“Prima di tutto occorre essere consapevoli del fatto che le situazioni che spingono verso questo tipo di consumo sono numerose, se non infinite, e soprattutto personali”
A. Kaveh – Fare di tutta l'erba un fascio
004 — Prendo in prestito le parole di Afshin Kaveh, che utilizzerò come se fossero un trampolino con cui tuffarmi nel cuore della questione. Non posso fare altro, dunque, che partire dal mio personalissimo caso.
Una cara persona che ho frequentato in una delle mie vite precedenti, così mi piace definire il mio passato, mi ripeteva spesso che, secondo lei ovviamente, io sono una sorta di predestinato per questo gioco.
Il primo incontro, in assoluto, che ho avuto con le sostanze stupefacenti è avvenuto quando avevo 19 anni, nel quartiere libero di Christiania, a Copenaghen, con la capitale della Danimarca che è stata la primissima tappa del viaggio in treno, in giro per l'Europa del nord, che mi regalai dopo aver conquistato, non senza patimenti, il diploma del liceo. Christiania è stato, tra l'altro, il posto dove ho mangiato il mio primo panino con i felafel, ma questa è un'altra storia ancora.
Ciò che ricordo con immenso piacere, tanto che è ancora disponibile nella mia memoria il fotogramma della scena, è la prima manciata dei cosiddetti funghi allucinogeni che atterrano sul palmo della mia mano; non sono riuscito, invece, a salvare nessun dettaglio, nessun particolare fisionomico della donna che pescò la dose (per me e per gli altri miei quattro compari di avventura) da una vaschetta che conteneva decine e decine di quei frutti divini, meravigliosi e miracolosi.
So solo che ci chiese se si trattasse della nostra prima esperienza, so solo che ci trattò con estrema cura.
La prima volta è sempre particolare: l'entusiasmo per la novità va a scontrarsi con l'inesperienza.
A distanza di quasi vent'anni, posso dire che il modo migliore per assumere i funghi, per quanto mi riguarda, è chiaro (il resto della popolazione umana mondiale è libero di comportarsi come meglio crede), non è di sicuro quello di ficcarseli in bocca, e in pancia, subito dopo aver sbranato 200 grammi di pasta al tonno. Se proprio devo dire come la penso, molto meglio calarseli a stomaco vuoto, magari dopo un bel digiuno preparatorio di 24 ore, accompagnati nel caso da tre o quattro fave di cacao. Ma all'epoca non avevo ancora letto le centinaia di pagine dalle quali ho succhiato tutte le informazioni di cui mi servo ora.
Eppure, nonostante il pasto abbondante, irrorato da due litri di Coca-Cola, la natura si dimostrò piuttosto benigna nei miei confronti. Una volta in tenda, io e quello che considero ancora come il mio fratello acquisito, uno dei regali più belli che ho ricevuto da questa vita, siamo stati letteralmente invasi da una scarica di risate contagiose e incontrollabili, che di fatto, ho scoperto poi con il tempo, è uno dei primi segnali, dei primi sintomi, dei primi effetti provocati da quella bizzarrissima intossicazione.
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005 — A conti fatti, credo di essere sempre stato un animale dotato di una vivace curiosità, e proprio questa mia curiosità mi spinse, tre anni dopo, a volare verso la città di Amsterdam (dove i funghi erano legali e venduti liberamente al dettaglio negli smart-shop), con il chiarissimo intento di vederci più chiaro, di farmi un'idea un tantino più precisa sulla faccenda.
Credo che questa sia stata, in realtà, la mia vera prima volta: la prima vera volta in cui la mia mente ed il mio ego venivano letteralmente spazzati via dalla droga.
Chi riduce un'esperienza con quel tipo particolare di sostanze soltanto agli aspetti piacevoli che si possono provare (anche Kaveh sembra cadere in questa tentazione quando scrive: «una cosa però accomuna questa lunga schiera di motivazioni: il piacere») corre il rischio di dimenticare che ogni medaglia ha due facce.
Dall'idea che mi sono fatto, non si può raggiungere l'estasi senza pagare un piccolo pegno (ma comunque doloroso) al banco dei tormenti...
Come è vero che per rinascere, per provare quel particolare stato di beatitudine, per sentirsi puliti come un lenzuolo appena lavato, occorre necessariamente morire un po', finire all'inferno e assaggiarne le pene, venire centrifugati e martoriati.
Le prime 3-4 ore di quel viaggio furono l'esatto contrario di qualcosa di piacevole: il mio cervello continuava a spurgare fuori, senza soluzione di continuità, incubi e angosce, dense e nerissime, come mai mi era capitato prima di allora.
C'è un esempio che mi piace fare per dare un'idea precisa di quello che ho provato, anche se mi rendo ben conto che il paragone viene condito con una salsa piuttosto amarognola, ma è così, in fin dei conti, che girano le cose nella mia taverna.
Le sensazioni che ho provato nel primo tempo del mio viaggio con i funghi sono state di gran lunga più orribili di quelle che ho vissuto, circa cinque anni più tardi, nel vedere il corpo senza vita di mia mamma, disteso nel letto di una stanza in un hospice.
Per fortuna, mi ripeto spesso, la natura si è rivelata (ancora una volta) estremamente benigna nei miei confronti, tant'è che il secondo tempo del film si è manifestato con modalità umorali diametralmente opposte. Ricordo che stavo sdraiato su di un tappeto e, per la prima volta in vita mia, il coro di ossessioni e di negatività varie e assortite, che rimbombavano da anni e anni nelle pareti della scatola cranica, si era spento, quasi per magia.
Fui invaso da un oceano di serenità: shanti, è così a quanto pare, seguendo la traccia scovata tra le pagine della Filosofia Perenne scritte da Aldous Huxley, che gli indiani chiamano la calma che si manifesta senza nessuna motivazione particolare.
Uno dei più grandi e bei regali che l'Universo ha saputo donarmi.
Per la prima volta in assoluto in vita mia mi sono sentito accettato, dopo anni e anni in cui montava, dentro di me, la convinzione di essere, irrimediabilmente, un tassello incompatibile con il resto del mondo.
Rincaro la dose, in quanto credo sia una delle mie specialità: capisco bene che buttarsi in pancia 25 grammi di funghi allucinogeni freschi possa essere considerata da molti di voi una pratica a dir poco controversa, ma per ottenere effetti simili (ovvero: l'interruzione momentanea del flusso della paranoia) in passato, per buona parte della mia adolescenza, ricorrevo alla lama della mia adoratissima taglierina che, tra le altre cose, conservo ancora.
Ma per fortuna (e sottolineo il: per fortuna) sono riuscito a sostituire le scarificazioni (auto-lesionismo, a voler usare l'odioso gergo degli strizzacervelli) con i tatuaggi e soprattutto con l'utilizzo delle varie sostanze che la natura, ancora e nonostante tutto, gentilmente ci mette a disposizione.
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[Approccio filosofico]
006 — Più ci (ri)penso e più mi convinco del fatto che gli studi che ho portato avanti presso la facoltà di Filosofia dell'università di Cagliari siano stati uno strumento fondamentale, una sorta di bussola, per non smarrirmi (troppo) durate le sessioni (alternative) di auto-esplorazione della mia parte conscia e (soprattutto) della mia parte inconscia che sono riuscito a mettere in piedi, all'inizio in maniera sporadica e poi, via via, (grazie a Dio, mi verrebbe quasi da dire), a cadenza regolare in questi ultimi quindici anni.
Se nella mia vita ci fossero state solo le sostanze, senza gli studi e le letture, credo che avrei corso seriamente il rischio di (auto-)distruggermi; le sostanze hanno un'enorme personalità, un ascendente che può diventare letale, soprattutto per noi moderni, soprattutto per noi moderni a tinte bianche, anche se non ne farei una questione di colori, in verità.
Allo stesso tempo, però, i soli studi e le sole letture (purtroppo?) non sarebbero assolutamente bastati per permettermi di modificare, in profondità, tutta la serie di aspetti, fisiologici e psicologici, che caratterizzavano il vecchio me stesso. Per sradicare alcune brutte abitudini, per disattivare alcune tendenze e svariati condizionamenti, collezionati già a partire dalla mia infanzia, è stato necessario ricorrere a una grossa quantità di energia, recuperata da sorgenti esterne, si capisce, perchè la mia buona volontà, che è un ingrediente comunque assolutamente necessario, sarebbe risultata però insufficiente per iniziare e portare avanti un'opera di tal genere.
Poi, certo, si sa come appaiono certe trasformazioni agli occhi della gente: per qualcuno mi sono semplicemente fritto il cervello ed ero decisamente da preferire nella mia configurazione precedente; altri invece, pur trovandomi un essere bizzarro per via di certi miei comportamenti e per certe scelte, riescono ad approcciarsi a me senza ribrezzo...
Ribrezzo che avrebbero provato, ne sono quasi certo, se mi avessero conosciuto, per dire, nei magici anni della mia adolescenza piuttosto inquieta.
Periodo che potrei riassumere tranquillamente con la citazione di Georges Bataille, tratta da Il Morto:
“...ma vuotava senza tenerne conto, vuotava la vita nella fogna...”
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[Approccio filosofico pt.2 ]
La mente non è un vaso, del resto: non necessita di essere riempita; essa, piuttosto, come legna vuole del combustibile, per innescare l'impulso inventivo e lo sforzo verso la verità.
Plutarco – L'arte di ascoltare (e di tacere)
007 — Una delle cose che maggiormente apprezzo, tra gli innumerevoli effetti prodotti dalla marijuana (ma vale anche per tutte le altre sostanze che fanno parte della grande famiglia dei cosiddetti psichedelici) è la capacità che ha di agevolare la riflessione, la speculazione.
La considero come un catalizzatore dei miei processi mentali, come se fosse del lievito, come se fosse un ingrediente capace di dare forma nuova ai pensieri.
In questo senso, tutte le storie, le nozioni, i concetti che mi ficco dentro al cranio, quasi senza nessuna pietà, sono gli elementi base (farina, latte, uova...) con cui confeziono (la torta de) i miei ragionamenti.
Ma gli elementi base rimarrebbero, spesso e volentieri, ad un livello povero se non fossero attivati dalla molecola del THC.
Giusto per citare una personalità più autorevole di me: dottor Albert Hoffman, morto alla veneranda età di 103 anni (siamo sicuri che le cosiddette droghe facciano male alla nostra salute a prescindere?), membro della commissione che presiede all'assegnazione del Premio Nobel, ripeteva spesso che delle piccolissime dosi di LSD (sostanza da lui stesso scoperta nel 1943) lo aiutavano a pensare meglio. Voi, ovviamente, siete liberissimi di non crederci...
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[Questione religiosa]
008 — Quello che sto per affermare, me ne rendo ben conto, potrebbe suonare parecchio strano, ma in questo mondo, a quanto pare, ci sono e ci sono state in passato persone che hanno, e hanno avuto, nei confronti delle alterazioni della propria coscienza, un rapporto simile a quello che i vivi generalmente hanno con lo stimolo legato alla fame e all'impulso sessuale: aspetti fondamentali dell'esistenza, da soddisfare, nella maniera più assoluta, per continuare a trascinarsi avanti lungo il cammino.
Tradotto: accedere alla dimensione altra della propria esistenza assume tutti i connotati di un bisogno primario, come il mangiare, il bere o le relazioni sociali e in particolare i rapporti sessuali.
A dire la verità, personalmente mi risulta più semplice, a questo punto della storia, digiunare per 48 ore di seguito e demolire completamente, sino a ridurli allo zero, tutti i miei rapporti interpersonali, anche per settimane e settimane; ma credo che difficilmente potrei mantenere e preservare la mia vitalità senza almeno un incontro settimanale con l'erba, con quella che io considero, ormai, come una vera e propria alleata, per i vantaggi che puntualmente mi regala (da un punto di vista fisico, riesce a cancellare la sensazione di stanchezza in cinque minuti netti; da un punto di vista psicologico, riesce ad estirpare le angosce e le paure in cinque minuti netti).
Proprio per questo cerco di coltivare il mio rapporto con la marijuana (e con tutti gli altri farmaci di cui mi servo) con tutta l'attenzione di cui sono capace, e spesso non è semplice. Mi comporto così proprio per non correre il rischio che la nostra relazione vada in frantumi.
Vado ghiotto per le storie che mi raccontano gli altri a proposito del loro utilizzo delle sostanze stupefacenti: molti subiscono, incassano lezioni così dure e amare che sono costretti a tagliare di netto la frequentazione, che è proprio l'epilogo che mi sto sforzando di evitare con tutte le mie forze.
Mi dispiace per tutti loro, insomma, ed è proprio per questo che credo fermamente che il consumo di queste sostanze potentissime debba essere accompagnato, per quanto possibile, da una buona dose di consapevolezza e da tutta una serie di accorgimenti che potremmo raggruppare sotto il massimo comune denominatore chiamato politiche per la riduzione del danno, ovvero tutte quelle strategie finalizzate a ridurre gli svantaggi e gli effetti collaterali e a massimizzare i vantaggi e i benefici derivati dal consumo delle droghe.
Fino a quando ci ostineremo a vivere questo rapporto con noncuranza e superficialità, dovremo continuare a mettere in conto danni, lacrime e dolori...
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[Questione religiosa pt. 2]
009 — Prendo per buono l'assist fornito, ancora, da Afshin Kaveh quando scrive: «La storia della droga è intessuta con la storia delle religioni, del credo, dello spirito, dei rituali religiosi e magico-religiosi».
Le sostanze psicotrope, a quanto pare, sono sempre state un veicolo efficacissimo per soddisfare un'esigenza fondamentale dell'individuo, se possiamo credere, come suggerito tra gli altri da Jung, che l'accesso alla dimensione religiosa e magica sia una delle prerogative dell'essere umano, una delle caratteristiche peculiari che lo distinguono dagli altri animali
Il bisogno di trascendere, di andare oltre la nostra condizione mentale ordinaria sarebbe radicato in profondità, nel nostro insieme psichico.
Negli ultimi 200 anni, soprattutto per quanto riguarda noi occidentali illuminati (dall'illuminismo), gli aspetti riconducibili all'esperienza religiosa sono stati letteralmente demoliti da dosi sempre più massicce di materialismo.
Per molti il nostro presunto a-religiosismo (più che ateismo) è un'autentica fortuna, una delle conquiste di maggior successo ottenute dall'uomo bianco: di conseguenza, l'utilizzo delle varie sostanze, con le relative esperienze, ha perso tutta la suggestione che possedeva in termini religiosi, in favore, unicamente, dell'aspetto meramente edonistico, ovvero del raggiungimento del piacere (fisico, principalmente) come fine ultimo dell'esistenza umana.
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[Ancora su religione e spiritualità]
010 — Il diffondersi del cattolicesimo (il cui sviluppo così massiccio è stato ottenuto anche e soprattutto tramite soprusi, persecuzioni e pratiche coercitive di rara violenza) ha contribuito a complicare la situazione: la chiesa, in un certo senso, detiene il monopolio (meglio: pretende di avere) della cura delle anime, affidata interamente ai propri funzionari.
Inutile ribadire il fatto che la chiesa cattolica non prevede assolutamente l'utilizzo di sostanze psicotrope per fini religiosi.
Per tanti, poi, l'esperienza religiosa coinciderebbe totalmente con i dogmi e i rituali catto-cristiani; il rifiuto di questi ultimi (che mi pare quantomeno legittimo), porta spesso, in maniera inevitabile, ad ignorare, a rifiutare a prescindere, tutta la vasta gamma di esperienze extra-ordinarie che, con un pizzico di impegno e di fortuna, è possibile esperire in questa vita attraverso il nostro corpo e la nostra mente.
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[Questione religiosa pt. 3: considerazioni sparse]
011 — Personalmente mi viene piuttosto difficile descrivere e comunicare agli altri, con parole povere, ciò che intendo con esperienza religiosa, nonostante abbia le idee chiare in proposito (almeno così mi sembra, almeno), sia grazie ai vari esperimenti significativi, collezionati in maniera diretta in questi ultimi dieci anni, e sia grazie alle pagine lette, che in un certo senso hanno confermato le mie intuizioni, le mie sensazioni a riguardo.
Generalmente con il termine esperienza religiosa si intende un contatto non mediato con un ente, con un'energia incommensurabilmente più grande rispetto a noi.
È quello che accade, grossomodo, quando ci sentiamo come un granello minuscolo di fronte alla potenza smisurata (e per questo terribile) della Natura.
Per i nostri avi, del resto, la Natura ha sempre avuto connotati se non divini, sicuramente sacri, e come tale, per l'appunto, veniva considerata.
Almeno fino a quando l'uomo non ha incominciato a raportarsi alla natura come se si trattasse di un paio di ciabatte vecchie.
Tra noi e la Natura, come tra noi e il resto del Cosmo, è stato scavato un solco: se prima c'era una sorta di armonia e di simbiosi, ora siamo passati a considerare il resto (il resto al di fuori di noi) come una mera risorsa, da sfruttare senza nessuno scrupolo, sino all'ultima molecola utile o, vale uguale, come un serbatoio di elementi ormai insignificanti, ininfluenti per le sorti delle nostre vite su questo pianeta.
Capita però di avere la fortuna di sentirsi, ancora e di nuovo, nonostante la nostra rigidissima forma-mentis (di cui siamo peraltro orgogliosissimi), come la minuscola tessera che fa parte di un mosaico infinito, infinito proprio come l'universo che ci circonda e, a pensarci bene, ci sovrasta.
Credo che il punto della questione, in sostanza, sia proprio questo: ormai abbiamo il terrore di occuparci, anche e solo di pensare, agli enti (la Natura, il Cosmo) che sono visibilmente più grandi di noi. Cerchiamo, al massimo, di controllare, di influenzare gli eventi, ma a parte questo, noi moderni preferiamo concentrarci esclusivamente sul nostro piccolo orticello: il lavoro, gli hobby con cui condiamo le ore delle nostre giornate, le schifezze con cui riempiamo le nostre pance, afflitte, come mai prima, da uno stato cronico e irreversibile di appetito insaziabile.
Pensare a questioni più complesse ci condanna inevitabilmente ai capogiri, alle vertigini.
Ci rifletto spesso: probabilmente sino a 200-300 anni fa si dedicava più tempo al rapporto con la natura e con le sue molteplici forme, alla contemplazione del cielo, del cosmo, dell'universo, rispetto a quanto non si faccia ora.
Mi pare piuttosto ovvio, del resto: attualmente viviamo con il muso e gli occhi schiacciati sopra ai nostri dispositivi telefonici; passiamo più tempo tra le stanze del mondo virtuale che abbiamo costruito, piuttosto che nel mondo reale.
Aristotele, ad esempio, al suo tempo ha cucinato la questione così: — Quale è mai, allora, lo scopo in vista del quale la natura e Dio ci hanno generati? Interrogato su questo, Pitagora rispose: «l'osservare il cielo», ed era solito dire di essere uno che speculava sulla natura e che in vista di questo scopo era venuto al mondo. E dicono che Anassagora, interrogato su quale fosse lo scopo in vista del quale uno poteva desiderare di essere stato generato e di vivere, rispose alla domanda: «l'osservare il cielo e gli astri che stanno intorno ad esso, e la luna ed il sole», come se non stimasse degne di nessun valore tutte le altre cose.
Sogniamo, in sostanza, cose completamente diverse rispetto ai nostri avi; abbiamo in testa ben altre questioni ed è normale che anche gli effetti delle varie sostanze sulla nostra psiche, sulle nostre fantasie, siano diversi.
Questo non significa che il modo di vivere, di stare al mondo di chi ci ha preceduto fosse automaticamente migliore del nostro, ma a me pare di provare, nonostante tutti i confort di cui dispongo, e senza i quali forse sarei già morto di stenti (ma poi non è detto!), una certa nostalgia per ciò che è stato...
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[Questione religiosa pt.4]
012 — Lo smarrimento che proviamo quando tentiamo di riflettere sui miliardi di forze e tensioni che animano la natura e l'universo è molto simile alla sensazione che ci accompagna quando proviamo ad affacciarci su quel pozzo senza fondo che è il nostro inconscio, considerando, poi, che per molti di noi l'inconscio manco esiste.
Anche in questo caso le droghe giocano un ruolo chiave, quando fanno emergere dal nostro profondo ricordi, sensazioni, suggestioni o intuizioni così potenti che rischiano di travolgerci e, proprio per questo, risultano non gradite.
Si tende generalmente a nascondere, a celare, in maniera più o meno volontaria, i nostri problemi più intimi, le contraddizioni, i traumi, come si fa con la polvere che si sistema sotto al classico tappeto.
Le sostanze, in effetti, contribuiscono a far emergere aspetti della nostra personalità, del bagaglio delle nostre esperienze, che non sapevamo nemmeno di possedere.
Per alcuni questa sorta di rivelazione è una risorsa preziosissima; per altri un vero e proprio dramma, da cui fuggire via come se si trattasse del male peggiore che ci possa capitare.
Per alcuni un faccia a faccia con i propri demoni è una sciagura da evitare nella maniera più assoluta, ma altri potrebbero uscire dal confronto con una visione più completa e più ricca della propria personalità, seppur con qualche bernoccolo in omaggio, che rappresenta in un certo senso il (piccolo) prezzo da pagare.
Per Jung, ancora, il confronto con la parte oscura della nostra personalità sarebbe, di fatto, un'esperienza religiosa, una delle più importanti che si possano avere nell'arco di una vita.
Una volta A. mi ha detto che per lui l'effetto provocato dalla marijuana equivale a quello che si prova ad uscire per una passeggiata con un buon* amic*, a cui racconti tutte le questioni più intime della tua vita, e da cui ricevi consigli preziosissimi, utili per farti guardare a quegli stessi fatti da un'angolazione diversa, da un'altra prospettiva che magari, da solo, non saresti mai riuscito a prendere in considerazione.
Personalmente la marijuana (come gli altri farmaci di cui faccio uso) mi permette di entrare in contatto con quello che Socrate chiamava il Daimon: la parte nascosta e saggia di noi, che può aiutarci a capire, a vedere i nostri sbagli, che ci può dare la convinzione e la determinazione per proseguire sulla nostra strada, anche quando, magari, non ci è rimasto più nemmeno un singolo barlume di fiducia.
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Considerazione: Probabilmente potrei ottenere i medesimi effetti andando a colloquio con uno psicologo (o psico-terapeuta, che dir si voglia) ma, parafrasando un rapper che seguivo sino ad alcuni anni fa, preferisco cedere i miei soldi al mio pusher di fiducia, “perchè così faccio felice più gente”...