"Poiché esiste la morte, il tempo è radicalmente relativizzato; tutto quanto facciamo qui non è altro che inventare giochi per passare il tempo".
John O'Donohue – Anam Cara
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001 — Le pietre non sono altro che tre lastre di trachite messe una sopra all'altra, come se fossero strati di soffice pan di Spagna.
In realtà appartengono a G. P., che io chiamo semplicemente Su Maistu, termine che in sardo campidanese significa "il maestro".
Su Maistu, con le pietre, ci lavora: strappa le sue creazioni da quella dura materia, con l'aiuto dello scalpello e del martello. In sostanza è uno scultore.
Le pietre giacciono proprio di fronte all'ingresso del suo laboratorio, nelle campagne ad est del piccolo paese in cui sono cresciuto e che ancora mi ospita.
Io, ormai, esco alle pietre già da alcuni anni. È così che sono entrato in contatto con Su Maistu.
E così, a furia di incontrarlo nello stesso punto, agli orari più improbabili, ho iniziato a parlare con lui.
Credo che ormai siamo “quasi” diventati amici: dico quasi perchè il concetto di amicizia, dalle mie parti, pesa parecchio, più del piombo, e vale tanto, più dell'oro. Un termine che va maneggiato con cura, dunque.
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002 — Le pietre sono uno dei miei posti preferiti, almeno qui in paese: ci vado a scrivere, a leggere, ci vado a meditare ma soprattutto ci vado a guardare il sole e la luna sorgere. In questo senso, credo che non potessi trovare un posto migliore per le mie osservazioni astronomiche.
Su Maistu, dal canto suo, mi ha messo subito a mio agio: — Vieni pure quando vuoi — mi ripete spesso — e se qualcuno dovesse romperti i coglioni, tu digli tranquillamente che sei mio ospite.
Di fronte alle pietre c'è un piccolissimo ponticello, sul quale transitano diverse persone, soprattutto la mattina, all'alba, o durante il pomeriggio: la maggior parte sono agricoltori che raggiungono i loro campi, a bordo di enormi e rumorosi trattori; non mancano però ragazze e signore, che passeggiano lungo la strada con l'intento di sgranchirsi un po' le gambe e tenersi in forma.
E così, con il tempo, le persone hanno incominciato ad associarmi con le pietre; ormai non percepiscono più la mia presenza come una stranezza, ma come una consuetudine.
Alcuni mi salutano pure con una discreta dose di entusiasmo e simpatia, ed io cerco di ricambiare le loro attenzioni in maniera altrettanto cortese.
Agli occhi di tantissimi miei compaesani non sono altro che un irrimediabile sciroppato che manda in scena i comportamenti più improbabili: la maggior parte del tempo libero, infatti, lo trascorro a gironzolare per strada da solo, come un cane randagio.
In pochi, pochissimi in realtà, sanno cosa tutto mi passa per la testa, quanti pensieri sfrecciano come tir nelle autostrade neuronali del mio cervello. In pochissimi sono al corrente delle attività a cui mi dedico e credo che questa sia una fortuna, in termini di privacy e sicurezza personale.
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003 — Su Maistu è una delle poche persone con cui mi capita di parlare, qui in paese.
Assieme trattiamo degli argomenti più disparati.
Stessa cosa succede con suo fratello gemello, A., che ha un orto proprio poco più avanti delle pietre.
Di tanto in tanto si fa vivo per portare un po' di cibo e di pane duro ai cani di Su Maistu, che fanno la guardia nel grandissimo cortile che si estende tutt'attorno al suo laboratorio.
Con Su Maistu e con A., di solito, si discute del più e del meno.
Anche di politica, a volte: di come alcuni uomini esercitino la propria autorità, il proprio dominio su tutti gli altri, senza farsi troppi scrupoli.
Alle pietre ovviamente, nell'ultimo anno, si è discusso anche di pandemia.
Principalmente, alle pietre si parla di vita e di morte.
Uno degli argomenti più gettonati riguarda i lavori con cui ciascuno di noi riesce a sopravvivere, dal punto di vista economico, ma soprattutto le attività con le quali ci svaghiamo.
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004 — Di me sanno praticamente tutto.
Sanno che per esaudire il desiderio della buon'anima di mia mamma, che ha sempre riservato un'attenzione massima, quasi maniacale, nei confronti della mia istruzione, l'ho finita con il prendermi una laurea in filosofia; una cosa che a volte mi sembra un'autentica fortuna ma, sporadicamente, pure una vera e propria disgrazia.
Su Maistu e suo fratello gemello hanno potuto prendere, a malapena, la licenza media.
Questo però è ben lungi dal rappresentare un problema; non c'è uno iato incolmabile fra di noi.
Anzi.
Nonostante le differenze di attitudine, di impostazione e di metodo, mi capita puntualmente di imparare un sacco pieno zeppo di cose da loro.
Di me sanno praticamente tutto: sanno che vivo da solo e che mi guadagno il pane scrivendo per un giornale on-line che si occupa di calcio dilettantistico.
Su Maistu, invece, passa le sue mattine a lavorare presso un'impresa di pulizie nella vicinissima base aerea della NATO.
—Faccio il merdaiolo — mi ha confessato un pomeriggio. — Nient'altro che il merdaiolo.
Suo fratello A., invece, è un bracciante agricolo che cerca di sbarcare il lunario al meglio delle sue possibilità.
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005 — Su Maistu trascorre gran parte del tempo libero tra i muri del suo laboratorio, a lavorare la pietra dura. Pietra di fiume, precisa sempre.
Attraverso le sue mani e attraverso la sua arte, così mi dice sempre, fa partorire la bellezza.
E la bellezza è l'unico elemento che possa salvare il mondo, mi ripete in continuazione, soprattutto in questi tempi così cupi.
Mentre sto seduto sulle sue lastre di trachite, a scrivere o più semplicemente a pensare, miliardi di pensieri in testa, numerosi come le stelle nel cielo, riesco a sentire nitidamente il tintinnio del martello che sbatte sullo scalpello, e lo scalpello che canta, dolce e suadente, ogni volta che accarezza la superficie della pietra.
È così che è nato un parallelo, una sorta di equazione che accomuna il mio mondo e il suo.
Come il maestro, dunque, lavora pazientemente la pietra, così io lavoro sulle pagine bianche dei miei quaderni e, di riflesso, attraverso il flusso dei pensieri e attraverso le lunghe meditazioni, lavoro sulla mia coscienza, sulla mia personalità, sulla psiche, sulla mia anima.
È un parallelo che al maestro è piaciuto molto, almeno così mi piace pensare, tant'è che ormai gli capita di riproporlo frequentemente, con tutti quelli che passano di fronte alle pietre.
Perché le pietre, in un certo senso, sono un crocevia.
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006 — Ogni qualvolta ti viene in mente una buona idea, un'intuizione che ti sembra particolarmente valida, dovresti mettere sempre in conto che qualcuno potrebbe già esserci arrivato prima di te, ed in netto anticipo. Così, per l'appunto, Epitteto fotografava la questione, nelle sue Diatribe:
“D'ora in poi la materia su cui devo lavorare è il pensiero, proprio come quella del falegname è il legno, quella del calzolaio il cuoio...”