066 — Farsi bastare il luogo dove si è nati o, fa lo stesso, dove si è scelto di vivere, significa automaticamente farsi bastare le vie, le strade che lo attraversano e che, di fatto, lo compongono.
Per molti risulta incomprensibile come non si possa provare una noia infinita e mortale a ripetere sempre gli stessi percorsi, giorno dopo giorno.
La sensazione di conforto che si prova a stare in un posto familiare può trasformarsi velocemente in un profondissimo disagio, in una nausea esistenziale capace di spegnere, di sradicare anche gli entusiasmi più pimpanti.
Personalmente, e mi ritengo molto fortunato in questo senso, non esiste mai una passeggiata identica alla precedente o alla successiva, nonostante il teatro in cui vanno in scena (tradotto: il recinto rappresentato dai confini del mio paese) sia sempre il medesimo.
A fare la differenza, sembra strano, sono i pensieri che mi germogliano in testa e che mi scortano nel mio perenne vagabondare.
Come fertilizzante, per mischiare le carte, mi basta anche e solo un singolo discorso, una singola pagina di un libro, e magicamente mi trovo dentro al cranio un turbinio di considerazioni nuove di zecca che non devo fare altro che srotolare, come se si trattasse del filo di un gomitolo, un passo alla volta.
Se questo non fosse sufficiente, poi, ci sono diversi modi per giocare, per interagire con l'ambiente urbano che ci circonda: tra gli antichi greci, e poi tra i romani, c'era chi utilizzava i luoghi delle città (piazze, edifici, vicoli, angoli e incroci) per i propri esercizi mnemonici: ad ogni punto corrisponde un ricordo ben preciso o, fa lo stesso, un particolare concetto da assimilare, l'elemento di una sequenza, di una concatenazione logica.
Mi capita comunque, piuttosto spesso e volentieri, che il passaggio in un determinato luogo provochi in me riflessioni e considerazioni sempre nuove e differenti, in base alla natura dei pensieri con cui mi trovo a fare i conti.
Se manco questo dovesse essere d'aiuto, ci si può sempre affidare alle teorie sulla “Deriva psico-geografica” coniate, alla fine degli anni '50 e nei primissimi anni '60, dal francese Guy Debord, finalizzate a far sviluppare un nuovo modo di abitare, ma soprattutto di attraversare, lo spazio urbano, non più basato sul mero soddisfacimento di bisogni di tipo consumistico (tradotto: raggiungere un determinato negozio o un ufficio che eroga un particolare servizio) ma bensì su un vagare dettato principalmente dalle emozioni e dalle impressioni del momento, dai sentimenti suggeriti sia dall'ambiente circostante (inteso nella sua vastissima gamma di elementi architettonici, artistici o naturali) e sia, anche e soprattutto, dagli altri attori sociali e dalle traiettorie tracciate dai loro spostamenti.