027 — Il lavoro che porto avanti sulle pagine bianche del mio quaderno e quindi, di riflesso, sulla mia coscienza, sulla mia anima, è un lavoro in prospettiva: in corso d'opera hai soltanto un'idea su come vorresti che andassero le cose; è come mettersi in viaggio per raggiungere una meta senza sapere però quanti contrattempi potrai trovare lungo il percorso, quante deviazioni, quanti ostacoli più o meno insormontabili.
A volte è necessario cambiare direzione, itinerario; altre volte, invece, occorre insistere sulle proprie convinzioni, armarsi di tenacia e fermezza e proseguire, con fiducia.
Un lavoro in prospettiva, che si arricchisce di un dettaglio alla volta, con il proseguire dell'opera e il trascorrere del tempo.
Per questo è molto simile all'arte del pittore e, se si vuole, in misura maggiore a quella dello scultore.
La materia prima su cui lo scultore imprime la sua idea, dando sfogo alla propria fantasia e alla propria creatività, al proprio genio, è ruvida e grezza. Grezza è la sua forma di partenza.
Lo scultore è l'unico che possiede, nella sua mente, l'immagine finale da raggiungere; nessun altro può avere accesso a quella diapositiva, a quell'istantanea.
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028 — Per lavorare la pietra (così come per la pittura) serve costanza.
Vale anche per l'arte di riempire le pagine bianche con la scrittura: a volte il processo esplode spontaneo, come l'acqua che esonda fuori dal letto del fiume o dalle mura di una diga.
Altre volte è un lavoro di pazienza, che richiede calma e un certo amore per l'attesa.
A volte si procede spediti, quasi in preda ad una vera e propria furia; altre volte si guadagna un centimetro alla volta, come una guerra di trincea.
Si piazza un dettaglio, si rifinisce meglio un particolare; si aggiunge un pizzico di colore e di senso all'opera generale.
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029 — Ci sono dei lassi di tempo, che possono durare pure svariate decine di minuti, in cui sento Su Maistu che picchia forte, con ritmo costante, sulla pietra, con il suo martello e il suo scalpello.
Poi arrivano pure i momenti di stasi, di silenzio.
Magari qualcuno passa a trovarlo nel suo laboratorio, lo distrae per un attimo, sospendendone il lavoro.
Ma la testa de Su Maistu, così mi ripete spesso, è sempre proiettata sull'opera.
— Proprio come faceva Socrate — mi ha spiegato una domenica mattina — che non smetteva mai di essere se stesso...
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030 — Lavorare sulla propria anima richiede la stessa costanza, la stessa pazienza che ci vuole per scolpire la pietra.
È un lavoro che il più delle volte non paga, in termini di vile denaro, ma che porta comunque, in cambio, in regalo, una dose abbondante di soddisfazioni.
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031 — E nel frattempo che Su Maistu passa interi ed interi pomeriggi, chiuso nel suo laboratorio, io trascorro le mie ore libere seduto alle pietre, a riempire pagine, ad affilare la mia coscienza, ad addestrare la mia percezione, in modo che non finisca preda ed ostaggio del mondo, ma possa volarci sopra leggera, per posarsi solo e soltanto su tutti i picchi di estrema, candida, pura bellezza.
Su Maistu non smette mai di ricordarmelo: la bellezza può salvare il mondo. E chi permette alla bellezza di sgorgare fuori dal suo buio nascondiglio, attraverso una scultura, attraverso un singolo gesto nei confronti del prossimo, è un operatore dell'estasi.