066 — E così sono arrivato alla terza e ultima parte del dibattito immaginario andato in scena tra le stanze della mia fantasia, in primis, e poi, di riflesso, nelle pagine del mio quadernone: nella sua folle astrattezza mi sembra quasi che possa avere più senso di quello realmente trasmesso in TV alcuni anni fa, che ha visto come protagonisti un dinosauro della politica italiana come Giovanardi e un autentico prodotto dell'industria culturale e dello spettacolo come Fedez, di cui ho già scritto in precedenza.
Dopo gli spunti offerti da Afshin Kaveh e da Charles Baudelaire, non mi resta altro da fare che chiudere con i contributi di un altro francese, Jean-Loup Amselle, direttore di studi all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, e autore, tra l'altro, di Psicotropici, un saggio (meglio: un'indagine sul campo) a proposito di quella che viene definita la febbre dell'Ayahuasca nella foresta amazzonica.
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067 — Il bersaglio principale della polemica, della critica messa in piedi da Amselle appare chiaro sin dalle prime righe del suo lavoro: il nostro proprio non riesce a digerire, a capacitarsi del fatto che un europeo possa percorrere migliaia e migliaia di chilometri con l'unico scopo di ingerire un infuso psicotropo dalle (presunte) proprietà magiche e terapeutiche.
Per un esponente del razionalismo scientifico come Amselle, affidarsi ad una pratica simile corrisponderebbe, in un certo senso, a ri-sprofondare indietro in quello che viene chiamato, peraltro in maniera dispregiativa, pensiero romantico o, se si preferisce, approccio romantico alla realtà.
Una visione che andrebbe ben oltre i paletti messi, in questo senso, dall'illuminismo e dal positivismo e, dunque, dai principali esponenti di queste due correnti.
Dopo decenni passati a ripulire la propria mente da superstizioni e false credenze, l'uomo bianco starebbe regredendo alla condizione precedente, ad un ritorno, sconveniente quanto pericoloso, verso l'irrazionale.
Dopo secoli passati a disinfettare le nostre esistenze dall'influenza delle religioni, il rischio, mai così concreto, è che l'Ayahuasca o altre piante considerate guide, insegnanti, visionarie, ma anche definite psicotrope o allucinogene, possano produrre nuove forme di assoggettamento.
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068 — Come ogni religione che si rispetti, anche quella legata all'Ayahuasca ha i suoi luoghi di culto, i suoi riti, i suoi sacerdoti e le mete per i vari pellegrinaggi.
Per demolire, letteralmente, tutto il tempio, Amselle si affida ad una ricerca sul campo, della durata di quattro anni (dal 2008 al 2012), sotto forma di soggiorni, ciascuno di circa un mese, principalmente nelle regioni di Tarapoto, Pucalpa e Iquitos; e nelle città di Lima, Cuzco e Trujillo.
In questo lasso di tempo, adoperando la cassetta degli attrezzi che ogni antropologo che si rispetti dovrebbe portarsi sempre appresso, effettua la sua indagine, principalmente attraverso lo strumento dell'intervista: il suo target, in buona sostanza, è composto dai cosiddetti operatori (che prendendo in prestito un termine che appartiene alla cultura tungusa-siberiana vengono ormai generalmente chiamati sciamani) e dagli utenti di tale servizio, che all'occidentale potremmo ben chiamare i consumatori.
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069 — Bisogna però partire da una premessa, che a mio modestissimo parere pesa tantissimo e rischia di diventare decisiva.
Del resto, è lo stesso Amselle a lanciarsi a capofitto nella confessione, già nelle primissime pagine che compongono l'introduzione alla sua opera.
«Costantemente, nel corso della mia indagine e durante le conversazioni sul tema avute in Perù o in Francia, mi è stato chiesto se avessi provato la famosa bevanda.
All'inizio dicevo la pura verità, cioè che non l'avevo mai bevuta, provocando così l'ostilità di alcuni fra i i miei informatori, in particolare di uno di loro, un francese discepolo di uno sciamano di fama internazionale. […] Poiché si tratta di un argomento delicato e riguarda una parte dei dibattiti sulla legittimità della pratica antropologica sul campo, vorrei che fosse chiaro che, per quanto mi riguarda, il rifiuto di consumare l'Ayahuasca non è in alcun modo motivato da un atteggiamento di tipo entomologico, che consisterebbe nell'osservare gli esseri umani studiandoli alla stregua di insetti. Ma, d'altra parte, non vedo come la mia astensione dall'assumere la sostanza allucinogena possa delegittimare l'indagine».
A proposito di ciò, credo che ci sia una massima, proveniente da quel bacino immenso di saggezza, rappresentato dal movimento dei mistici Sufi, che nella sua estrema semplicità potrebbe risultare utile per esprimere il mio pensiero: «chi non assaggia non può sapere».
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070 — Amselle, dal canto suo, rincara la dose poco dopo quando precisa: «In realtà ritengo che la condivisione di questa esperienza con i turisti mistici o medicali è totalmente illusoria, proprio perchè l'esperienza di ciascuno in materia è unica, e che non è ingerendo Ayahuasca che si potranno provare le stesse sensazioni o avere le stesse allucinazioni di coloro che sono in cura dagli sciamani. Mi sembra infatti inutile, e anche ingannevole, immaginare che si possa penetrare nella coscienza dei pazienti e quindi, in un certo senso, comunicare con loro. D'altra parte — aggiunge il mio amico Amselle — credere che l'Ayahuasca da sola, in virtù delle sue proprietà di pianta direttrice o insegnante, come vuole la vulgata sciamanica, dia la possibilità di provocare alcune allucinazioni “vere”, lascia nell'ombra l'insieme dei fenomeni di suggestione legati a questo tipo di pratiche».
Detto in tutta sincerità, è da diverso tempo che queste righe generano, nella mia scatola cranica, un esempio forse non elegantissimo, ma che ancora oggi, nonostante il passare del tempo, mi sembra possa risultare calzante: il punto di vista di Amselle, considerando soprattutto le premesse da cui parte, mi sembra autorevole quanto quello di un prete cattolico-cristiano che va in giro a sostenere che l'orgasmo multiplo femminile non sia altro che un'invenzione del demonio, partorita per gettare nell'inganno i poveri figli di dio.
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[Sull'atteggiamento di tipo entomologico]
071 — Considerazione: in realtà l'approccio entomologico, per utilizzare il termine adoperato dallo stesso Amselle, mi sembra più diffuso di quanto si possa pensare.
Un atteggiamento simile, tra gli altri, l'ho trovato all'interno di una pubblicazione rivolta principalmente ai professionisti del settore (e che è entrata in mio possesso attraverso un gioco di carambole su cui non ho il tempo di soffermarmi ora), che si chiama MDD – Medicina delle dipendenze – Italian Journal of the addictions.
In alcuni numeri della rivista si prende in esame l'uso, con i relativi effetti, è chiaro, dell'LSD.
La sensazione che provo a leggere quegli articoli è sempre, puntualmente, la stessa: la stragrande maggioranza degli autori non ha mai avuto la benché minima esperienza diretta con la faccenda.
Per affidarmi ad un altro esempio (ancora, sulla scorta della massima Sufi citata in precedenza), sarebbe come pretendere di conoscere l'esatto sapore di una pietanza limitandosi ad osservare le espressioni facciali e basandosi sui commenti di coloro che se la ficcano effettivamente in bocca.
Ma ciascuno è libero di condurre le proprie ricerche nella maniera che ritiene più opportuna...
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072 — Armato del suo affilatissimo machete, con cui tratta la questione, spaccandola in poche e semplicissime mosse (del resto, dai suoi colleghi, Amselle viene dipinto come un cassieur dell'antropologia), il francese ci mette davvero pochissimo tempo a risolvere l'enigma: gli occidentali che si affidano alla bevanda in oggetto, nella vana speranza di venire a capo dei loro problemi, non sono altro che degli inguaribili creduloni.
In linea con quanto già incontrato nell'analisi del saggio di Kaveh, le varie sostanze utilizzate a scopo terapeutico (ma il discorso potrebbe ben valere anche per la più ordinaria e generalmente accettata psicoanalisi) non fornirebbero assolutamente una soluzione al problema (ovvero: il mondo a matrice capitalistica in cui siamo condannati a crepare dopo una vita da schiavi) ma si limiterebbero, quando e se ci va bene, ad una fuga temporanea in universi altri, un surrogato dolciastro di quella evasione che invece andrebbe perseguita con tutte le energie a nostra disposizione.
A conti fatti, questa sospensione momentanea giocherebbe a vantaggio dei nostri padroni: un modo come un altro (e del resto: un modo vale l'altro) per riparare e oliare i vari ingranaggi (che non siamo altro) affinché possano ritornare ad essere funzionali ed efficienti nell'economia della grande macchina, di cui tutti facciamo inevitabilmente parte...