039 — Da quello che ho potuto sentire in giro, secondo alcuni strizzacervelli (ma non solo...) il miglior antidepressivo in circolazione è senza ombra di dubbio l'entusiasmo.
Le vie, i modi per conquistare un bene così prezioso sono molteplici: ci si può dedicare alla cura di fiori e piante nel proprio giardino; ci si può dedicare alla cura di un animale, come ad esempio un cane, un gatto e via di seguito (passando dalle tartarughe e i criceti sino ad arrivare ai pesci rossi); si può seguire, in maniera più o meno appassionata, un hobby o uno sport, o una particolare disciplina artistica.
Oppure si può ricorrere ad uno dei tanti alimenti miracolosi che la natura ci mette a disposizione per tirarci su il morale qualora le cose non andassero in maniera spettacolare...per usare un eufemismo.
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040 — Corre il marzo del 1851 quando, in Francia, viene pubblicata per la prima volta Del vino e dell'hashish, l'opera del poeta, pensatore e saggista francese Charles Baudelaire, che mette a confronto due dei principali mezzi per la moltiplicazione delle individualità, per riportare le testuali parole dell'autore, a disposizione dell'essere umano.
Se la scoperta e l'utilizzo del primo risale alla notte dei tempi, il secondo rappresenta, almeno per gli europei, una novità assoluta.
All'inizio del 1800, nel corso della sua campagna in Egitto, Napoleone Bonaparte e la sua truppa di scienziati al seguito scoprono questo formidabile derivato della pianta della marijuana, ricavato dalla lavorazione delle infiorescenze, che la popolazione locale utilizza liberamente e diffusamente.
Napoleone fiuta subito i pericoli che il consumo di tale farmaco potrebbe provocare tra i suoi soldati e tra i civili, così la sostanza viene immediatamente messa al bando in Francia.
Sappiamo bene, però, come vanno queste cose: ad un divieto corrisponde (quasi) sempre un atto di disubbidienza, se non da parte di tutti, sicuramente da parte di qualcuno. Nel frattempo che gli scienziati francesi ed europei studiano la composizione chimica, gli effetti e le potenzialità dell'hashish, c'è anche chi si lancia in spericolati tentativi di auto-sperimentazione.
Nel dicembre del 1845, per l'appunto, Charles Baudelaire partecipa, assieme a Balzac e Gautier, a una seduta di fumatori d'hashish, che si tiene presso l'hotel Pimodan.
Proprio da quell'esperimento, Baudelaire colleziona tutta una serie di impressioni e di indicazioni che andranno poi ad alimentare le considerazioni presenti nell'opera in questione.
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041 — Per prima cosa l'autore illustra i vantaggi, i benefici che scaturiscono dall'assunzione delle due sostanze in questione.
«Gioie profonde del vino» si legge in apertura del secondo capitolo «chi non vi ha conosciute? Chiunque abbia avuto un rimorso da assopire, un ricordo da evocare, un dolore da annegare, un castello in aria da costruire: tutti infine ti hanno invocato, dio misterioso nascosto nelle fibre della vite».
Ed ancora, nel terzo capitolo: «Senza dubbio non vi ho insegnato niente di molto nuovo. Il vino è conosciuto da tutti; è amato da tutti. Quando ci sarà un vero medico filosofo, cosa che non si vede affatto, egli potrà fare uno studio sul vino, una sorta di psicologia doppia di cui il vino e l'uomo compongono i due termini. Egli spiegherà come e perchè certe bevande hanno in sé la facoltà di aumentare oltre misura la personalità dell'essere pensante, e di creare, per così dire, una terza persona, operazione mistica dove l'uomo naturale e il vino, il dio animale e il dio vegetale recitano il ruolo del Padre e del Figlio nella Trinità; essi generano uno Spirito Santo che è l'Uomo Superiore, il quale procede ugualmente dai due. Vi sono persone in cui la liberazione del vino è così potente che le loro gambe diventano più salde e l'udito eccessivamente sottile. Ho conosciuto un individuo la cui vista indebolita ritrovava nell'ebrezza tutta la penetrante forza primitiva. Il vino trasforma la talpa in aquila».
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042 — Anche per quanto riguarda l'hashish, almeno in un primo momento, Baudelaire confeziona una recensione decisamente positiva: «Tra poco parlerò di una sostanza venuta di moda da qualche anno, una specie di droga deliziosa per una certa categoria di dilettanti, i cui effetti sono ben altrimenti fulminanti e potenti di quelli del vino», si legge al termine del terzo capitolo.
Gli intenti dell'autore appaiono, da subito, ben chiari quando afferma: «Ne descriverò con cura tutti gli effetti, poi, riprendendo la pittura dei diversi effetti del vino, comparerò questi due mezzi artificiali con i quali l'uomo, esasperando la sua personalità, crea in sé, per così dire, una sorta di divinità».
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043 — A dire la verità, Baudelaire rivela piuttosto in fretta le sue preferenze: «Mostrerò gli inconvenienti dell'hashish, il minore dei quali, malgrado i tesori ignoti di benevolenza che fa germinare in apparenza nel cuore, o piuttosto nel cervello dell'uomo, il cui minor difetto, dico, è di essere antisociale, mentre il vino è profondamente umano, e oserei dire quasi uomo d'azione».
Ho già avuto modo, dal canto mio, di analizzare la questione in precedenza: non so se sia il caso di ribadire, per l'ennesima volta, che gli effettui delle varie sostanze sono estremamente soggettivi, e non credo davvero che esista in proposito una legge dal valore assoluto.
Ciò che appare evidente sin dalle prime battute, e sarà sempre più lampante nel corso del nostro discorso, è che Baudelaire tende a negare, a minimizzare, qualsiasi effetto negativo associato al consumo dell'alcool. Conosciamo piuttosto bene (spesso e volentieri per esperienza diretta) il potenziale che le sostanze custodiscono in termini di cambiamento, addirittura di stravolgimento del nostro comportamento e, in generale, delle caratteristiche elementari che vanno a comporre il nostro carattere.
La bilancia che Baudelaire utilizza per pesare e valutare le due sostanze con i relativi pro e contro non sembra essere tarata in maniera neutra; ciò si intuisce, ad esempio, quando scrive: «Ci sono ubriachi malvagi; sono persone naturalmente malvagie. L'uomo malvagio diventa esecrabile, come quello buono diventa eccellente».
Il vino giocherebbe semplicemente il mero ruolo di amplificatore delle nostre tendenze intime, sia di quelle più nobili che di quelle più spregevoli.
Per il resto, il vino continua ad essere esaltato per i suoi incredibili benefici: «Sulla palla terrestre c'è una folla innumerevole, senza nome, a cui il sonno non addormenterebbe a sufficienza i dolori. Per loro il vino compone canti e poemi».
Noi uomini moderni sappiamo piuttosto bene, del resto, che a seconda del caso, il vino è uno dei mezzi più rapidi per finire in pasto all'inferno.
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044 — Sull'hashish, dunque, Baudelaire compone questi bellissimi versi: «Si è tentato di fare l'hashish con la canapa francese. Tutte le prove fatte finora sono andate male e gli arrabbiati che vogliono a ogni costo procurarsi godimenti da favola, hanno continuato a servirsi dell'hashish che aveva attraversato il Mediterraneo, quello fatto con la canapa indiana o egiziana. La composizione dell'hashish è fatta di un decotto di canapa indiana, di burro e di una piccola quantità di oppio».
Questa che segue è una delle parti che preferisco in assoluto: «Ecco una confettura verde, singolarmente odorosa, talmente odorosa che provoca una certa repulsione, come farebbe del resto qualsiasi profumo penetrante portato al suo massimo di forza e, per così dire, di densità. Prendetene la misura di una noce, riempitene un cucchiaino e avrete la felicità; la felicità assoluta con tutte le sue ebbrezze, tutte le sue follie di giovinezza, e anche le sue infinite beatitudini. La felicità è là, sotto la forma di un pezzetto di confettura; prendetene senza timore; gli organi fisici non ne ricevono alcuna grave ferita. Forse ne sarà diminuita la vostra volontà, ma questo è un altro affare...»
Ed è proprio su questo affare, a cui Baudelaire accenna appena, almeno nella prima parte dell'opera in questione, che mi concentrerò meglio tra poco, perchè si tratta di uno dei colpi migliori sferrati dal francese.
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045 — Quello che però mi sembra importante sottolineare immediatamente è che Baudelaire, già nel 1850 (in netto anticipo sui tempi, dunque) compila una lista di consigli per l'uso corretto della sostanza, o meglio, per massimizzarne i benefici e limitarne al minimo gli svantaggi. Ci troviamo di fronte, mi sembra di poter dire, ad uno dei primissimi tentativi della storia di mettere in piedi un discorso, una strategia per una politica di riduzione del danno, per utilizzare una definizione che ha riscosso particolare successo in seguito, tra i moderni.
Non posso fare altro, ancora, che riportare fedelmente le sue parole: «Ho dimenticato di dire che, provocando l'hashish una esasperazione della personalità umana e nello stesso tempo un sentimento vivissimo delle circostanze e degli ambienti, sarebbe conveniente sottomettersi alla sua azione solo in circostanze e ambienti favorevoli. […] Per quanto è possibile, ci vuole un bell'appartamento o un bel paesaggio, uno spirito libero e sgombro, e qualche complice il cui temperamento intellettuale si avvicini al vostro; e anche un po' di musica, se è possibile».
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Considerazione: credo di averlo sperimentato abbondantemente sulla mia pelle, sulla polpa del mio cervello, sulla carne del mio cuore, sulle pareti della mia pancia. Credo che in “quelli stati, intendo, ovviamente, gli stati alterati di coscienza, la compagnia, meglio: la possibilità di confrontarsi, di aprirsi, di affidare la propria anima ad una persona particolarmente sensibile e ricettiva sia un'autentica fortuna, dal valore inestimabile, che nel mio mondo vale, senza ombra di dubbio, (anche) più della più grande miniera di oro e di diamanti del pianeta terra.
Non è un caso se l'LSD e l'MDMA, per diversi anni, sono stati tra gli strumenti più efficaci a disposizione dei dottori della psiche nel corso delle sessioni di psicoanalisi.
In queso senso sapete sicuramente meglio di me come funziona: in cambio di una modica cifra in denaro, lo specialista si mette completamente a disposizione del proprio paziente (ma giusto, si capisce, per la durata della seduta), pronto a raccogliere, sino all'ultima goccia, le impressioni, le suggestioni, gli umori e, in definitiva, il flusso di coscienza, i pensieri che sgorgano fuori (fuori come da un pozzo) dalle profondità più recondite dell'anima.
Personalmente, ho sempre considerato una follia pagare qualcuno per venire ascoltati: lo considero, un po', come pagare qualcuno per fare all'amore.
Molto, molto meglio affidare le proprie intimità ad una persona amica, anche se poi non è sempre scontato che una persona amica, posto che la si trovi, una persona amica in questo mondo, abbia il tempo e soprattutto la voglia per stare ad assorbire i liquami prodotti dalla nostra mente e dalle nostre viscere.
Ecco perchè, se può essere ben vero che i buoni amici si contano sulle dita di una sola mano, il mercato pullula, e si arricchisce ogni giorno di più, di specialisti che hanno trasformato la faccenda in questione nella loro particolare forma di sostentamento, e quindi, in definitiva, nel loro lavoro.
Allo stesso tempo conosco benissimo la sensazione estremamente sgradevole che si prova a finire in pasto, preda di persone poco sensibili (per usare un eufemismo), soprattutto quando ci troviamo messi a nudo, con le difese abbassate e con i nervi scoperti.
In quelli stati particolari qualsiasi minuscolo gesto irrispettoso, qualsiasi parola appuntita, anche e solo leggermente velenosa, si trasforma in una scartavetrata che va a grattugiare le mucose più sensibili del nostro essere e rischia di lasciare cicatrici indelebili. Mai come in questi casi, dunque, vale il vecchio detto meglio soli che male accompagnati, anche a rischio di cadere nel circolo vizioso dell'asocialità, pericolo, peraltro, già paventato dallo stesso Baudelaire.
Colgo l'occasione per ringraziare pubblicamente tutte le belle persone con cui sono entrato in contatto, in comunicazione, durante i miei viaggi, e che si sono rivelate un porto sicuro e affidabile in cui approdare, anche e solo per qualche mezzora scarsa.
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046 — Vale dunque davvero la pena, si chiede e ci chiede Kaveh come ultimo (s)punto del suo questionario, abbandonarsi alle ebbrezze provocate dal demone dell'hashish e delle altre sostanze ad esso simili?
Lascio che sia proprio Baudelaire a rispondere per me, in questo dialogo tra i due autori che mando in scena nel teatrino malandato della mia immaginazione.
«I sensi si fanno di un'acutezza e di una sottigliezza straordinarie. Gli occhi trapassano l'infinito. L'orecchio percepisce i suoni più inafferrabili in mezzo ai rumori più acuti».
Personalmente, si!, credo che ne valga la pena, in definitiva, anche e solo per provare, giusto per una volta, giusto per un fugace, singolo assaggio, le potenzialità, molto spesso nascoste, latenti, di quella magnifica e portentosa macchina cognitiva che siamo.
Le righe che seguono, sempre rubate dalle pagine de Del vino e dell'hashish, potrebbero servire benissimo a descrivere le sensazioni, davvero mai provate sino ad allora, provocate in me dall'assunzione di circa 25 grammi di funghi allucinogeni freschi, nelle strade della città di Amsterdam.
«L'eternità è durata un minuto. Un altro flusso di idee vi trascina; vi trascinerà per un minuto nel suo turbinio vivente, e questo minuto sarà ancora un'eternità. Le proporzioni del tempo e dell'essere sono sconvolte dalla moltitudine innumerevole e dall'intensità delle sensazioni e delle idee. Si vivono molte vite umane nello spazio di un'ora».
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047 — «La fase successiva — ci fa notare ancora Baudelaire — conduce a ciò che gli orientali chiamano il Kief: è la felicità assoluta. Non è più qualcosa di turbinoso e tumultuante. È una beatitudine calma e immobile. Tutti i problemi filosofici sono risolti. Tutte le ardue questioni contro le quali combattono di scherma i teologi e che fanno la disperazione dell'umanità ragionante, sono limpide e chiare. Ogni contraddizione è diventata unità. L'uomo è promosso a Dio».
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048 — È soltanto in apertura del quinto capitolo che Baudelaire si rende finalmente conto che probabilmente non è corretto affermare che «l'hashish produce su tutti gli uomini gli effetti che ho descritto. Ho raccontato in modo approssimativo i fenomeni che si producono in genere, salvo alcune variazioni, negli spiriti artistici e filosofici. Ma ci sono temperamenti in cui questa droga sviluppa nient'altro che una follia chiassosa, un allegria violenta che somiglia a una vertigine, e balli, salti, sbattere di piedi, scoppi di risa».
Considerazione: mi pare lampante come il discorso valga non solo per la cannabis, ma calzi a pennello anche per il vino.
Per molti, è vero, questo è un mezzo fenomenale per nutrire, ad esempio, ispirazione e creatività (come nel caso di Baudelaire, per l'appunto, o in tempi più recenti per il buon Buckowsky), ma di sicuro non bastano due o tre bicchieri per trasformare chiunque in un poeta o in un prodigio della letteratura e della saggistica.
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049 — Proprio per questo andrebbero presi in considerazione i consigli lasciatici, a proposito della questione, dal'americano Timoty Leary (professore di psicologia prima e pioniere nel campo delle sperimentazioni con l'LSD e la psilocibina in seguito), che in parallelo al consumo delle varie sostanze, caldeggiava una cura particolare della propria anima (intesa in senso lato), così come il buon agricoltore lavora la terra, la nutre e la rende adatta, per quanto possibile, a ricevere, ad accogliere in maniera fertile il seme.
La ricetta è semplice: meditazioni e preghiere, esercizi fisici, come ad esempio lo yoga, o la lettura di testi che favoriscano la riflessione o dei pensieri nobili, possono essere delle pratiche preliminari o di contorno assai valide da associare alle varie droghe a nostra disposizione. Sempre che si riesca a vincere la resistenza data dalla pigrizia...
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050 — Questa, seppur in una versione ridotta e compressa, è la cartolina che Baudelaire spedisce al resto della totalità dei mortali dal bel mezzo dei giardini dell'estasi, ma sappiamo bene che ogni gita, ogni villeggiatura prevede un prezzo da pagare per il biglietto.
Credo di essermi imbattuto piuttosto raramente in parole tanto acuminate e ficcanti, che mi hanno, per davvero, colpito e segnato nel profondo, tanto da portarmi a rimettere seriamente e violentemente in discussione alcune tra le mie convinzioni più solide, anche se, nei giudizi del francese, continuo a trovarvi una certa imparzialità, che sto peraltro tentando di sottolineare da diverse pagine.
Entriamo subito nel vivo della questione: «Il vino esalta la volontà, l'hashish la annichila. Il vino è un sostegno fisico, l'hashish è un'arma per il suicida. Il vino rende buoni e socievoli. L'hashish isola. L'uno è per così dire laborioso, l'altro essenzialmente pigro. A che serve, in effetti, lavorare, amare, scrivere, costruire alcunché, quando si può guadagnare il paradiso in un solo istante? Infine il vino è per il popolo che lavora e merita di berne. L'hashish appartiene alla classe delle gioie solitarie: è fatto per i miserabili oziosi. Il vino è utile, produce risultati fruttuosi. L'hashish è inutile e pericoloso».
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051 — Concludo questo saggio — si legge infine nel settimo capitolo Del vino e dell'hashish — con alcune belle parole che non sono mie, ma di un notevole filosofo poco conosciuto, Barberau, esperto di teoria musicale e professore al Conservatorio. Ero vicino a lui in una compagnia dove alcuni avevano preso il beato veleno, e lui mi disse con un accento di indicibile disprezzo: «Non capisco perchè l'uomo razionale e spirituale si serva di mezzi artificiali per arrivare alla beatitudine poetica, dal momento che l'entusiasmo e la volontà bastano per innalzare a un'esistenza soprannaturale. I grandi poeti, i filosofi, i profeti, sono esseri che attraverso il puro e libero esercizio della volontà pervengono ad uno stato in cui sono a un tempo causa e effetto, soggetto e oggetto, magnetizzatore e sonnambulo». La penso esattamente come lui.
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052 — Baudelaire centra il bersaglio conquistando il massimo dei punti ne I paradisi artificiali, dove riprende e sviluppa ulteriormente la questione proposta in Del vino e dell'hashish.
Nel quinto capitolo, intitolato semplicemente “morale”, si legge: «Ammettiamo per un istante che l'hashish dia, o almeno accresca, il genio; ma essi dimenticano che è nella natura dell'hashish indebolire la volontà e che pertanto esso concede da una parte ciò che toglie dall'altra: in altre parole, dà immaginazione senza la facoltà di trarne profitto. Infine, pur supponendo un uomo abbastanza accorto e vigoroso per sottrarsi a questa alternativa, bisogna pensare a un altro pericolo, fatale, terribile, che è quello di tutte le assuefazioni; tutte si trasformando rapidamente in necessità».
Ecco, infine, il dardo più appuntito di tutta la serie: «Chi avrà fatto ricorso a un veleno per pensare, ben presto non potrà più pensare senza veleno. Immaginate la sorte spaventosa di un uomo la cui immaginazione paralizzata non sa più funzionare senza l'aiuto dell'hashish o dell'oppio?».
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053 — Di solito son portato a buttarmi a capofitto dentro alle provocazioni, da qualsiasi parte esse arrivino, come se fossero piscine, laghi, mari, oceani; nuotarci dentro spesso mi rafforza, mi corrobora, ma devo stare attento a non sperperare inutilmente le mie energie, perchè il rischio è quello di annegare appresso a polemiche inutili.
A Barberau, che Baudelaire presenta, tra l'altro, come esperto di teoria musicale e professore al conservatorio, replicherei (nell'ennesimo atto del nostro dialogo immaginario) che, purtroppo, entusiasmo e volontà sono elementi necessari, ma talvolta non sufficienti (formula che la mia professoressa di matematica ripeteva quasi all'infinito durante i cinque anni al liceo...) per raggiungere le vette in ambito poetico-musicale e artistico in generale e, a maggior ragione, nella ricerca delle beatitudini spirituali.
In realtà poi sappiamo bene, nel senso che ne abbiamo parlato in precedenza, che i Sufi (i mistici nel mondo arabo) e anche i mistici indiani nel continente asiatico, ricorrevano alla canapa e all'hashish per avvicinarsi alla dimensione divina dell'esistenza e, in particolare i secondi, ricorrevano a quella pozione magica chiamata Soma, di cui si è persa, in buona sostanza,la ricetta originale.
Si può ben dire che la pianta della marijuana, così come gli ingredienti che componevano il Soma (ma vale, per esempio, anche per l'Ayahuasca), siano assolutamente naturali; di artificiale, se proprio vogliamo continuare ad utilizzare questo termine, c'è solo la loro preparazione, ovvero gli interventi da parte dell'essere umano, finalizzati ad un consumo migliore, ad un'assimilazione ottimale dei vari principi attivi.
Succede lo stesso, credo, con la preparazione (lavaggio, pulitura, sbucciatura, taglio e cottura di frutta e verdura, ad esempio) dei cibi e delle pietanze con cui nutriamo il nostro corpo.
In più, le varie molecole, partendo dal THC e dal CBD presenti nelle infiorescenze delle piante femmine di canapa indiana, sino ad arrivare alla psilocibina contenuta nei cosiddetti funghi sacri (o magici, che dir si voglia...) non risultano incompatibili, o totalmente alieni, con quel meccanismo fantastico che è il nostro sistema nervoso centrale, con il nostro cervello.
Anzi, sembra quasi (a studiarne la conformazione chimica) che il nostro cervello sia ottimamente predisposto (se non da dio dalla stessa natura, fonte creatrice dell'esistente), per combinarsi, per sposarsi con le sostanze in questione.
La natura (o dio stesso, a seconda delle preferenze) ha creato chiavi e serrature, in abbondanza, per permetterci, in definitiva, di spalancare le porte della nostra percezione in favore di una visione più ampia, che potremmo definire tranquillamente come extra-ordinaria.
Beati, nel vero senso del termine, coloro che riescono a raggiungere i regni dei cieli senza nessun intervento esterno, a patto che questo non diventi una condanna per tutti gli altri.
Beati, nel vero senso del termine, coloro che riescono a placare i morsi della fame (e ad ottenere tutte le energie per venire a capo delle giornate) attraverso l'ingestione di tre mandorle soltanto; beati coloro che resistono ai digiuni e alle astinenze più severe senza troppe difficoltà, a patto che questo non si tramuti in una condanna nei confronti di chi, per sopravvivere, ha assoluto bisogno di mangiare, da solo, tre maiali a pranzo e tre agnelli per cena.
Ancora una volta: con i giudizi assoluti si rischia di sollevare soltanto il polverone della polemica, e nient'altro...
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054 — Da buon anti-proibizionista mi sento di chiudere la questione con un invito: «che ognuno raggiunga la propria salvezza con gli strumenti e i metodi che ritiene più opportuni».
Del resto la dispensa è abbondantemente assortita per soddisfare e venire incontro ai gusti e alle esigenze di ciascuno di noi.
C'è chi si fodera di antidolorifici (chimici-artificiali o di origine naturale, poco cambia) al comparire di una semplice emicrania, ma c'è anche chi riesce a farsi cucire una ferita senza analgesici e, soprattutto, senza concedersi nemmeno un lamento.
Durante una bellissima chiacchierata con D, andata in play alcuni anni fa, eravamo giunti alla conclusione (nonostante lei non avesse, almeno sino a quel momento, mai fatto uso di droghe) che di fronte al dolore (prendendo in esempio una seduta dal dentista) sarebbe stato da imbecilli rifiutare una buona dose di anestetico.
Per i miei due amici francesi (Baudelaire e Barberau), invece, le droghe sono delle scorciatoie per furbi, ma entrambi sembrano ignorare, e ci tornerò meglio tra poco, che per percorrere certe scorciatoie (tradotto: fare uso in maniera proficua delle varie sostanze) occorre una preparazione adeguata, una certa consapevolezza, se davvero si vuole arrivare alla meta, se davvero si vuole evitare il rischio, sempre presente, di cadere in una voragine senza fondo.
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055 — Di nuovo: che ognuno limiti le proprie carenze, le proprie mancanze, con gli strumenti più idonei.
Di che vergognarsi?
Magari il nostro Barberau, sempre che il modo in cui lo dipingono corrisponda alla realtà, da buon professore di conservatorio che si rispetti, non si sorprenderà affatto se il sottoscritto è riuscito ad arrivare alla rispettabile età di 33 anni aggrappandosi letteralmente, con la furia di un disperato, ad uno dei prodotti artificiali (questo si) creati dall'essere umano: la musica.
Sono sicurissimo che senza lo sfogo vitale rappresentato dal complessino metal-hard core di cui ho fatto gioiosamente parte per quindici anni, probabilmente avrei corso seriamente il rischio di finire sotto ad un treno in corsa.
Proprio per questo mi sento in dovere di ringraziare le persone che mi hanno aiutato, attraverso il loro impegno e la loro passione, a raggiungere, in maniera così limpida e intensa, quella che i greci chiamavano catarsi.
Nessuno, penso, si sognerebbe di trattarmi al pari di un codardo, ma le cose mutano aspetto rapidamente, a quanto pare, se sostituisco chitarre, basso e batteria con 300 micro-grammi di acido lisergico.
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[Ancora a proposito della musica]
056 — Barbereau, mi piace pensarla così, non si sarebbe affatto stupito delle innumerevoli testimonianze, anche piuttosto autorevoli, che arrivano, puntualmente, da parte di tantissimi artisti (musicisti, soprattutto, ma non solo) pronti ad ammettere, senza nessun imbarazzo, che le varie sostanze, se assunte nelle modalità corrette, possono fungere da fertilizzante per i processi creativi.
A questo proposito, ho già avuto modo di riportare il punto di vista del clarinettista e compositore musicale Mezz Mezzrow, ma l'elenco potrebbe essere lunghissimo, e si capisce.
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[A proposito dei geni e dei filosofi]
057— Sto cercando di capire, e la soluzione al quesito mi sembra ancora piuttosto lontana, quali siano le condizioni, le dinamiche che permettono ad un genio, ad un filosofo, di germogliare, di fiorire, di esprimersi in maniera così imponente.
Non credo (ancora con lo stesso ritornello) che ci sia una ricetta universale.
Probabilmente un ruolo fondamentale lo gioca l'ambiente in cui nasciamo e in cui ci troviamo a crescere e, dunque, a vivere. Mi sembra piuttosto ovvio che ci siano contesti, situazioni più ricche di input, di stimoli, rispetto ad altre, a livello affettivo ma soprattutto culturale.
Probabilmente un ruolo fondamentale lo ricoprono i vari insegnanti e maestri che incontriamo negli anni della nostra formazione, oltre alla nostra tenacia (senza di essa risulta tutto tremendamente più difficile...) nell'applicarci allo studio e alla pratica delle discipline che più ci appassionano.
Cosa ne sarebbe stato di Platone senza gli insegnamenti di Socrate?
Che ruolo hanno giocato i compagni di cricca (e di studio...) di Platone e Aristotele per il sorgere e il consolidarsi dei rispettivi sistemi filosofici?
C'è chi sostiene, inoltre, che gli stessi Platone e Aristotele siano entrambi stati iniziati (come successo, del resto, ad altri loro colleghi e ad altri protagonisti della scena politica e religiosa dell'antica Grecia) ai cosiddetti Misteri di Eleusi, dei riti che venivano conditi a dovere con il famigerato Kykeion, bevanda magica di cui, proprio come successo con il Soma, non si conoscono con precisione gli ingredienti, anche se c'è qualcuno, vedi Albert Hofmann, che ha avanzato più di un sospetto in questo senso...
Detto per inciso: l'apice, il momento più importante dei Misteri di Eleusi, consisteva in una vera e propria epifania (tradotto: rivelazione): si entrava direttamente in contatto con le verità più intime e segrete che riguardano la vita sul pianeta terra e la natura dell'universo stesso.
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[A proposito dei geni e dei filosofi pt.2]
058 — Se è vero che ciascuno di noi parte inevitabilmente da una base di talenti, è altrettanto vero che questi talenti, attraverso le pratiche più disparate, possono essere amplificati ed esaltati, oppure sepolti e soppressi.
Secondo M., con cui mi sono confrontato di recente sulla questione, un ruolo fondamentale in questo senso viene ricoperto proprio dal dolore: il padre di Arthur Schopenhauer morto suicida quando il figlio ha quattro anni, ad esempio; Baruch Spinoza esiliato dalla sua comunità di appartenenza; le tremende emicranie croniche di Federico Nietzsche, unite alla sua paura di impazzire (proprio come capitò al padre) e alla ben nota difficoltà di instaurare relazioni interpersonali; la depressione profondissima in cui cadde Michel Foucault negli anni dell'adolescenza e i conseguenti tentativi di suicidio.
Come ritiene Aristotele, a proposito dei Riti Eleusini, «gli iniziati non devono apprendere ma patire e trovarsi in una certa disposizione, evidentemente perchè vi sono già predisposti...»
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[Ancora sui geni: Steve Jobs e l'LSD]
059 — Del resto, è stato lo stesso Steve Jobs ad aver dichiarato, come si evince dalla lettura della sua auto-biografia, che una delle esperienze più importanti della sua vita è stata una sessione con l'LSD, ai tempi del college. Fu proprio durante quel viaggio che l'americano riuscì a pescare alcune intuizioni fondamentali che poi lo portarono alla creazione della Apple.
Venuto a conoscenza della questione, attraverso una lettera scritta proprio dallo stesso Jobs, Albert Hofmann invitò l'americano a parlarne pubblicamente, nella speranza che il clima di ostilità e di diffidenza nei confronti del farmaco scoperto dallo stesso medico svizzero potesse finalmente affievolirsi.
Ma da quanto veniamo a sapere, Jobs proprio non se la sentì di lanciarsi in dichiarazioni che l'avrebbero portato inevitabilmente a scontrarsi, tra l'altro, con il governo degli Stati Uniti, protagonista, da decenni, di una accesissima campagna proibizionistica.