026 — E poi, un pomeriggio, scopro, quasi per caso, come mi capita spesso, una chiave, tra le pagine di Foucault. Un barlume di luce, capace di illuminare la situazione e regalarle una prospettiva diversa. Almeno così mi piace pensare, almeno.
“Si vive, si muore, si ama in uno spazio quadrettato, ritagliato, variegato, con zone luminose e zone buie, dislivelli, scaloni, avvallamenti e gibbosità , con alcune regioni dure e altre friabili, penetrabili, porose.
Ci sono le regioni di passaggio, le strade, i treni, le metropolitane; ci sono le regioni aperte della sosta transitoria, i caffè, i cinema, le spiagge, gli alberghi, e poi ci sono le regioni chiuse del riposo e della casa.
Ora, fra tutti questi luoghi che si distinguono gli uni dagli altri, ce ne sono alcuni che sono in qualche modo assolutamente differenti; luoghi che si oppongono a tutti gli altri e sono destinati a cancellarli, a compensarli, a neutralizzarli o a purificarli.
Si tratta in qualche modo di contro-spazi.
I bambini conoscono benissimo questi contro-spazi, queste utopie localizzate.
L'angolo remoto del giardino, la soffitta o, meglio ancora, la tenda degli indiani montata al centro della soffitta., e infine — il giovedì pomeriggio — il grande letto dei genitori.
È in quel luogo che si scopre l'oceano, perchè tra le sue coperte si può nuotare; ma quel letto è anche il cielo, perchè sulle sue molle si può saltare; è il bosco, perchè ci si può nascondere; è la notte, perchè fra le sue lenzuola si diventa fantasmi; ed è il piacere, perchè al ritorno dei genitori si verrà puniti”.