Nota introduttiva:
Le considerazioni raccolte in questo piccolissimo saggio prendono spunto dal libro autobiografico scritto da Xosé Tarrio Gonzàlez, un attivista politico anarco-libertario nato a La Coruna nel 1968. Cresciuto in una famiglia molto povera e disagiata, ultimo di cinque figli e con il padre alle prese con i problemi derivanti dall'alcolismo, sin da giovanissimo è relegato in vari riformatori minorili, da cui tenta continuamente di scappare, spesso con successo.
Viene arrestato nel 1987 per scontare una pena di due anni e quattro mesi relativa ad un piccolo furto ma, a causa dell'atteggiamento decisamente avverso nei confronti delle pratiche carcerarie, la sua condanna sarà ben presto estesa a 71 anni. Rinchiuso in diverse prigioni spagnole, è sottoposto per lungo tempo a regimi durissimi di isolamento e alla sorveglianza speciale riservata ai detenuti più pericolosi.
Troverà la morte nel carcere di Teixeiro il 2 gennaio del 2005.
***
“Una sensazione di vuoto invase la cella. Provai solitudine. Mi coricai supino sul sudicio materasso, con le mani sotto la testa, e riflettei. […]
Dei bei ricordi vennero a mitigare i miei pensieri, ricordi dei quali, a poco a poco, con il trascorrere del tempo alcuni svaniranno e altri si consolideranno. Ero afflitto”.
Xosé Tarrio Gonzàlez – Huye, hombre, huye \ Diario di un prigioniero F.I.E.S.
*
[...una sensazione di vuoto invase la cella...]
003 - Ho l'impressione di conoscere quella sensazione di vuoto che travolge senza pietà l'aria statica della stanza: mancanza di prospettive valide, di stimoli, di obbiettivi raggiungibili.
Il sangue si muove lento lungo le arterie, ogni singolo globulo rosso sbadiglia svogliato e prosegue malvolentieri nel suo cammino, con il prezioso carico di ossigeno che pesa, siamo pronti a giurarci, più del piombo.
Che compito gravoso che sembra essere a volte la vita.
Di fronte ad uno stallo emotivo saremmo in grado, in qualsiasi momento, di invertire il processo: potremmo spalancare le finestre e farci investire dal calore del sole e decidere, nel brevissimo raggio di tre secondi netti, di tuffarci nella totalità circostante dell'esistente, cambiare mood, umore, con la stessa semplicità di chi preme il bottoncino del telecomando della TV per passare da una trasmissione ad un'altra.
Ed invece, spesso, restiamo immobili, bloccati sul fondo melmoso delle nostre tristezze, come sassi.
Ora dopo ora, aspettiamo soltanto che l'ennesimo giorno finisca inghiottito, giù nelle viscere scure del Tempo ormai Passato.
A differenza di un detenuto, noi cosiddetti liberi possiamo in qualsiasi istante esplicitare la nostra volontà nella maniera che riteniamo più opportuna. Scegliere dove e con chi stare, cosa fare e per quante ore.
A nostra disposizione una serie potenzialmente infinita di attività. Per godere della maggior parte di esse è richiesto un 'piccolo sacrificio economico': siamo dunque costretti a districarci, condizione essenziale del povero, tra le distrazioni che ci possiamo permettere per evadere dalla routine (giusto per utilizzare una locuzione di uso comune che mi pare calzi a pennello con il discorso).
Spesso però, ed è questo l'aspetto più drammatico, le alternative disponibili ci sembrano così prive di senso. A vincere, ancora una volta, è l'inerzia.
*
[... mi coricai supino sul sudicio materasso...]
004 - Il sudiciume, per il resto, non è prerogativa delle prigioni: basta lasciarlo fare e lui prolifica in qualsiasi ambiente. Certo, sarebbe sufficiente un pizzico di buona volontà, armarsi di straccio e detersivo e il problema sarebbe risolto.
Godiamo di una netta autonomia, in questo senso, rispetto ai carcerati, ma talvolta è un privilegio non sufficiente.
Perché lo sconforto che culliamo gelosamente, al riparo da occhi indiscreti, si trasferisce sulle pareti del water, si arrampica sui ripiani del frigo, si spalma sul biancastro dei muri.
Pezzi di noi colano sulla stoffa del copri cuscino, singole lacrime fuggiasche si mescolano distrattamente a tiepidi decilitri di sudore.
Possiamo diventare sporchi e lerci, come gli spazi in cui ci muoviamo. Senza vergogna. Ma con un sano, autentico e genuino spirito di rinuncia e abbandono.
Polvere, mosche morte e secche, sangue rappreso, detriti organici e inorganici di varia natura.
Solitudine e depressione possono essere alleati infallibili, in questo senso, e come per magia ci si trova invischiati in un piccolo grande dramma di oscenità igieniche.
*
[...sugli effetti della solitudine e del dolore...]
005 - Ha tutta l'aria di essere un riflesso meccanico: quando l'oppressione psicofisica aumenta, a prescindere dalla sua origine e dalla sua causa, quando ti sembra che la scatola cranica possa scoppiare da un momento all'altro, il corpo si chiude a riccio, in posizione fetale.
Puoi attendere che passi, sperando che il tempo che scorre non scartavetri ulteriormente le pareti lisce del tuo povero cuore. Perché basterebbe anche un solo, ennesimo graffio per ucciderti.
Qualcuno prova ad annullare il flusso dei pensieri, ci sono tante tecniche, alcune vecchie di millenni, per raggiungere lo scopo. Ma in prossimità del traguardo, ti trovi senza risposta di fronte alla domanda più importante: che farne di tutto questo nulla? Dove sistemarlo?
E' tutto troppo, troppo insopportabile.
*
[...sulla cella e sulla solitudine...]
006 - La funzione ultima della cella è la medesima, vale per il monaco nel monastero (mi riferisco al modello di stampo occidentale) che per i moderni carcerati (soprattutto quelli sottoposti ad isolamento): l'individuo entra in rapporto, carnale, con la sua solitudine e tramite essa trapana e scandaglia le profondità orride del proprio essere, sino a insozzarsi con gli oscuri liquami puzzolenti dell'inconscio; sino a sbattere, più e più volte, contro il muro della colpa, del rimorso, della vergogna, del rimpianto.
Non penso che l'analisi sia riducibile ad una mera questione di metri quadrati a disposizione, anche se il problema del sovraffollamento nelle prigioni esiste, ed è importante.
I due casi presentano infatti una differenza sostanziale: il monaco è protagonista, nel suo rinchiudersi, di una scelta volontaria; il detenuto invece la subisce.
Il primo si sottrae al mondo per purificarsi ed accedere ad un piano più elevato, per entrare in comunione con l'assoluto. Il secondo è l'oggetto della punizione.
Temo però che esista una via di mezzo, capace di portare a sintesi i due estremi, una condizione che potrebbe essere più diffusa di quanto si pensi in un primo momento:
*
007 - Ciò che rende perfetta una gabbia non è la solidità delle sue pareti, l'eccellenza degli allarmi e dei sistemi di sicurezza, o l'impossibilità della fuga.
Ciò che rende davvero perfetta una gabbia è l'assoluta inutilità del mondo che sta al suo esterno.
La gabbia diventa così l'unico rifugio disponibile.
*
[...solitudini moderne...]
008 - Una nuova razza di solitudini umane popola il mondo: è difficile stabilire se quella povera giovane vedova, che osservo furtivamente quando passo di fronte alla finestra del suo soggiorno mentre si fa illuminare, nell'ennesimo sabato sera stanco e rassegnato, dalle radiazioni provenienti dal suo schermo ultrapiatto a 75”, non abbia nessuno con cui condividere il proprio tempo o più semplicemente non abbia nessuna intenzione di condividere il proprio tempo con qualcuno.
Probabilmente il diversivo dolciastro che l'Industria Globale dell'Intrattenimento produce e serve a domicilio sarà sufficiente a conservare il soave stato del Non-Pensiero sino all'appuntamento quotidiano riservato ad un sonno sempre più frammentato e disturbato.
In un primo momento gli spettacoli televisivi avevano la capacità di coagulare decine di persone nello stesso luogo (si pensi ad esempio agli eventi sportivi trasmessi all'interno di un bar); con il passare del tempo e il conseguente abbassamento dei prezzi per quanto riguarda le attrezzature per la ricezione del segnale, si è assistito ad una progressiva ritirata dell'individuo, che abbandona gli spazi pubblici per isolarsi, spontaneamente, dentro le mura della propria abitazione.
Incasellati nella geometria ordinata del quartiere, divisi da pareti sottilissime, ma alle prese contemporaneamente con la medesima ipnosi.
A questo punto, è doverosa una semplice constatazione: gli intrattenimenti sono pressoché identici, vengono trasmessi e moltiplicati in maniera capillare, in una infinità di situazioni diverse: dai comodi salotti, ripieni di gonfi e soffici divani, agli ospedali, agli ospizi, sino ad arrivare ai refettori delle caserme e dei penitenziari e ad ogni singola cella disseminata nel globo.
Ciò che conta, in definitiva, è la narcolettica quiete che viene prodotta: ognuno è incatenato al proprio apparecchio televisivo e ora, grazie ai moderni ritrovati della tecnologia, al proprio dispositivo portatile.
Solo il detenuto, a dire il vero, sembra consapevole della propria condizione: lo svago serve soltanto ad annacquare la pena. Tutti gli altri sono convintissimi, invece, di disporre del piacere più autentico, vero, reale.
*
[...sui tipi di reclusione...]
009 - L'isolamento del monaco deriva dalle sue credenze (ed esigenze) in ambito religioso e filosofico.
La detenzione del carcerato è di tipo penale. E' coercitiva.
Il comune cittadino può soffrire per una reclusione di tipo esistenziale (a forte connotazione psicologica e sociale), a cui si sommano rigidi fattori economici.
La quantità di gettoni presenti nelle tue tasche limita i tuoi spostamenti e determina i luoghi a cui hai accesso e le persone che frequenti.
Il comune cittadino, pur potendo godere della libertà di non essere mai da solo, può trovarsi ad affrontare una situazione molto simile a quella del carcerato e del monaco: faccia a faccia con se stesso, con i propri ricordi, con i propri desideri frustrati, con la propria amarezza, con il proprio fardello di tormenti intimi ed incomunicabili.
Si trova inoltre costretto, a differenza dei due casi principali, a dover recitare una parte: sul posto di lavoro, nei grandi catini preposti al divertimento collettivo, in famiglia; ci si sforza di sorridere, di apparire naturalmente a proprio agio anche se un mostro deforme si agita dal di dentro, nutrito da una viva irrequietezza.