Appunti sulla psico-geografia
042 — A conti fatti ho sempre amato alla follia frequentare i non-luoghi che ho scovato nel mio paese.
Per un lungo, lunghissimo periodo, prima di stabilirmi alle pietre, passavo le sere (e le notti) su di un ponte, un cavalcavia ferroviario che all'epoca era ancora chiuso al traffico tramite sei grossi blocchi di cemento.
Un ponte chiuso al traffico è un ottimo punto strategico: visuale ampissima su tutta la vasta pianura circostante e, soprattutto, la possibilità di trascorrere svariate ore senza incrociare lo sguardo di un'anima viva.
Lo confesso alle pagine bianche del mio taccuino: uno dei miei non-luoghi preferiti, qui in paese, è senza ombra di dubbio il cimitero, anche se mi rendo conto che per qualcuno (più di qualcuno...), la faccenda possa apparire drasticamente macabra.
Comunque sia: se quello che davvero cercate è un posto tranquillo e silenzioso in cui stare a riflettere, a meditare, magari in cui buttare giù qualche buona riflessione sulle pagine di un quaderno, non c'è niente di meglio di un cimitero durante le ore che, generalmente e comunemente, sono destinate al pranzo.
Dalle 13 alle 14, orientativamente, se siete capaci di mettere da parte per un po' le esigenze di pancia, lingua e gola, rischiate seriamente di essere gli unici vivi all'interno di uno spazio che, a seconda della prospettiva con cui lo si guarda e lo si attraversa, può risultare estremamente poetico.
Già, ci trovo una poesia sublime nei visi, nelle fotografie dei morti sopra le lapidi: la forma che attraverso la vita, e dunque attraverso le nostre scelte e le nostre azioni, diamo ai nostri corpi, ai nostri volti, mi ricorda le opere dei più grandi artisti nel campo della scrittura e della pittura.
Ci trovo qualcosa di meraviglioso, in quella carrellata di volti, di vite ormai passate...