[Dipendenze e forza di volontà]
060 — A mio modestissimo parere, Baudelaire centra in pieno il bersaglio: quello con le sostanze, con le piante in generale, ha tutte le caratteristiche di un vero e proprio rapporto, molto simile, per certi versi, alle relazioni interpersonali che si instaurano tra esseri umani.
Un rapporto, per definizione, implica una condivisione: possiamo dare agli altri il meglio ed il peggio di noi, e ricevere in cambio del bene, o del male.
Ci sono persone, situazioni e circostanze, o sostanze, che evidenziano, tirano fuori il nostro lato più oscuro, e altre che ci spingono ad esprimere le qualità più nobili del nostro essere.
Nel gioco con le droghe molto dipende da noi: uno degli aspetti principali, dunque, è il modo in cui riusciamo a gestire (o non gestire) le problematiche collegate all'utilizzo delle varie sostanze.
Chi si ostina ad ignorare, a sottovalutare lo stato di dipendenza che la marijuana provoca in chi la utilizza rischia di spalancare le porte ad una seccatura più grossa di quello che si può pensare.
È vero: la canapa, a ragione, viene considerata una droga leggera in quanto non produce, nella maniera più assoluta, gli effetti devastanti, a livello fisico, che si sperimentano quando si interrompe il consumo di farmaci ben più potenti come l'oppio, l'eroina o la stessa cocaina.
Oltre alla dipendenza, che potremmo definire psicologica, quando si ha a che fare con queste droghe particolari bisogna mettere in conto tutta una serie di sintomi e di malesseri, partendo dalle nausee, gli spasmi e i dolori articolari e muscolari, i brividi, i sudori freddi e via di questo passo.
Aggiungiamo, poi, che lo stress da astinenza può andare avanti anche per diversi giorni: le testimonianze, in questo senso, sono innumerevoli.
Staccare con la marijuana e con l'hashish, in questo senso, risulta più agevole, anche e solo per il fatto che il nostro fisico non viene coinvolto in maniera così marcata. Staccare sul piano mentale, però, può risultare più complesso.
Io stesso mi sono reso conto di come un consumo sporadico possa trasformarsi rapidamente in un'abitudine che si radica nel quotidiano e che può rivelarsi piuttosto difficile da tenere a bada, da tenere sotto controllo. Le persone a cui la situazione sfugge un po' di mano non sono poche: in realtà, però, trovare una via d'uscita, riacquistare un equilibrio non sembra così impossibile, anzi...
Come dire: nessuno parte da sconfitto, bisogna solo avere il coraggio di (ri)mettersi in discussione.
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[Dipendenze e forza di volontà pt.2]
061 — Parto da una semplicissima constatazione: marijuana e derivati non sono, ovviamente, le uniche sostanze disponibili su questo pianeta con cui l'essere umano può finirci sotto, in termini di dipendenza.
Basti pensare, in questo senso, alla diffusione che hanno avuto caffè e tabacco, nell'arco delle nostre 24 ore vissute puntualmente da bravi occidentali.
A proposito del tabacco, soprattutto, salta all'occhio la differenza, per quanto riguarda le modalità di assimilazione e i quantitativi, tra il consumo che ne facciamo noi moderni e quanto accadeva in seno alle civiltà più antiche.
In passato, almeno stando alle testimonianze raccolte da vari antropologi ed etnologi, la solanacea in questione veniva assunta, principalmente, a scopi rituali-divinatori.
Una singola dose, quindi, era consistentemente più massiccia (tanto da causare una sorta di crollo, di collasso psico-fisico nel soggetto che ne faceva uso) rispetto ai quantitativi standard, piuttosto modici, con cui l'uomo moderno si intrattiene di solito.
Assieme a quella relativa all'alcool, la dipendenza da nicotina è riuscita a radicarsi, con un'intensità rara, in profondità nel nostro bios.
Del resto l'uomo, al pari del cane, ad esempio, ha la spiccata tendenza a sviluppare azioni abituali e le sostanze, in questo senso, rappresentano i pilastri della gabbia: basti pensare alla combinazione magica creata, già nei primissimi minuti dopo il risveglio, dall'unione di caffè espresso e sigaretta, con il classico epilogo che tutti conosciamo, tanto che l'assenza, anche momentanea, di una delle chiavi chimiche rischia di far inceppare la serratura e provoca scossoni anche piuttosto violenti nel nostro umore.
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Aggiunta:
A proposito della tendenza dell'uomo a sviluppare abitudini comportamentali si chiedano informazioni al dottor Ivan Pavlov e a tutti gli illustrissimi suoi colleghi che hanno proseguito le ricerche in quel campo.
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[Rituale e abitudine \ Allenare la nostra forza di volontà]
062 — Viene spontaneo chiedersi, a questo punto, che differenza ci sia tra un gesto rituale e uno abituale, considerando, per incominciare, che entrambi sono associati ad un momento ben preciso della giornata, della settimana, del mese o dell'anno.
La prima cosa che mi viene da rispondere è che il gesto rituale (per definirsi tale) deve essere necessariamente collegato ad un carico, ad un contenuto emotivo-sentimentale talvolta anche piuttosto profondo, assieme ad un'altrettanta profonda concentrazione, ad un elevato grado di consapevolezza di quello che si sta facendo.
Il gesto diventato ormai abituale, invece, per definizione, è caratterizzato da una scarsissima attenzione, dalla mancanza quasi assoluta di riflessione: è un gesto che quasi si subisce, che quasi si innesca in automatico, come un riflesso incondizionato, come effetto di un meccanismo sul quale non abbiamo più nessun tipo di controllo.
Sta a noi, in teoria, preservare tutta la sacralità (se mi si passa il termine...) dei gesti più importanti (o almeno a quelli a cui teniamo di più...) e difenderli dal rischio e dal pericolo che si riducano a mera routine.
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[Sostanze e auto-disiplina]
063 — Odio, letteralmente, fare festa ogni giorno: il bello della festa, a parer mio, è che (inter)rompe la serie di quotidianità ordinarie.
Il periodo della festa diventa così un'oasi nel bel mezzo del deserto delle nostre esistenze, un teatro in cui è possibile mandare in scena comportamenti altri.
Di solito per le feste si consumano bevande o cibi particolari (più ricchi, più grassi e saporiti o anche e solo più elaborati), si trova il tempo per i balli, ad esempio, così come per abbandonarsi agli stati di ebrezza; tutte pratiche che, da che mondo e mondo, aiutano gli individui a scaricare le tensioni accumulate e a ricaricare le energie.
Per circa due anni, dunque, il mio unico incontro settimanale con la marijuana avveniva il sabato pomeriggio, di solito a partire dalle 14.20, per circa un'oretta scarsa, attraverso il vaporizzatore da tavolo che, di fatto, è stato il primo strumento che mi ha consentito di entrare in comunione con la pianta e dunque con i principi attivi custoditi nelle sue infiorescenze.
Se è vero che per sei giorni su sette riuscivo a sfangarmela senza dover ricorrere al farmaco (cosa che si potrebbe considerare come positiva), allo scoccare del sesto giorno la mia testa veniva letteralmente presa in ostaggio da quell'unico, singolo pensiero: ricongiungermi con la mia adorata alleata.
È facile immaginare, considerando le premesse, come qualsiasi alternativa assumesse facilmente i connotati dell'impedimento, dell'ostacolo tra me e il THC, così abile ad addolcire il flusso (tendenzialmente paranoico) dei miei pensieri.
Sappiamo bene come funziona: da un singolo bacio si passa ad una relazione intensa; dopo i primi appuntamenti sporadici si instaura una sorta di convivenza.
Così, dall'uso relegato esclusivamente al sabato pomeriggio sono spuntati i primissimi, furtivi incontri il venerdì sera, e poi quelli che andavano in scena la domenica, fino ad arrivare ad un totale di tre giorni di festa contro i quattro in cui mi astenevo.
Nel giro di pochi mesi sono passato da un uso limitato esclusivamente al fine settimana a far iniziare i miei fine settimana già dal martedì pomeriggio: questo, più che altro, deriva dal fatto che l'erba mi aiuta, come poche cose in questo mondo, a sciogliere le tensioni (fisiche e nervose) e ad elaborare, a metabolizzare meglio le emozioni, soprattutto quelle più intense, sia di segno positivo che, ovviamente, quelle di segno negativo.
Di fronte ad un'impellente necessità, mi dico ancora oggi, perchè rinunciare all'aiuto del farmaco?
Perché ostinarsi ad affogare, letteralmente, nella calma piatta di un pomeriggio ostile, se nello spazio di dieci minuti appena quelle stesse ore possono essere impreziosite da quella sublime poesia?
Arrivati a questo punto, si comprende facilmente come l'uso quotidiano possa prendere rapidamente piede e spazzare via la nostra brava distinzione tra momenti ordinari (della settimana) e momenti extra-ordinari.
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[Sostanze e auto-disiplina pt.2]
064 — Qualcuno ha scritto: «è più facile astenersi del tutto da un qualcosa piuttosto che farne un uso moderato».
Nel forum che funge da supporto, da piattaforma per lo scambio delle informazioni e delle opinioni tra i membri della community virtuale, nascosta nel dark-web, di cui faccio felicemente parte ormai da quasi un decennio, l'argomento è stato tra i più gettonati, con mia grande sorpresa.
Nonostante si discuta di diverse sostanze (molte delle quali hanno effetti incredibilmente più potenti, si capisce bene, di quelli provocati dall'erba), c'è stata una nettissima presa di posizione sulla questione, che si può ben riassumere con la sentenza: «l'ho finita sotto con la marijuana e non riesco ad uscirne».
Sembrerà strano, ma il mondo è pieno di piagnucolanti che ogni notte si ripetono, prima di addormentarsi: ora basta, da domani faccio una pausa (con la marijuana).
Ma poi, con disarmante puntualità (è il caso di dirlo), si ritrovano a cedere al sussurro della tentazione, che si manifesta implacabile il pomeriggio successivo.
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[Tutta una questione di volontà, pt. I]
065 — Credo fermamente che la nostra forza di volontà possa essere rafforzata, soprattutto attraverso l'esercizio, come se si trattasse del muscolo del bicipite, ma anche attraverso l'auto-disciplina.
Niente di nuovo sotto il sole (ovvero: come scoprire l'acqua calda nel 2022) se è vero che, nel corso dei millenni, partendo dall'Asia, dalla Grecia e poi in tutte le zone dell'Europa, senza dimenticare ovviamente le due Americhe e il resto delle terre emerse e popolate dall'uomo, ci sono state decine e decine di individui (di entrambi i sessi, mi pare ovvio) che hanno trascorso buona parte della loro esistenza (se non la totalità) ad allenarsi per piegare i propri desideri (e gli impulsi fisiologici più intimi e impellenti) agli ordini della propria volontà.
Il primo passo, quantomeno, consiste nel mettersi in discussione.
Ma arrivare a vincere la battaglia contro le proprie debolezze è, purtroppo, tutto un altro paio di maniche, come si sente dire in questi casi.
Ancora una volta non posso fare altro che calare sul tavolo le mie personalissime carte.
Per quanto mi riguarda, faccio finta che le 365 caselline che compongono il calendario solare gregoriano siano altrettante caselline di un (pseudo) gioco da tavolo (il Gioco dell'Oca o il Monopoli potrebbero rendere bene l'idea, in questo senso).
Ogni casella è contraddistinta da un colore, ogni colore rimanda ad una funzione.
Ci sono i giorni di festa, in cui molto (o tutto) è concesso; ci sono i giorni in cui ci si ripiglia dalle feste (in cui è concessa qualche coccola, ma cercando di non esagerare...).
Ci sono i giorni in cui si stacca dalle feste (e ci si concentra, magari, con il massimo dell'entusiasmo, sulle attività che compongono il nostro quotidiano) e poi ci sono i giorni in cui ci si prepara per le feste, che di solito sono quelli più duri e severi, dove cerco di arrivare al livello di tolleranza zero nei confronti delle mie debolezze.
Alla luce di queste premesse si fa prestissimo a buttare giù i primi calcoli: ad un giorno di festa grande, almeno così funziona dalle mie parti, corrispondono circa trenta giorni di preparazione e preparativi. Questo significa che se in un anno tiro su quattro feste, una per stagione, giusto per fare un esempio, devo mettere in conto di sorbirmi qualcosa come centoventi giorni (un terzo di quelli che ci sono in totale) di esercizi preliminari.
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Considerazione : Messa così, come mi ha fatto notare M, sembra un vero e proprio pacco: il gioco, in sostanza, non vale la candela.
Troppo sbattimento, e poi per che cosa?
C'è chi sostiene però, come Van Gennep nel suo I riti di passaggio, ad esempio, che la bontà e l'efficacia del momento liminare (nel nostro caso: la festa) sia direttamente proporzionale alla bontà e all'efficacia dei (ben più lunghi) momenti preliminari (nel nostro discorso: i preparativi), senza dimenticare i momenti post-liminari, che hanno il potere, immenso, di confermare e solidificare le buone sensazioni raccolte durante la festa vera e propria ma anche la capacità, ed è terribile, di disintegrare, in un secondo appena (basta un singolo sbaglio) tutto il prezioso bottino.
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Considerazione 2: Mi viene in mente un aneddoto relativo alle donne sarde che, da quanto ho letto, trascorrevano sere intere, magari anche per una o due settimane, ad occuparsi delle decine e decine di pieghe del loro vestito, della gonna, con l'unico intento di renderlo bello e perfetto per il momento del ballo o della sfilata.
La festa, in sostanza, si pre-gustava già a partire dai suoi interminabili preparativi.
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Considerazione 3: ancora sull'auto-disciplina
Nel mio personalissimo gioco, ci sono tutta una serie di attività che si possono mandare in play quando ci si trova in stati alterati di coscienza, come ad esempio: assistere ad un concerto, o ballare.
Ci sono poi tutta una serie di cose che sarebbe molto, molto meglio non fare in quelli stati particolari: maneggiare denaro e fare affari di qualsiasi tipo, per incominciare. Alla lista, poi, ci aggiungo pure il mangiare.
Certo, a volte mi capita di non essere proprio scrupolosissimo e puntuale nel perseguire i miei propositi, e altrettanto puntualmente ne pago le conseguenze, anche se, fortunatamente, i danni sono sempre stati minimi, almeno sino a questo momento.
Ci sono infine, ed è logico, una serie di attività assolutamente incompatibili con gli stati alterati di coscienza: se è vero che l'erba (al pari degli altri psichedelici di cui mi servo per starci dentro...) è un'ottima esca per catturare spunti di riflessione ed idee varie, quando vado a buttare giù le righe nei quadernoni con la copertina nera (quelli che, in sostanza, raccolgono la totalità assoluta del materiale che compone quel delirio che ho chiamato Guerriglia Filosofica) devo essere assolutamente lucido (tradotto: in stato non alterato), cosa che vale anche per la loro rilettura ed eventuale revisione.