019 — C'è qualcosa di intimamente grottesco nel vedere le persone impegnate nelle proprie mansioni. Nella maggior parte dei casi, è triste ammetterlo, si tratta di impieghi snervanti, tossici, monotoni, logoranti.
Seppur nascosti dietro alle nostre brave giacche e brave cravatte, non siamo poi così diversi dalle centinaia e centinaia di lavoratori forzati (ora, in termini più dolci, salariati) che, in passato, hanno tirato su, con lacrime e sudore, il mondo che ci troviamo ad abitare.
Ma c'è qualcosa di ancora più grottesco nel modo in cui, ormai, ci divertiamo...o pretendiamo di farlo.
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020 — Uscire alle pietre, in un certo senso, è un piccolo atto di rinuncia al mondo.
Uscire alle pietre, dunque, significa rinunciare alle modalità classiche di svago e socializzazione.
Alle pietre non c'è nessun barista, nessuna cameriera che serve bibite gassate e zuccherate; non si vendono alcolici, non si preparano caffè; non ci sono apparecchi televisivi sintonizzati su una qualche emittente che spara a raffica, 24 ore non stop, video-clip musicali.
Alle pietre non ci sono slot-machine, giochi da tavolo, biliardi o biliardini.
Non si può giocare a ping-pong, non ci sono consolle di ultima generazione dedicate alla video-ludica. Alle pietre non si proiettano film e non c'è modo di guardare le serie TV su Netflix.
Le pietre sono uno dei pochi posti che ho scovato, nel mondo che mi circonda, in cui posso rimanere al sicuro dai miliardi di agenti contaminanti che mi vengono sparati addosso in continuazione.
Uscire alle pietre, da questo punto di vista, è un atto rivoluzionario. Un modo particolare di trascorrere le mattine, i pomeriggi, le notti.
Alle pietre il tempo si dispiega con lentezza quasi poetica; una parete liscia da scalare in autonomia, senza nemmeno il più piccolo aiuto esterno.
Sembra una questione banale, di poco conto, eppure ognuno di noi dovrebbe (e potrebbe facilmente) sperimentare cosa significhi gettarsi in pasto nelle fauci di un pomeriggio in un paese, senza nemmeno un diversivo a cui ricorrere.
Alle pietre non si fanno puzzle o cruciverba. Non si balla, non si fanno esercizi con i pesi, o a corpo libero.
Si può stare a guardare il cielo, i passeri, le rondini e i merli che volano e poi, dopo il crepuscolo, tutti i branchi di stelle che spuntano fuori.
Che il cielo, durante la notte, sembra una tavola imbandita, apparecchiata con posate di oro e diamanti.
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021 — Alle pietre non ci sono né sedie, né tavolini, né tanto meno divani o letti.
Le pietre però, allo stesso tempo, sono abbastanza grandi da permettere ad una persona di coricarsi.
Una sera d'estate di due anni fa mi ci sono, per l'appunto, sdraiato sopra, per guardare meglio il cielo stellato.
Nel frattempo, di fronte alla mia postazione preferita, sono passate due persone, marito e moglie, che non sono riuscite a trattenersi dal commentare, a mezza voce, tra di loro, la scena che mi vedeva come unico protagonista.
Certo, mi rendo conto che sia strano vedere una persona (per di più già avanti con l'età...) che quasi sonnecchia sopra a tre lastre di trachite piazzate nel bel mezzo del nulla della campagna campidanese, però, allo stesso tempo, non c'è nessun divieto, nessun vincolo che mi impedisca di farlo.
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022 — Le pietre, potenzialmente, sono aperte a chiunque, ma in realtà non ho mai visto nessuno che le occupi, a parte il sottoscritto.
Sono io dunque che, in un certo senso, do un significato differente a quelle tre lastre di trachite.
Sono il mio posto; io do un significato a quelle pietre per il semplice fatto che le abito.
Più le abito, più le frequento, a discapito di tutto il resto, e più regalo loro una funzione alternativa a quella che avevano in origine e che continuerebbero ad avere senza il mio intervento.
Maggiore è l'intensità, la costanza con cui le frequento e maggiore è il significato, i contenuti che mi regalano indietro.
Di solito risulto un tipo un po' atipico (da “atopos”, che è proprio l'aggettivo con cui veniva definito Socrate nel Teeto di Platone); alle pietre però sono un tipo atipico seduto in un posto atipico, un “non-luogo”.
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023 — Nei pressi delle pietre sono l'unico individuo che sta fermo, seduto nello stesso posto per mezz'ore e mezz'ore di seguito, molto spesso a scrivere su di un taccuino.
Tutti gli altri, semplicemente, vi scorrono davanti, passano sopra il ponticello che c'è nelle vicinanze e proseguono appresso ai fatti loro.
Alcuni, forse per educazione, o per paura, o chissà cos'altro, mi lanciano solo qualche timidissima occhiata.
Potrei quasi stilare i primi bilanci: quanti attaccano bottone, quanti invece si comportano come se non ci fossi. Certo, la mia presenza in un posto così insolito, inusuale, è in un certo senso destabilizzante.
Capisco il loro punto di vista.
Del resto: cosa mai potrà farci una persona, da sola, seduta sopra tre lastre di trachite?
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024 — Alle pietre ci ho pure già portato due amici, S. e E., ma è inutile, non ci hanno trovato tutta la poesia che ci trovo io, ed è un fatto che comprendo senza grossi sforzi.
Le pietre non sono un posto divertente, o particolarmente panoramico; non succede granchè, sebbene qualcosa, a starci attenti, succeda sempre.
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025 — Ho intenzione di insistere: del resto so bene come mi comporto nei confronti delle mie passioni.
Continuerò a riempire le pagine del mio taccuino, nel frattempo che staziono alle pietre.
Di fronte a me scorrono le vite degli altri: piccoli frammenti, almeno.
Due bambine in bicicletta, le facce rosse dal caldo e dallo sforzo.
Una signora di mezza età che passeggia da sola, sguardo chino e mascherina abbassata sul mento.
Ci sono pure alcuni ragazzi che fanno jogging: uno, a dir poco elegantissimo, con la tuta griffata di una squadra di calcio.
L'altro in tenuta decisamente più umile e trasandata, barba, capelli rasati. Ha avuto pure il coraggio di gridarmi contro: — Mi farai leggere il libro quando finisci di scriverlo?
— Ti girerò il link del sito web dove lo caricherò — gli ho risposto con una risata in allegato.