036 — Succede, spesso e volentieri, che io e Su Maistu stacchiamo dalle nostre rispettive faccende in contemporanea, appena il sole sparisce dietro la catena di montagne che si staglia a ovest.
Così capita di fare un po' di strada assieme, mentre torniamo ognuno a casa propria.
Io rigorosamente a piedi. Lui invece in bici, attento e cortese ad andare al mio stesso passo.
Così, spesso e volentieri, quella è l'occasione ideale per scambiare due chiacchiere, principalmente sul più e sul meno, come al solito.
Una sera, nel vederlo stanco ma comunque sia piuttosto rilassato, gli chiedo: — Tu non cucini, vero?
La risposta arriva dritta e chiara, come da garanzia. — Certo che no! Ho una moglie.
Sottinteso: ho una moglie che mi aspetta e che cucina pure per me.
Io me la sfango in autonomia, invece. Proprio come succede per un mare, un oceano di altre questioni.
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037 — Le faccende legate al cibo e alla cucina richiamano alla mia mente, puntualmente e inesorabilmente, la buon'anima della mia mammina, che si approcciava all'argomento (meglio: pure a questo argomento) con quel pizzico di ansia che, di fatto, la caratterizzava.
Arrivata la sera, iniziava già a soffriggere nell'irrequietezza, solo al semplice pensiero di provare ad acchitare il possibile menù per il giorno successivo.
Ricordo il terrore che la assaliva, letteralmente, quando chiedeva a me e a mio padre: «E domani cosa vorreste mangiare?»
Lo diceva con un'apprensione tale, che sembrava quasi come se stessimo attraversando un periodo di carestia, come se nella dispensa non ci fosse più nulla da mesi.
Il suo problema più grande era ritrovarsi a corto di idee, condannata a preparare le stesse due-tre pietanze per tutta la vita.
A pensarci bene, però, per quasi trent'anni il servizio mensa di casa nostra ha seguito una sequenza piuttosto rigida: il sugo al pomodoro veniva preparato sempre e solo il sabato mattina, e serviva a condire la pasta per tre giorni, a volte pure quattro. Il sabato era pure il giorno della carne in umido come secondo.
Il turno del pesce arrivava, rigorosamente e categoricamente, il martedì e il venerdì.
Il martedì, ma a settimane alterne, era il giorno in cui si cucinava la minestra di verdure e legumi, in una quantità sufficiente per poterci sfamare per almeno tre giorni.
Il pranzo della domenica non poteva esistere senza l'arrosto, così come la cena, al pari di quella del lunedì, non poteva assolutamente prescindere dal brodo di pollo o di manzo.
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038 — Su Maistu, di tanto in tanto, cade nella tentazione di curiosare tra le mie abitudini alimentari: dunque sa bene ormai che, per questa vita, non comprerò e non cucinerò più carne.
Sa pure che ho litigato con i latticini e i prodotti caseari in generale.
Diciamolo pure: tra tutti i mille e mille argomenti su cui ci capita di chiacchierare, questo occupa uno degli ultimi posti nella mia scala di interessi.
Ma si sa: quando ci si deve conoscere meglio, tutto fa brodo, per l'appunto.
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039 — In realtà, il punto a cui Su Maistu mirava con la sua domanda era un altro: — Ma tu non hai nessuna intenzione di sposarti?
Mi rendo conto che questo potrebbe diventare presto uno degli argomenti più gettonati, secondo soltanto al già citato “ma non ce l'hai più il cane?”
Per coincidenza, anche Ulisse mi aveva fatto la stessa domanda, alcuni giorni prima.
Ulisse è un ragazzetto di etnia Rom di nemmeno diciotto anni, che vive, assieme alla sua numerosissima famiglia, dentro a delle palazzine occupate, a ovest del paese; una struttura che in passato faceva parte del complesso architettonico dello zuccherificio, che invece è stato demolito.
Ulisse è in assoluto il mio stratega, il mio consigliere, il mio braccio destro.
Adoro il modo che ha di ragionare, la logica che segue, totalmente diversa da quella che mi hanno abituato ad utilizzare.
È con lui che mi confronto quando ho qualche dubbio che mi assale, a proposito di una scelta importante. Ma questa è un'altra storia ancora.
Ad Ulisse ho cercato di spiegare che, al momento, stare assieme ad una persona significherebbe, necessariamente, adeguarsi al ritmo, al passo dell'altro.
C'è da scommettere, per il modo in cui sto viaggiando ora, che troverei qualcun* più lent*, da aspettare, gli dico mentre rallento all'improvviso, contagiando così una brusca frenata al mio giovanissimo amico, ritto in piedi sulla sua piccola bicicletta.
Oppure troverei qualcun* più veloce di me, da inseguire.
Sempre che lo si riesca a incontrare, un altro essere umano che viaggia davvero nella tua stessa direzione.
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040 — Con Su Maistu, invece, le spiegazioni non sono state necessarie: — Tu vuoi sposarti solo con la filosofia, vero?
Su Maistu capisce sempre tutto al volo, come se la dialettica, tra di noi, viaggiasse sui binari della telepatia, piuttosto che su quello dei discorsi.
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041 — Mi rendo conto che trascorrere la propria vita in solitudine sia una faccenda piuttosto faticosa; alcuni, credo, sono terrorizzati dalla sola idea, nonostante ci siano tantissime persone (uomini e donne) che si sono sbucciate (e ancora oggi giorno si sbucciano) la propria dose di patate nella più completa autonomia.
Una delle esche più utilizzate è: — Come farai quando sarai più vecchio?
Il mio cervello, però, spurga rapido tutti gli anticorpi: “Qualcuno che butterà le mie spoglie dentro ad una bara e ad un loculo (o in pasto al fuoco per ridurle in cenere) lo si troverà di sicuro. Per quanto riguarda la mia coscienza invece, ho ancora del tempo a mia disposizione per affinare tutte le arti che mi consentiranno di restituirla al cosmo, magari senza troppi trambusti”.