067 — C'è davvero ben poco da girarci intorno, tant'è che se stessi seguendo un regime dietetico potrei quasi vantarmi per la mia condotta praticamente impeccabile: per giorni e giorni e giorni e giorni le mie uniche interzioni con gli altri vivi possono essere semplicemente riassunte nei trenta secondi netti nei quali scelgo il pane e consegno il corrispettivo in denaro alla commessa che lavora nel panificio affianco a casa, e nei tre minuti totali che mi servono per rifornirmi di frutta&verdura per circa 7-10 giorni, dai 3-4 pusher di fiducia che ho scovato in paese.
Per il resto trascorro le mie ore di riposo e raccoglimento in un posto piccolo quanto umile (così mi sento di poter dire), con 1700 mp3 a disposizione e un account su Spotify crackato, giusto per diluire il silenzio, più qualche buona decina di libri che attendono di venire letti, per non lasciare totalmente a digiuno il mio cervello.
Sempre per via della della dieta di cui sopra, faccio facilmente a meno di radio, cinema, teatro, TV, romanzi, film e telefilm, cosicché, in sostanza, gli unici dialoghi che entrano nel mio sistema (tradotto: nella mia scatola cranica) sono quelli che mi capita di mettere in piedi dal vivo, nelle situazioni più disparate.
Le parole che si imbucano nelle mie orecchie, le circostanze in cui mi trovo coinvolto, comprese quelle a bassissimo potenziale emozionale, sono il mio unico nutrimento in questo senso: assorbo tutto, come se fossi una spugna lasciata seccare per mesi nel caldo arido del deserto, o dell'inferno, se preferite. E ringrazio puntualmente l'Universo per quello che mi offre in termini di input e incontri.
Ogni tanto mi concedo un'overdose sociale: passo dallo 0 assoluto in cui generalmente mi trovo al 100 rappresentato dal sovraffollamento di una festa di un compleanno, o di un locale particolarmente frequentato in città, e la cosa mi regala molto spesso un mix tra un brivido che scorre elettrico lungo la mia colonna vertebrale e quel senso di vertigine, di capogiro che precede i collassi e gli svenimenti, cosa quest'ultima che sto incominciando ad amare profondamente.
Certo, come ogni cosa anche questo gioco presenta i suoi svantaggi: capita, per mia grossa fortuna piuttosto di rado, a dire il vero, che il mio cervello, la mia percezione del mondo e delle situazioni in cui mi trovo inserito vada completamente in tilt, soprattutto se provo delle emozioni molto forti: è come se sbucasse fuori il mio fratello gemello che prende il comando delle operazioni e per 30 secondi prende le scelte più scellerate e combina pasticci nella maniera più irrazionale possibile, per poi svanire nel nulla, lasciando a me l'onere di occuparmi dei cocci ormai rotti. Ma questa è un'altra storia ancora...
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068 — Con M. ci incrociamo spesso: mi capita di incontrarlo quando sto alle pietre, poichè lui segue alcune sue faccende, nello specifico si prende cura di un cavallo, in un cortile adiacente al laboratorio di Su Maistu, di cui, tra l'altro, è il nipote.
Di solito ci salutiamo e basta, e dal modo in cui mi guarda credo che mi ritenga un tipo piuttosto bizzarro, e credo di non potergli dare torto, sinceramente.
Un pomeriggio arrivo nella mia postazione preferita con l'intento di buttare giù qualche riga e lo trovo impegnato a scaricare dal suo camioncino, adibito per il trasporto di animali vivi, diverse balle di fieno su un piccolo rimorchio agganciato ad un altrettanto piccolo trattore.
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069 — Sei venuto a prendere il sole? — Mi chiede, quasi a bruciapelo, cogliendomi un tantino di sorpresa.
— Anche...si — rispondo. E in effetti le pietre sono un ottimo posto per godersi la luce buona e calda del pomeriggio. Poi aggiungo: — È uno dei miei posti preferiti qui in paese...
— È merito dell'energia che sprigiona il maestro — replica mentre sgranocchia una smorfia e una risata appena accennata.
Io invece non posso fare altro che ridere di gusto...
— Si, è una brava persona — gli dico. —Tu ci parli?
— Ma nooo!!! — mi sparacchia contro. — Lo lascio dire, per me è troppo strollico (che in sardo campidanese, alla lontana, corrisponde all'italiano “logorroico all'eccesso”).
Ed è così che mi aggiudico la seconda, grossa, buona risata nell'arco di pochi minuti.
Tutto grasso che cola, come si dice...
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070 — Nel frattempo che lui si occupa delle sue balle di fieno, io continuo a sporcare di grafite le pagine bianche del mio taccuino; così iniziamo a parlare, come succede spesso tra i vivi, del più e del meno.
Mi chiede se studio ancora all'università, così quando spetta a me ricambiare con la medesima curiosità, vengo a sapere che è arrivato soltanto alla terza classe delle scuole superiori, in un corso per perito informatico.
— Mi sono un po' pentito di aver mollato, ogni tanto ci ripenso, sono stato uno stupido...a volte ho anche la tentazione di iscrivermi alle scuole serali, ma dopo che finisco con il lavoro sono troppo stanco per pensare di poter prendere un libro in mano...
Così mi racconta di come si guadagna il pane: fa l'operaio in un noto complesso petrolchimico a circa 30 km dal paese, di proprietà, tra gli altri, di Massimo Moratti.
— Manutenzione degli impianti — precisa. — Utilizziamo le tute e le maschere dell'ossigeno...
Immagino di cosa si tratta, così non posso trattenermi dal chiedergli: — Ti piace il tuo lavoro?
— Mi piacciono i soldi — mi risponde, con un ghigno e la parlantina fluida degna del miglior rapper in circolazione...
— E ce l'hai un lavoro dei tuoi sogni? — rilancio, visto che ci sono.
— Si! Farei proprio questo! — esclama mentre infilza con il forcone l'ennesima, grossa balla di fieno giallo.
— Mi piacerebbe aprirmi un maneggio, ma per tirarlo su servono troppi soldi. Qualcosa come 250.000 euro.
Pensare di racimolare il gruzzolo con la sana pratica del risparmio è assolutamente fuori discussione.
Per fortuna esistono i surrogati pure dei sogni.
— Per ora sono riuscito a comprare questo furgone e mi do da fare nei fine settimana trasportando i cavalli alle fiere e alle gare...
Sale sul trattore e poco prima di iniziare un nuovo viaggio verso la stalla mi chiede: — Tu cosa fai?
— Sono caduto in piedi — gli rispondo subito dopo essermi levato la matita dalla bocca — scrivo...e alla fine come potrai immaginare non mi dispiace come cosa...
Anche se quello che mi permette di racimolare il cash non è proprio l'argomento più nobile e illuminato.
— È vero! Ora ricordo!
Ha un passato come centrocampista di fascia nella squadra locale di calcio.
— Vai ancora a vedere le partite?
Gli spiego che con l'avvento di FB e di tutti gli altri dispositivi informatici, le informazioni che mi servono per compilare le cronache del centinaio di partite di cui mi occupo settimanalmente mi arrivano direttamente a domicilio, così, se voglio, posso lavorare senza dover fare nemmeno un passo.
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071 — La domanda che arriva più frequentemente al centralino continua sempre ad essere, ancora dopo tre anni: «...e il cane non ce l'hai più?».
Seguita a ruota, soprattutto in quest'ultimo periodo, dall'interrogativo tutto nuovo di zecca: «...e un altro non te lo prendi?».
Anche con M. va in scena lo stesso copione.
Replico ai suoi “mi dispiace” di default, a proposito della dipartita del mio adoratissimo 4zampe, raccontandogli che comunque, nel suo piccolo, Cartesio ha trascorso un'esistenza principesca, considerando, tra l'altro, che la titolare del panificio che c'è proprio affianco a casa gli regalava un grissino avvolto nella mortadella, ogni giorno. Compreso l'ultimo,
— Era sempre con te... — Commenta giustamente M.
Già, gli sono stato affianco fino all'ultimissimo respiro.
Per il resto, non sono pochi in paese quelli che, forse stufi (o preoccupati?) di vedermi vagabondare costantemente da solo spingono, a modo loro, affinchè io mi faccia, quantomeno, un nuovo amico a 4zampe.
— Non posso prendermi un altro cane ora... — confesso a M. — perchè a metà maggio mi sposto dall'isola...
Mi lancia un'occhiata foderata di curiosità, come se volesse davvero sapere qualcosa in più.
Aggiungo due tesserine al puzzle.
—...vado in Sud America. Ho un biglietto per il Perù...
— Ma andrai in qualche isola?
Scuoto la testa in modo che il mio “no” gli arrivi chiaro e diretto.
— Perchè non vai alle Hawaii?
Continuo a non capire perchè M. mi voglia spedire su un'isola dopo che ho passato, in pratica, la mia intera esistenza, per l'appunto, su di un'isola.
— Di mare credo di averne visto abbastanza...
Così gli espongo, manco fossi un tour operator, le caratteristiche geografiche del Perù.
— C'hanno il mare pure loro, comunque, ma credo di essere interessato più alla foresta amazzonica, a dire la verità...
Ci pensa un po' su, mentre continua ad occuparsi delle sue balle di fieno.
— Li già ce ne sono piante di coca...
Poi si lascia scappare un “tzira!”, che dalle mie parti è un termine che esprime disgusto, ribrezzo assoluto per qualcosa.
— Uhm...in realtà la cocaina non piace manco a me...però avranno anche un po' di marijuana immagino...a te l'erba piace?
— Ne ho fumato in passato — mi racconta — ma poi ho smesso...
— Ci hai litigato?
— No, è che per il mio lavoro ogni sei mesi ci fanno il drug-test; guidiamo mezzi pesanti, dunque non me lo posso più permettere...
Il suo lavoro continua a piacermi sempre meno, ma comunque sia non è un problema mio, ovviamente.
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072 — Proprio quando sta per andare via, M. spara la sua ultima cartuccia.
— Tu in paese non esci, vero?
In realtà mi butto in giro per un po' di ore ogni santo giorno, ma capisco subito che sta mirando ad un altro bersaglio.
— Non mi piace tantissimo stare nei bar o nei locali...
— Sei un tipo solitario, diciamo...
— Sono stato fidanzato per quindici anni, ma diciamo che ora non faccio troppa fatica a stare da solo.
Eppure, parlare con le persone non mi dispiace affatto, e credo che ormai pure M. abbia in mano le prove sufficienti in questo senso.
— Quanti anni hai? — chiede infine.
— 41 — rispondo candidamente.
— Sei un pischello! — sentenzia. — E poi in Perù sarà pieno di peruviane, no?
Evito di aggiungere che la P R I N C I P E S S A di cui sono innamorato e per cui sto ingoiando tutte quelle centinaia e centinaia di chilometri non ha sembianze umane...
...perchè, tutto sommato, come primissimo discorso va già benissimo così...