dilaniare, senza neppure una mezza parola di protesta. Se questo è ciò che l'universo ha cucinato per me, ci sarà sicuramente un motivo, anche se ora lo ignoro.
Rimetto la piccola tazza al posto solito e aspetto che il sonno prenda finalmente il sopravvento sullo stato ordinario di veglia, nel frattempo che pancia, budella, cervello e pensieri si accartocciano su se stessi come carta straccia in preda a giovani fiamme coraggiose.
*
[...sull'auto analisi...]
022 - Il pensiero, impegnato nell'estenuante maratona quotidiana dell'auto analisi, incessante nel suo incedere, già in moto sin dai primi istanti della giornata, si trasforma in una lastra di cemento armato.
L'auto analisi assume così i connotati di un'eterna partita a squash in solitaria: scagli dubbi e domande, con violenza, contro il muro; il solito rumore sordo, con quella piccola palletta di tenere intenzioni e punti di domanda che ritorna indietro, animata da una forza ancora più violenta.
Si incunea in profondità nelle carni, come un dardo, dando vita ad una nuova reazione.
Il conto alla rovescia verso la frustrazione e la nevrosi sta per esaurirsi, così come le energie che mi tengono in piedi all'interno di questa stanza buia.
Replico alle incertezze, quasi come se fosse l'ultimo tentativo a mia disposizione, sperando che scalfiscano la materia muta e pervengano finalmente alla luce.
Rumore sordo.
La palletta di questioni irrisolte si ripresenta puntualmente al mittente, dopo appena un secondo.
Carico il colpo, un dritto secco e preciso, nel tentativo di scagliare quella maledizione lontano da me. Ci riesco, ma giusto per un miserissimo attimo, perché le ombre e gli spettri mi riconsegnano immediatamente il pacchetto di patemi.
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[...sulla solitudine, sull'auto analisi e sui poteri dell'immaginazione...]
023 - Traccio delle semplici righe sulla superficie del muro: vanno a comporre una sagoma, un contorno scarno e minimale; ricordano una figura, vagamente umana.
Se mi impegno, con tutta la fantasia che sopravvive all'amaro, mortifero succo dell'apatia, posso far finta che di fronte a me ci sia un altro giocatore con cui interagire.
Sui poteri dell'immaginazione.
Ora calpesto l'erba verde e fresca di un campo da tennis, tutt'attorno sboccia una giornata strapiena di luce; il cinguettio degli uccelli surfa sugli atomi di ossigeno, azoto, argon e anidride carbonica; la solitudine è sparita dalla circolazione, come un ladro in fuga dopo una rapina. Poi la visione svanisce.
Trasformo la necessità in penosa, propedeutica virtù: immagino le risposte che nessuno mi darà mai; costruisco personalità inesistenti che con dolcezza si rapportano alle legioni di demoni in collera che chiedono, a gran voce, una seduta di psicoterapia.
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[...sulle relazioni interpersonali...]
024 - Poi, delle volte, capitano anche degli avvenimenti felici, un po' come quando, per un detenuto, arriva della corrispondenza o delle visite.
Il caso ti serve l'occasione giusta, la liberazione catartica, ma c'è da fare in fretta: quel discorso, appena incominciato, potrebbe concludersi da un momento all'altro.
I pensieri schizzano da una parte all'altra della scena, tanti disperati, di corsa, tra gli scaffali del supermercato a caccia di viveri e provviste, a poche ore dall'inizio dell'ennesimo inverno post-nucleare.
Vorresti trasformarti in una spugna, per assorbire con esemplare ingordigia ogni singolo momento di quel miracolo. Per fare scorta, in vista dei momenti difficili.
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[...sulle relazioni interpersonali, pt 2...]
025 - All'inizio è sconvolgente, come il primo respiro dopo una lunga apnea. Il cuore sbatte, come in preda ad un attacco epilettico, contro le bianche strutture ossee della gabbia toracica, ma il tutto è troppo, troppo frenetico e veloce.
Sei quasi costretto a ricrederti: raggiungi le vette altissime dell'ebrezza, mentre una sinfonia meravigliosa cresce di volume e di intensità; pensavi, a torto, che certi stati si raggiungessero soltanto grazie all'alterazione chimica, ed invece splende in tutta la sua accecante, fulgida bellezza la gioia che deriva dall'interazione interpersonale.
Il mondo brilla sotto un chiarore nuovo che ricorda i riflessi dell'oro e dei diamanti, ma lo scenario muta di nuovo, e di colpo: una mano dura, ruvida, pesante, mi stringe forte il collo, un'altra si poggia con autorità sulla parte superiore del cranio: entrambe mi trasmettono la loro volontà.
Con le braccia legate dietro alla schiena non posso opporre nessuna resistenza a quella forza atroce, e dunque eccomi ancora, sotto la superficie dell'acqua, la testa dentro al grande recipiente pieno sino all'orlo.
Tortura. Astinenza.
Senza fiato, con il corpo che si divincola, sconvolto da centinaia di movimenti involontari, un samba scorbutico, letale.
Proprio quando pensi che non ci sia più nessuna pietà ad attenderti, ecco di nuovo, in un fastidiosissimo gorgoglio di alveoli che si gonfiano in coro, l'immagine più bella: ancora aria fresca, ancora per un attimo, prima del nuovo isolamento subacqueo, dove nessuno può vederti se piangi o sei triste.