073 — Per quanto riguarda gli operatori, le figure pseudo-sciamaniche che si prendono cura delle orde di disperati provenienti dalle zone più disparate del pianeta terra, non si tratterebbe altro che di ciarlatani senza scrupoli, interessati nient'altro che al vile denaro.
A conferma della sua tesi, Amselle scatta un'ottima istantanea (bisogna ammetterlo) dell'enorme infrastruttura creata per attirare e accogliere le ondate di turisti che si recano, in Perù soprattutto, a caccia di questa bizzarra ed esotica esperienza trascendentale.
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[Sul turismo pt. 1]
074 — Premessa: quando l'uomo bianco si accorge che qualcuno sta facendo grosse, grossissime feste a sua insaputa, generalmente si comporta in due modi: o si butta a capofitto sulla faccenda, con la voracità di un piranha, oppure mette in piedi veti e divieti e, per impedire che il party vada avanti, è pronto a scagliarsi sull'obbiettivo con tutto l'odio che ha in corpo e, cosa forse anche peggiore, con tutta la violenza generata dagli eserciti e dai vari corpi di polizia di cui dispone.
In questo senso, a titolo esemplificativo, vale la pena citare lo strano caso del dottor R. Gordon Wasson, che a metà degli anni '50 (nel 1956, per la precisione) entrò in contatto con Maria Sabina, una curandera messicana depositaria di un antico culto basato sull'ingestione dei funghi contenenti la psilocibina, argomento, questo, su cui Wasson si stava dedicando da diverso tempo.
Nel 1957 la rivista americana Life pubblica un articolo, scritto dallo stesso Wasson, dove il dottore rende pubblica la sua scoperta. L'effetto è facilmente prevedibile: a partire dai primissimi anni '60 la regione di Oaxaca, e in particolare Huautla, il centro dove Maria Sabina viveva, viene letteralmente invaso da centinaia e centinaia di hippies, provenienti principalmente dagli Stati Uniti e dalle altre zone occidentali del globo. Tra coloro che si lanciarono in questo pellegrinaggio psichedelico ci sarebbero stati, da quello che si mormora in giro, stelle del panorama musicale come John Lennon e Bob Dylan.
Le conseguenze di questo improvviso incremento del flusso turistico sono ovvie: nel 1967 le autorità messicane emanarono leggi severissime nei confronti dei cercatori di funghi magici e, alcuni anni più tardi, il loro consumo fu definitivamente considerato alla stregua di un crimine.
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075 — Circa trent'anni dopo, in Perù, con l'Ayahuasca, è accaduta una cosa simile, con la differenza che, nel 2008, come riporta fedelmente lo stesso Amselle, il governo peruviano ha classificato l'uso tradizionale dell'Ayahuasca da parte delle comunità native presenti nel proprio territorio come parte integrante del patrimonio nazionale.
Questo ha permesso, tra le altre cose, la nascita di un vero e proprio mercato e, dunque, l'estendersi di tutta una serie di servizi destinati ai visitatori, ai curiosi o, per usare un termine che per Amselle (e non solo per lui...) ha valenza negativa, ai turisti.
Ed è proprio questo il punto focale dell'argomentazione critica sollevata dal mio amico francese: il fatto che in ballo ci sia una valanga di dollari (e di euro) vale automaticamente a squalificare, di netto, qualsiasi aspetto positivo (leggasi: vantaggio) correlato all'ingestione dell'Ayahuasca.
Non è un mistero che le tantissime strutture sorte con il passare del tempo per ospitare gli occidentali generino un introito notevole per le casse dello stato sud-Americano.
Come ci fa notare Amselle, i peruviani fornirebbero un altro assist tutto d'oro a noi miserabili occidentali, in quanto sarebbero i produttori più grossi, oggigiorno, a livello mondiale, di piante di coca e, dunque, di cocaina, farmaco ormai ben noto a tutti, all'interno delle nostre società.
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Considerazione: se il turismo predatorio degli occidentali si fosse esaurito con i due casi presi in questione (quello legato ai cosiddetti funghi magici e quello legato all'Ayahuasca) forse, per il pianeta e soprattutto per i suoi abitanti, sarebbe andata di lusso.
Purtroppo, invece, mi sembra che l'approccio turistico (tradotto: parto, consumo senza pietà, ritorno indietro) riguardi una molteplicità di aspetti: c'è chi è disposto a macinare migliaia e migliaia di chilometri con il solo intento di immergere i propri piedini nelle acque cristalline del mare delle isole Hawaii; ci sono persone, provenienti da ogni parte dell'Europa, che si recano a Monaco per sbronzarsi in quel rito collettivo che prende il nome di Oktoberfest e ci sono persone (tra cui tantissimi italiani) che raggiungono la Thailandia per soddisfare i loro desideri più viscidi e schifosi (e a tale proposito credo non sia il caso di aggiungere nemmeno una virgola).
Ci sono persone che macinano migliaia e migliaia di chilometri per assistere agli spettacoli più vari, partendo dalle gare automobilistiche e motociclistiche sino ad arrivare alle finalissime dei mondiali di calcio: nessuno osa mettere in discussione, del resto, che ci possa essere una gioia, una soddisfazione tutta particolare nel poter fare il tifo per la propria squadra del cuore e per i propri beniamini, magari dagli spalti di uno stadio in Argentina, anziché dal salotto di casa.
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076 — Certo, è piuttosto chiaro come il turismo (meglio: l'approccio turistico all'esistente) mal si sposa con una questione come l'utilizzo dell'Ayahuasca che, almeno sulla carta, dovrebbe rimanere intima, in quanto (col)legata, a doppia mandata, agli aspetti più spirituali dell'esistenza.
Il turismo (ancora: l'approccio turistico all'esistente) tende a svilire, a far degradare rapidamente gli aspetti autentici (originari) di un fenomeno, di un rituale, di una manifestazione.
Sull'isola in cui vivo, per l'appunto, da diversi anni si è innescato un dibattito teso a stabilire le differenze che passano tra quella che si potrebbe definire una tradizione (ad esempio: la sfilata dei Mammuthones per le strade di Mamoiada durante le settimane di carnevale) e la sua manifestazione meramente folkloristica.
Nel caso della sfilata dei Mammuthones, per decenni e decenni si è trattata di una questione rivolta principalmente ai membri della comunità di Mamoiada e, al massimo, ai membri delle comunità immediatamente vicine, ma con il passare del tempo la platea si è notevolmente allargata, a discapito, proprio, della dimensione intima e per questo più autentica.
Basti pensare che nelle ultime edizioni andate in scena, mi raccontava un amico, a separare le maschere dallo spettatore c'erano, puntualmente, almeno tre o quattro file di fotografi, armati di tutto punto e pronti ad immagazzinare nelle memorie digitali dei loro dispositivi qualsiasi più piccolo dettaglio, ogni singolo istante, ogni singolo frammento, con buona pace dell'atmosfera magica che si respirava sicuramente in passato.
Sempre per rimanere sull'isola, ha fatto discutere (e c'è chi ne discute ancora) una manifestazione come quella di Cortes Apertas, durante la quale i paesini della Barbagia si danno letteralmente in pasto ai visitatori provenienti principalmente dalle città e, soprattutto, dal capoluogo.
Quelli che si potrebbero definire i turisti della domenica possono godere di una visione romantica, romanzata, della vita all'interno della comunità: uno spettacolino tirato su apposta per l'occasione, in cui gli abitanti del villaggio spalancano i portoni delle proprie abitazioni e scimmiottano la vita e le attività tradizionali, ormai scomparse, tipiche del secolo scorso: una sorta di revival ad uso e consumo esclusivo dei visitatori. In sostanza si tratta dell'ennesima scusa ad effetto per spillare i denari dalle tasche del prossimo.
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Considerazione:
Dopo che l'uomo bianco, nei secoli scorsi, ha letteralmente annientato le civiltà che popolavano, da secoli e secoli, il continente Sud-Americano (al pari di molti altri), depredando ogni tipo di risorsa con rara spietatezza, il minimo che ci può capitare (anche e solo per riequilibrare il karma) è che qualcuno provi a intascarsi i nostri euro, a cui tra l'altro siamo affezionatissimi, sfruttando magari la nostra proverbiale curiosità o, perchè stupirsi?, le nostre debolezze.
Del resto, anche Inca e Atzechi (per non parlare dei nativi del Nord-America) sono stati raggirati attraverso gli stratagemmi più meschini e con tutta la violenza sprigionata dalle armi.
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[Ancora sulla truffa e sul non-autentico]
077 — Il mio amico Amselle punta forte la sua attenzione sull'equazione turistico = inautentico.
I cosiddetti, presunti sciamani che avrebbero la pretesa di prendere in cura (o, se si preferisce, prendersi in carico) le mandrie di creduloni occidentali che arrivano da ogni dove, non sarebbero altro che dei truffatori.
In realtà, a guardarsi bene attorno, truffe, inautentico e contraffazioni non si trovano solo in Perù o in Sud America nei contesti legati al consumo dell'Ayahuasca, ma si tratta di un virus capillarmente diffuso e, a conti fatti, gli italiani spesso sono dei veri specialisti nel campo.
Tradotto: si corre il rischio, così facendo, di indignarsi per la pagliuzza nell'occhio del prossimo, dimenticandosi delle decine di travi piantate nei nostri bulbi oculari.
In un mondo come il nostro, acchitato come un mercato, non è raro imbattersi in fenomeni simili a quello criticato dal pensatore francese: del resto, ingurgitare senza battere ciglio della vera pizza italiana, preparata da un pizzaiolo egiziano che per l'impasto usa farine provenienti dal Canada e mozzarella prodotta in uno stabilimento industriale tedesco con latte che arriva da vacche allevate e munte in Ucraina è, ormai, una cosa del tutto normale.
Questo per dire che, se si volessero davvero evitare brutte sorprese nel migliore dei mondi possibili che abbiamo la fortuna di abitare, non potremmo chiudere gli occhi (e abbassare la guardia) neppure nelle poche ore di sonno che ci concediamo durante la notte.
Sonno, peraltro, alimentato artificialmente con dosi sempre più massicce di sedativi e tranquillanti vari, sfornati al chiuso dei nostri modernissimi laboratori farmaceutici.
L'autentico (vale per ogni campo dell'esistente, compreso l'amore e l'amicizia) è sempre più difficile da scovare ma in realtà non voglio arrendermi all'idea che sia diventato ormai introvabile. Che la nostra ricerca possa continuare, dunque.
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[Sul turismo pt. 2]
078 — I motivi che spingono un europeo ad attraversare, o a scavalcare l'oceano, ovviamente, sono molteplici; un discorso simile, del resto, può valere anche per i nostri cugini nord-americani.
Per Amselle, uno dei principali sarebbe legato al desiderio di poter fare un'esperienza, di poter avere un contatto diretto con uno scenario naturale complesso come la foresta amazzonica, che verrebbe abilmente spacciato nella sua (presunta) versione primitiva e, soprattutto, immacolata.
Come però ci fa notare il nostro saggio amico francese, nella foresta amazzonica ormai è rimasto davvero poco di originale e di immacolato.
Detto per inciso: credo fermamente (e non perdo mai l'occasione per ribadirlo) che se il pianeta terra è diventato un'immensa pattumiera a cielo aperto non sia di certo per colpa, ad esempio, né degli eschimesi, né degli aborigeni australiani o neo-zelandesi, né dei cosiddetti pellerossa (sterminati e poi rinchiusi, per ciò che ne è rimasto, nelle riserve), né tanto meno per colpa degli africani (sterminati in loco, ridotti alla miseria e poi costretti ad emigrare, catene al collo, per lavorare nelle piantagioni di cotone americane) e né per colpa dei già citati Inca o Atzechi, che abbiamo letteralmente spazzato via come si fa con la polvere che giace sopra ad un comodino.
Chissà, mi viene da chiedermi spesso, se l'uomo bianco arriverà mai davvero a farsi carico delle proprie responsabilità per l'apocalisse che ha sapientemente cucinato, diciamo, negli ultimi 700-800 anni di una storia che, tutto sommato, andava avanti da milioni di anni, o se si ostinerà a voler dividere la torta della colpa in parti uguali, dandone una fetta anche ai tibetani e ai vietnamiti, giusto per citare due popoli a caso.
Per tornare alla nostra foresta amazzonica, il voler andare a vederla non mi sembra un desiderio così assurdo, sopratutto se si considera il fatto che l'uomo (bianco) potrebbe finire di pipparsela via definitivamente nei prossimi mesi.
Ci sono persone che muoiono dalla voglia di andare a visitare l'Africa e di lanciarsi, magari, in un safari; altri si recano in India per assaporare la magia dei luoghi, o per sfidare l'Himalaya; ci sono molti altri che partono alla scoperta della Cina, o del Giappone, e altri che non resistono alla tentazione di trascorrere qualche settimana, o addirittura qualche mese, in Islanda.
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Considerazione: personalmente è dal 2008 che coltivo la speranza di poter vedere con i miei occhi la foresta amazzonica (per coincidenza, si ratta dello stesso periodo in cui il mio amico Amselle inizia le sue ricerche) ma per tutta una serie di vicissitudini, scelte (più o meno obbligate) e contrattempi vari (che mai manchino in questa vita!) ho dovuto posticipare la mia (tanto agognata) trasferta.
Credo che per un campidanese, cresciuto nel bel mezzo di una vasta pianura coltivata unicamente a carciofi e grano, possa essere, quantomeno, un'esperienza interessante, anche e solo per quanto riguarda la varietà di flora e fauna.
Allo stesso tempo non sarei sufficientemente sincero se non ammettessi che c'è un'esperienza un po' particolare che mi piacerebbe mandare in play in quella zona specifica del globo...
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079 — Nel forum che fa da supporto e che permette, di fatto, lo scambio di opinioni e di informazioni tra i miei fratelli e le mie sorelle che compongono la community sul deep-web di cui faccio orgogliosamente parte dal gennaio del 2014 (per intenderci: il libro di Amselle è stato pubblicato in Francia per la prima volta nel 2013), abbiamo avuto modo di discuterne a lungo, e in maniera approfondita, arrivando alla conclusione che si tratterebbe di un'autentica follia affidarsi al primo che capita per un'operazione psichica complessissima e peraltro molto delicata come quella legata all'ingestione di due-tre tazzine di Ayahuasca.
Questo però non ci vieta di ricorrere ad uno dei nostri farmaci prediletti, mi riferisco all'LSD, confezionato con spirito amorevole, ben al riparo dalle diffuse e nefaste logiche di mercato, come peraltro ho già avuto modo di accennare in precedenza.
Il contesto in cui si manda in scena l'esperienza gioca un ruolo fondamentale, e dunque fa la differenza, per quanto riguarda le intuizioni che si raccolgono durante il viaggio.
Come già detto, ho avuto la sfortuna di ritrovarmi, sotto effetto dell'acido, nella sala di una pizzeria (esperienza orribile, ma proprio per questo estremamente istruttiva) e ho avuto l'immensa fortuna di potermi calare la medesima sostanza in prossimità di una Domus de Janas, una tomba scavata a mano dalle genti che hanno vissuto sull'isola tra i 2000 e i 4000 anni prima della nascita di Cristo, e posso assicurare che, nonostante il farmaco fosse il medesimo, le due esperienze non possono essere minimamente paragonate tra di loro.
Ora dunque, per completare il quadro, non mi resta che trovarmi un posticino tranquillo nella selva dove starmene, per dodici ore almeno, in assoluta serenità...
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Considerazione 2: ho un ritornello che rimbalza contro le pareti della mia scatola cranica già da un po': mia nonna paterna, che come me era campidanese, in occasione delle feste ci cucinava degli ottimi culurgiones, dei ravioli di pasta farciti con un ripieno di patate, formaggio, aglio e menta, che fanno parte della tradizione culinaria ogliastrina.
La ricetta e dunque, in sostanza, il modo esatto per prepararli, le era stato trasmesso direttamente da due amabili signore di Arzana che, assieme ad un fratello, gestivano una piccola pensioncina a conduzione familiare dove mia nonna e mio nonno alloggiavano ogni anno durante l'estate.
Se riuscirò davvero a cadere in quello che Hegel chiamava stato di magnetismo animale, magari mi potrebbe capitare (se sarò sufficientemente magnetico e sufficientemente fortunato) di confrontarmi con qualcuno del posto sulle tecniche a mia disposizione per alterare la mia coscienza, per dirla all'occidentale, e magari, fantastico, mi potrebbe venire mostrata una tecnica per raggiungere risultati analoghi, ma partendo dalle materie prime (le piante) presenti in loco.
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Aggiunta: Sia la ricetta dei culurgiones e sia quella per cucinare l'Ayahuasca sono reperibili, ormai, attraverso numerosissimi, svariati canali. Credo però che ciò che faccia la differenza, in un certo qual modo, sia la trasmissione diretta dei trucchi (e dei segreti) che, di fatto, rappresentano quel tocco in più che trasforma qualcosa di ordinario in qualcosa di straordinario.
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Considerazione 3: A conti fatti, e nonostante tutti gli studi che noi occidentali abbiamo fatto e stiamo continuando a fare a proposito della faccenda, non è semplice capire quando e come è stato scoperto il modo per preparare un infuso dalle proprietà così particolari.
C'è chi sostiene che l'Ayahuasca sia un'invenzione molto più recente rispetto a quanto si creda generalmente, considerando che alcuni studiosi fanno risalire la scoperta a svariati secoli precedenti al nostro.
Di sicuro la questione sollevata, tra gli altri, da Jeremy Narby, mi sembra sempre valida e interessante: la foresta amazzonica, com'è ovvio, presenta una varietà ampissima di piante, ma solo la combinazione di due di queste, la banisteriopsis caapi e la chacruna virdis, peraltro opportunamente lavorate e trattate, crea la pozione magica.
A noi occidentali, che di base alimentiamo il nostro sapere attraverso lo studio delle opere compostedai nostri predecessori e attraverso quello che possiamo ben definire metodo sperimentale, viene quasi istintivo pensare che, ad una civiltà priva di documenti scritti e, ovviamente, assolutamente priva di strumenti tecnico-scientifici, non rimanga altro da fare che procedere, quasi a tentoni, attraverso il potenzialmente infinito (considerando l'incredibile quantità di esemplari a disposizione) metodo del tentativo.
Tradotto: una mattina provo a combinare una pianta con quella che le sta immediatamente vicina; il giorno dopo (se non sono morto nel corso dell'esperimento) provo a combinare quella che cresce sopra alla mia testa con quella che cresce in basso, all'altezza dei miei piedi, e così via sino a trovare, per puro caso (termine che a noi occidentali iper-razionali piace da impazzire), l'incastro perfetto.
Con qualcosa come centomila specie di piante diverse a disposizione, sarebbe carino se uno dei nostri esperti in matematica facesse il calcolo del numero di probabilità che potrebbero venire fuori.
Parlando con gli indigeni della foresta, però, il dilemma si risolve facilmente: sono le piante stesse a comunicare all'uomo, anche attraverso la loro ingestione, ma non solo, gli usi, gli effetti e le varie combinazioni.
Ma questa, si capisce bene, è una soluzione troppo, troppo romantica (per usare un termine caro ad Amselle) per venire accettata.
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080 — Alla radice dell'esodo di occidentali verso le regioni del Sud America e dunque, nel nostro specifico, in Perù, non c'è ovviamente soltanto la voglia di esotico e il desiderio di fare un'esperienza fuori dal comune.
Può capitare, e capita, che ad un certo punto la vita di una persona subisca svolte talvolta anche piuttosto drammatiche: uno stato di depressione, anche profondo, può nascere dopo la fine di una relazione sentimentale, o all'indomani di un lutto.
Molti occidentali, poi, si ritrovano, per così dire, spiazzati e senza più punti di riferimento di fronte ad una malattia che la scienza ufficiale (i cosiddetti camici bianchi) non è più in grado di curare o, meglio, di tamponare.
Quando quell'evento ineluttabile (vale per tutti...) che è la morte incomincia a bussare, in maniera sempre più costante e sempre più fastidiosa, alle porte delle nostre giornate, del nostro quotidiano, non sappiamo più, come si dice in gergo, dove sbattere la testa.
Saremo pronti a qualsiasi cosa, davvero a qualsiasi cosa, per alleviare quel senso costante di angoscia ed oppressione. Ed è proprio in quei casi che i rimedi classici e generalmente accettati, come la psico-terapia, la psico-analisi e, in sostanza, le sedute in compagnia di psicologi e psichiatri, non bastano più...
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081 — ...ed è proprio questa una delle questioni che manda più in bestia il mio amico Amselle, almeno è questa l'idea che mi sono fatto a leggere le pagine del suo saggio.
Da buon occidentale non riesce a sopportare, a mandare giù il fatto che qualcuno possa rivolgersi ad un'altra bottega per tentare di risolvere i propri disagi.
Nei suoi 300-400 anni scarsi di storia il movimento psichiatrico – psicoanalitico ha elaborato tutte le soluzioni a tutti gli eventuali problemi a cui l'essere umano va incontro durante il suo allegro pascolare in lungo e in largo sul pianeta terra: che bisogno ci sarebbe di cercare conforto altrove?
Del resto le nostre università sfornano a getto continuo fior fiore di dottori e di dottoresse che non vedono l'ora di mettersi a nostra disposizione, forti di tutte le conoscenze immagazzinate durante il loro processo di formazione.
È logico, considerando le premesse, come il mio amico francese non si capaciti di come sia possibile che qualcuno si getti, alla cieca, tra le braccia di un ciapuzzo qualsiasi (in sardo campidanese il termine ciapuzzo indica un buono a nulla, un pezzente, un poveraccio) che ha addirittura la pretesa di volersi sporcare le mani con le nostre turbe mentali più zozze e con i branchi di fobie che ci scorrazzano dentro alla scatola cranica, senza, peraltro (che è la cosa più grave, in definitiva), aver mai letto nemmeno una mezza pagina di un qualsiasi manuale di psicologia sui quali, in occidente, formiamo i nostri illuminatissimi esperti della psiche.
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Considerazione: Sappiamo bene che il conseguimento di una laurea al termine di un percorso di studi pluriennale non rappresenta una garanzia sufficiente sul fatto di saper effettivamente svolgere le attività e le funzioni per le quali siamo stati preparati.
Una laurea in filosofia (lo ripeto a me in primis, cosa che non guasta mai) non ci trasforma automaticamente in Platone e né, tanto meno, in Socrate, così come una laurea in medicina non ci trasforma in medici infallibili.
Bisognerebbe poi, almeno per una questione di correttezza intellettuale, mettere in conto che, come peraltro riportano tantissimi antropologi ed etnologi, colleghi dello stesso Amselle, nelle società cosiddette tradizionali non si diventa curanderi (o sciamani) da un giorno all'altro ma, da quello che si può leggere e che si sente in giro, il processo di addestramento, la preparazione, in questo senso, è piuttosto lunga (si parla anche di quindici anni) e comprende pratiche fisiche e psicologiche decisamente dure, tra cui lunghissimi periodi di isolamento sociale, diete severissime (con digiuni e soprattutto astinenze che un qualsiasi studente universitario occidentale accetterebbe a fatica, per usare un eufemismo) ed esperienze spesso e volentieri molto dolorose e stressanti, come se per prendersi carico delle tensioni e degli incubi altrui si debba prima imparare a gestire stati di stress a dir poco immani, provocati nei modi più disparati, partendo dalle scarificazioni sino ad arrivare all'annichilimento dei propri impulsi sessuali.
Certo, è ovvio, questo mondo spurga truffe e impostori da ogni suo poro: non deve stupirci, dunque, se nel nostro cammino dovesse spuntare fuori qualcuno che si spaccia come curandero ma che poi, in effetti, curandero non è.
Potrebbe capitare, allo stesso tempo, che la laurea esposta in bella mostra nello studio del dentista che ci ha appena ficcato le sue dita in bocca sia più finta di una banconota da quindici euro.
Allo stesso tempo, è necessario chiudere il cerchio in questo senso, una laurea in psicologia, con tutti i corsi di aggiornamento possibili ed immaginabili non ci trasformano né in Freud e ne in Jung e non ci rendono magicamente capaci di condurre il prossimo fuori dal labirinto in cui si è perso.
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082 — A voler analizzare la faccenda con un pizzico di attenzione in più, cosa che vale soprattutto nel caso specifico dell'Ayahuasca, il curandero, o lo sciamano (che dir si voglia...) farebbe semplicemente da tramite (e in primis da cuoco) tra l'utente e la sostanza che viene utilizzata per innescare il processo.
Ad operazione conclusa non rimarrebbe altro da fare che aiutare il paziente nella traduzione dell'esperienza psichedelica e degli input ricevuti.
Il discorso è diverso, invece, quando il curandero assume la sostanza in solitaria, per cercare di risolvere un problema (a carattere fisico, ma non solo) di un terzo o della propria comunità di appartenenza.
Questo fatto (affidarsi ad una sostanza psicotropa per cercare di dare una sistemata alla propria psiche) rappresenta, per il mio amico Amselle, ma non solo per lui, motivo di grande scandalo.
Si tratterebbe, dunque, di una vera e propria regressione culturale: l'uomo (soprattutto quello a tinte pallide) ha faticato così tanto per emanciparsi dallo stato magico-romantico in cui si è trovato immerso per secoli e secoli e ha sudato così tante camicie per mettere in piedi il suo castello di certezze e verità scientifiche dove arroccarsi al riparo delle varie credulonerie, che il riporre così tanta fiducia negli effetti positivi provocati da un semplicissimo infuso di origine naturale viene considerata un'autentica follia.
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Considerazione: sarebbe il caso di ricordare, giusto per correttezza, che dalla metà degli anni '60, e dunque sin dalla sua scoperta e fino alla sua messa al bando, l'LSD è stato utilizzato dagli psico-terapeuti europei ed americani come strumento per ampliare la portata, la profondità dell'introspezione effettuata dal paziente stesso, e dunque per massimizzare la quantità di materiale da offrire al dottore e sul quale lavorare.
L'unica, grande differenza con le pratiche che potremmo definire di tipo sciamanico è che lo psicanalista non si immerge nell'esperienza psichedelica assieme al paziente ma mantiene un netto, gelido distacco. Nell'altro caso, invece, entrambe le parti in causa si buttano a capofitto nelle stesse acque, corrono i medesimi pericoli e, sempre in contemporanea, condividono le stesse gioie e, perchè no, le stesse estasi.
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Considerazione 2: Nel saggio che sto prendendo in oggetto Amselle non ne parla esplicitamente, ma non risulta comunque impossibile dipingere un quadro che possa risultare attendibile in questo senso: come si evince dall'analisi delle sue pubblicazioni precedenti, il mio carissimo amico francese prima di dedicarsi al lavoro sul campo in Sud America e quindi, nello specifico, in Perù, è stato impegnato in diverse ricerche nel continente africano.
È proprio in questo periodo che è entrato in contatto con quell'arbusto bizzarro e davvero particolare chiamato iboga (Tabernanthe Iboga il suo nome completo), da cui si ricava il principio attivo che prende il nome di ibogaina.
Tradizionalmente l'iboga viene utilizzato per riti di morte e rinascita; gli effetti che la sua ingestione provoca, soprattutto ad alti dosaggi, sono piuttosto pesanti, e decisamente poco ludici e ricreativi: sensazione di freddo intenso, tra gli altri, e perdita di conoscenza.
Gli europei hanno però scoperto, piuttosto rapidamente a dire il vero, che l'ibogaina è un validissimo alleato nel trattamento delle (tossico)dipendenze, partendo da quelle collegate ad alcool e nicotina fino ad arrivare a quelle decisamente più complicate da smaltire, relative all'uso di oppiacei, come l'eroina, e ai barbiturici.
Il gioco sembra così semplice da risultare a dir poco fantascientifico, soprattutto se paragonato alle pratiche, a volte a dir poco controverse, in voga nelle nostre moderne cliniche: basta una sola seduta con l'ibogaina per liberarsi dal male, a patto che per i tre giorni precedenti all'assunzione si faccia totale astinenza dalla sostanza che si vuole eliminare dalla propria dieta.
La scoperta fece così tanto scalpore che in Francia, e in particolare nella città di Parigi, in breve tempo si moltiplicarono i seminari sull'iboga e, soprattutto, con l'iboga.
Se è vero che ci sono studiosi che consideravano (e ancora oggi considerano) piante come l'iboga o preparativi come l'Ayahuasca al pari di ambigue tecniche di addomesticamento degli individui (proprio come si legge nella presentazioni di Psicotropici dello stesso Amselle) c'è anche chi continua a considerarle tecniche di rottura nei confronti dei condizionamenti, anche di quelli più profondi, provocati dall'educazione che riceviamo e dallo stile di vita suggerito dall'ambiente sociale in cui ci troviamo.
Amselle tocca il fondo (del ridicolo e del suo essere intimamente infame) quando, nel suo saggio, si rallegra, a più riprese, del fatto che l'ibogaina, la DMT e dunque l'Ayahuasca vengano considerate illegali in Francia, così come in molti altri paesi d'Europa e del mondo, auspicando, tra l'altro, leggi in materia e controlli sempre più severi, sia da parte degli organi di polizia e sia da parte delle varie associazioni nazionali di strizza-cervelli, con questi ultimi che devono fare i conti con la preoccupazione di perdere, in un colpo solo, scettro, trono e primato (oltre che i clienti) nella cura delle nostre povere anime.
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[Sui rinnegatori]
Considerazione 3: C'è pure un'altra questione, a pensarci bene, che il mio amico Amselle non sopporta assolutamente, ed è quella legata ai cosiddetti rinnegatori, ovvero tutti gli occidentali che ripudiano il paradigma scientifico-razionale a cui appartengono per nascita, e poi per educazione e per formazione, in favore di una visione più romantica della realtà.
In questo senso, il bacino dei bersagliati è davvero ampissimo: si parte da Castaneda, capostipite per eccellenza della cerchia, si passa dalle decine e decine di yankee che hanno tirato su i villaggi in Sud America per ospitare i visitatori, e si arriva al già citato Jeremy Narby, altro giovane antropologo statunitense che in seguito ad un'esperienza con l'Ayahuasca ha sensibilmente rivalutato il rapporto, anche in termini cognitivi, con il regno vegetale e dunque, di conseguenza, con gli universi invisibili all'occhio. Universi incredibili per la nostra ragione, addestrata all'empirismo più rigido, ma così ricchi di risposte e soprattutto di insegnamenti per tutti coloro che riescono a squarciare il velo e a sbirciarci attraverso.
In questo caso il siluro scagliato da Amselle colpisce in pieno il sottoscritto: anche io, a tutti gli effetti, ho mutato la mia visione della realtà, del possibile e dell'impossibile, delle energie immani che animano il mondo in cui mi ritrovo a vivere.
Questa metamorfosi è avvenuta negli ultimi 10-12 anni, da quando cioè ho avuto l'immensa fortuna di potermi dedicare con continuità a certi miei esperimenti con la dietilamide dell'acido lisergico e poi, a ruota, con la DMT.
La posizione da cui sono partito, all'indomani della conclusione dei miei studi presso la facoltà di Filosofia dell'Università di Cagliari era piuttosto classica e si può sintetizzare con due termini: ateo e razionalista.
Poi qualcosa è cambiato, come se un uragano fosse entrato in una piccola stanza stravolgendone la forma, l'ordine interno e, infine, i contenuti.
A dire la verità, mi si permetta una piccolissima digressione, con il passare degli anni, spesi all'interno dell'istituzione statale preposta alla mia istruzione e alla mia formazione, ho perso gran parte della mia capacità di sognare e di rapportarmi alla vita con quell'atteggiamento magico che i bambini mantengono sino a quando questo non viene estirpato irrimediabilmente dai cosiddetti adulti.
Aggiungo pure un piccolo dettaglio che, a questo punto dell'analisi, non mi sembra così insignificante come invece potevo credere in passato: sull'isola in cui sono nato, sono cresciuto e mi trovo a vivere ancora oggi, è sopravvissuta (a stento, ma è sopravvissuta, e questo mi sembra un piccolissimo miracolo, se mi si passa il termine) quella che si può tranquillamente definire medicina tradizionale sarda e che prevede, oltre all'utilizzo delle piante che ci crescono attorno, tutta una serie di pratiche che potremmo etichettare come para-psicologiche: è sotto questa luce che si potrebbero leggere e interpretare la cosiddetta medicina per lo spavento, utilizzata per alleviare lo shock dopo eventi improvvisi e particolarmente traumatici sul piano emotivo, e in particolare la medicina contro il malocchio, che non è altro che una serie di gesti rituali (a partire dall'immersione di tre chicchi di grano in un bicchiere pieno d'acqua) accompagnati dai brebus, un incrocio tra formule magiche e preghiere, con cui si cerca di allontanare una certa influenza malefica (spesso derivata dal sentimento di invidia) che si manifesterebbe con la comparsa di sintomi, anche piuttosto gravi, e con la presenza di un malessere tanto diffuso quanto ingiustificato da un punto di vista strettamente medico: come se il malanno piombasse all'improvviso e senza cause da giustificarne l'entità e soprattutto l'intensità.
Per uno strano scherzo del destino, mia nonna paterna (ovvero una delle sorgenti da cui, di fatto, derivo anche io) ha praticato, sino a pochi mesi prima della sua morte, la medicina contro il malocchio. Non mi pronuncio in merito all'efficacia dei trattamenti che somministrava, ma considerando il numero di persone che si rivolgevano a lei, e considerando i piccoli regali che riceveva in cambio per i suoi servizi (spesso sottoforma di cibo) , c'è da credere che più di qualcun* ne abbia ottenuto dei vantaggi, dei benefici.
In un certo senso, dunque, io appartengo a quel mondo magico (per utilizzare un concetto caro, tra gli altri, all'antropologo Ernesto Di Martino) da cui mi sono allontanato, soprattutto durante la mia permanenza all'università, per poi rientrarci, prepotentemente, si direbbe, attraverso vie poco ortodosse.
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Aggiunta: Credo che ciascun* di noi debba avere la libertà di poter scegliere le cure a cui affidarsi per risolvere i propri problemi. Non si tratta più di convincere gli scettici sull'efficacia dell'omeopatia, dell'ipnosi, della cristallo-terapia e chi più ne ha più ne metta.
Ci sono persone che viaggiano con (almeno) una bustina di anti-infiammatorio nel borsellino, sempre pronto all'uso, e c'è chi si porta appresso una boccetta di Ignatia Amara per contrastare gli eventuali attacchi di panico.
A ciascuno il suo, insomma, ma credo che coloro che vengono a capo dei loro malanni senza passare dalla chimica moderna possano ritenersi dei fortunati, degni dell'invidia di coloro che, per raggiungere gli stessi effetti, devono penare nelle tortuose strade della medicina moderna ufficiale.
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Aggiunta 2: Diversi spunti interessanti, a proposito delle tematiche trattate sino ad ora, si possono trovare nello scritto di Stefania Consigliere e Stefano Oppo, intitolato Tristi gli psico-tropici?, che non è altro che una replica, piuttosto puntuale, a dire il vero, al lavoro pubblicato da Amselle.
Secondo la Consigliere, tra i motivi che spingerebbero noi occidentali a raggiungere territori esotici e, soprattutto, a lanciarsi a capofitto in un'esperienza psichedelica come quella che deriva dall'assunzione dell'Ayahuasca, ci sarebbe il bisogno di confrontarsi con un'alterità, sia geografica, sia culturale, e sia ontologica, aggiungo io. Un confronto che diventa, poi, sorgente di arricchimento personale, nonchè pratica rigenerante.
Capita, infatti, che molti occidentali accusino quello che mi sento di chiamare impoverimento esistenziale, dettato principalmente dallo stesso ambiente sociale ed economico in cui ci troviamo a vivere. I più colpiti dal fenomeno, in sostanza, sarebbero coloro che risultano immuni ai (presunti) benefici prodotti dalla ginnastica dei consumi.
Per contrastare questo fenomeno, dunque, molti cercano conforto nel rapporto con l'altro, con il radicalmente diverso.
Sia detto per inciso: è proprio questo rapporto con l'altro che è alla base non solo di tutte le religioni, ma anche della metafisica classica europea.