[Sulla creatività pt.1]
020 — Man mano che approfondisco i miei studi, mi sono reso conto che rimane ancora in piedi un dibattito, incominciato in Europa già negli scorsi due secoli (come minimo), sul ruolo che sostanze come marijuana o LSD avrebbero nell'economia dei nostri processi creativi.
Per alcuni, le sostanze non sarebbero di nessun aiuto né per l'ispirazione, né per l'improvvisazione e né, tanto meno, per la produzione di materiale artistico o scientifico.
Lo sballo, a prescindere dalla sostanza utilizzata per raggiungerlo, impedirebbe qualsiasi tipo di attività all'individuo, concedendogli esclusivamente un placido naufragare nel mare del nulla, del non-pensiero. Questa tesi è sostenuta, tra gli altri, dal famoso scrittore italiano che si firma con lo pseudonimo di Wu Ming1.
Ispirazione e creazione artistica sarebbero da intendere come processi tecnici, che possono essere portati a compimento con successo solo a mente lucida.
Sull'altro piatto della bilancia, però, pesa (e tanto!) il parere, la testimonianza di tutti coloro che affermano (basandosi sulla loro esperienza diretta) come le varie sostanze giochino un ruolo fondamentale nel propiziare, nell'agevolare i vari processi creativi.
Sui vantaggi, in termini di ispirazione e creatività che dottor Hofmann ricavava dall'assunzione di micro-dosi di LSD ho già parlato in precedenza; sull'esperienza di Baudelaire all'interno del Club des Hashischins, un circolo di letterati e intellettuali dediti all'esplorazione delle esperienze e delle allucinazioni prodotte dalle droghe (prime fra tutte l'hashish, per l'appunto) che si ritrovava spesso all'Hotel de Lauzun, dirò meglio in seguito; per il momento mi sembra utile ricordare come I fiori del male, la ben nota raccolta di poesie composta proprio dal francese, siano stati prodotti, anche, grazie al supporto fornito dall'alcool contenuto nel vino e nell'assenzio.
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[Sulla creatività pt.2]
021 — Potrei stilare una lista piuttosto lunga di rapper che costruiscono i loro celebri giochi di parole con l'ausilio della marijuana, ma a questo giro preferisco riportare testualmente la testimonianza fornita da Mezz Mezzrow (noto clarinettista, sassofonista e direttore d'orchestra statunitense) nel suo Questo è il blues, a proposito della sua prima volta...
«Appena finita la “sigaretta”, ritornai sulla piattaforma (che fungeva da palco): tutto sembrava normale e cominciai a suonare come al solito. Passai qualche sigaretta agli altri ragazzi e attaccammo un nuovo numero. La prima sensazione strana la avvertii quando mi parve di sentire il sassofono risuonarmi dentro la testa; mentre non riuscivo quasi più a sentire la banda che mi suonava alle spalle. La musica di tutti gli altri strumenti pareva mi giungesse da lontano: era la stessa sensazione che si prova quando ci si riempie le orecchie di cotone e si parla ad alta voce. Poi cominciai a sentire le vibrazioni dell'ancia contro le labbra molto più forti di prima e intanto la testa mi ronzava e mi vibrava come un altoparlante. Però mi accorgevo che suonavo molto più facilmente, che modulavo ogni frase col sentimento esatto: mi sentivo straordinariamente ispirato. Tutte le note sgorgavano con familiarità dal sassofono come se fossero state pronte da tempo, ben oliate e incastrate nello strumento, come se il mio lavoro consistesse semplicemente nel soffiarvi dentro un poco per farle uscire fuori, una dopo l'altra, senza mai sbagliare un accordo, senza essere in ritardo con il ritmo. Tutto senza ombra di sforzo. Le frasi sembravano legarsi meglio e io seguivo il tema principale senza allontanarmene mai. Mi pareva che avrei potuto continuare per anni, senza mai esaurire le idee né l'energia. Cominciai a sentirmi molto felice, molto sicuro di me stesso. Con quel magico sax avrei potuto sottomettere tutte le cose malvagie e comporle in un'armonia perfetta, versando sul mondo pace, gioia e riposo. Cominciai veramente a predicare col mio sassofono l'età dell'oro, a guidare tutti i peccatori verso un'era di gloria e di felicità. […] La marijuana produce dei curiosissimi effetti: le prime volte che cominciate a fumarla vedete tutto il mondo sotto una luce nuova che vi placa, vi diverte. Improvvisamente il mondo si libera dal suo lurido mantello grigio e diventa una sola grande risata, una risata isterica; un mare di brillanti colori vi colpisce come un'onda di calore. Nulla vi lascia più indifferente, in ogni più piccola cosa vi è un senso riposto che vi fa ridere: nel fruscio del mignolo del vostro vicino, come nel rumore che produce un bicchiere di birra urtato. Tutti i vostri pori si aprono, i nervi si distendono, affamati e assetati di nuove impressioni, di nuovi suoni, di nuove sensazioni, e ogni sensazione che vi colpisce è la più straordinaria che mai abbiate provato. Nulla vi sazia e vorreste ingoiare l'intero, dannato universo come un semplice aperitivo. Le prime volte, amici miei, le prime volte si gode...
[…] Un suonatore di jazz, poi, raggiunge la vera sfera dell'arte ed è per questo che tanti di noi fumano la marijuana. Sotto l'azione della marijuana nulla può intralciarvi: attingete a quel senso di sicurezza e potenza perchè da veramente la felicità”.
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022 — L'unica considerazione che mi sento di aggiungere a quanto appena riportato è che le esperienze con le sostanze psicotrope sono estremamente soggettive: gli effetti delle cosiddette droghe cambiano da persona a persona, ed è difficilissimo in questo senso esprimersi in maniera assoluta. Ciò che mi sento di poter affermare con certezza è che le sostanze psicotrope interagiscono con la nostra coscienza, con la nostra personalità, portando alla luce ora alcune caratteristiche comportamentali, ora tendenze di segno anche diametralmente opposto rispetto a quelle che emergono, generalmente, al naturale.
Facile chiudere la questione prendendo in prestito, ancora, la testimonianza di Mezz Mezzrow: «Ci accorgemmo che la marijuana possedeva qualità afrodisiache, che erano ben lontane dal dispiacerci. Vivevamo in un'altra sfera, su di un altro pianeta, specie se ci paragonavamo ai musicisti che continuavano a poppare dalle bottiglie ed erano sempre disposti a ingurgitare strane misture, salvo poi mostrarsi villani e screanzati, appena erano ubriachi...»
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[Sul consumatore di sostanze psicotrope come deviato]
023 — Lo ammetto: faccio un'enorme fatica ad accettare il fatto che, per drogarmi, devo nascondermi dagli sguardi della gente comune, prima ancora che da quello degli sbirri, anche se mi rendo conto, come accennato peraltro in precedenza, che ci siano dei posti più adatti di altri in cui raggiungere l'ebrezza.
Ammetto, anche, che ancora mi capita di scegliere luoghi, contesti e situazioni non proprio ottimali dove mando in play i miei esperimenti, anche se resto fermamente convinto del fatto che siamo anche noi, con il nostro atteggiamento e il nostro comportamento, a modificare, ad influenzare e ad incidere sul contesto e la situazione in cui siamo di volta in volta inseriti.
A questo proposito, sono illuminanti, nuovamente, le parole di Mezz Mezzrow:
«Chi fumava la marijuana era giunto alla conclusione che essa non creava un'abitudine e che non era uno stupefacente. E siccome non c'era nessuna legge che la proibisse, la fumavamo all'aria aperta, come una Camel o una Chesterfield. Per noi la marijuana non era né più dannosa né più pericolosa della Coca-Cola e del cono gelato».
Come ho già avuto modo di affermare all'inizio della mia ricerca, chi si concede una fumata d'erba, a prescindere dai motivi che effettivamente lo spingono a tale pratica, non dovrebbe sentirsi come un deviato, un errore da correggere, un malato da curare ed aiutare.
Sarebbe ora di smetterla con i sensi di colpa e di vergogna: aspirare i vapori prodotti dalla combustione delle infiorescenze della pianta della marijuana è cosa assai diversa, per fare un esempio, di seviziare un bimbo indifeso.
Del resto, come ci ricorda Kaveh, «la droga è sempre esistita. Da sempre si è incastrata tra le trame spirituali dell'uomo. Intere popolazioni hanno dato alla droga un ruolo centrale all'interno della propria cultura e della propria organizzazione sociale, ritualizzandone l'uso a fini religiosi, spirituali e magici».
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024 — Per questo è facile credere, sulla scorta di quello che sostiene, tra gli altri, Antonio Escohotado nel suo Piccola storia delle droghe, che «verso il 1900 tutte le droghe conosciute sono disponibili in farmacia e in drogheria e si possono anche ordinare per posta direttamente al fabbricante. Questo accade a livello mondiale: sia in America che in Asia che in Europa la pubblicità che accompagna questi prodotti è tanto libera e intensa quanto quella di altri prodotti in commercio, per non dire altro. Ci sono senza dubbio dipendenti da oppio, morfina ed eroina, ma il fenomeno nel suo insieme, i consumatori moderati e immoderati, richiama poco l'attenzione dei giornali o delle riviste e per niente quella dei giudici e della polizia. Non è argomento giuridico, politico o di etica sociale».
Di li a poco, però, le cose si sarebbero terribilmente complicate, soprattutto (sempre secondo Escohotado) grazie alla spinta determinante che partiva dagli ambienti puritani, radicati negli Stati Uniti d'America. Se in passato dunque, le crociate intraprese dall'uomo bianco erano principalmente finalizzate al controllo della produzione e della diffusione delle varie sostanze (a partire dall'oppio, con la celebre guerra intrapresa dagli inglesi contro i cinesi che prende per l'appunto il nome dalla pianta in questione, arrivando poi alla coca e alla pianta della marijuana), dai primi anni del '900 l'attenzione si focalizza sui consumatori, classificati per etnia, estrazione sociale e per il tipo di sostanza utilizzata.
Se in un primo tempo la prescrizione delle droghe, considerate alla pari di tutti gli altri farmaci presenti sul mercato, era riservata a dottori e farmacisti, in breve tempo si assiste ad una sorta di scippo perpetuato dalle varie élite politiche, sul diritto di cedere-vendere-rendere disponibile le varie droghe agli individui che le richiedono.
La politica quindi si erige a garante, custode (buona) della coscienza, in una campagna che parte con il pretesto di difendere la comunità umana dal pericolo che le droghe rappresentano, in quella che ha tutta l'aria di una mastodontica impresa di sterilizzazione del corpo sociale. L'atmosfera che a tale proposito si respira ancora oggi giorno rende benissimo l'idea sul modo in cui le cose si sono sviluppate...